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Arben Shira: la pittura per riscrivere la realtà

Creato il 06 marzo 2012 da Trame In Divenire @trameindivenire
Arben Shira: la pittura per riscrivere la realtà

Tavolozza - Arben Shira - Foto Chicco Saponaro

Il realismo nell’arte e nella vita

Incontro Arben nel suo ennesimo laboratorio di fortuna, a Fasano, ospite ancora una volta della benevolenza di chi l’arte la conosce, l’apprezza, la condivide e dell’arte ne fa una ragione di vita. Per quanto, la ragione di Arben è sofferta, carica di rinunce e di duri sacrifici ancora attuali, vivi nei suoi racconti su tela. E qui sono raccolte solo una minima parte della sua vastissima produzione artistica, la più recente. Centinaia di tele che parlano di due mondi distanti nella cultura, avvicinati dalla storia.

Nascere a Shijak, in Albania, nel fiore degli anni ’60, in piena dittatura comunista di Hoxha, significava per molti essere come deportati in casa. La vita dei campi e il lavoro operaio, sin dall’infanzia, e poi la miniera nei cantieri edili. La città, quella città arretrata, povera, fatta di palazzacci decadenti, decrepiti, Tirana o Durazzo, quelle erano tabù. Bastava la campagna. E la rinuncia forzata agli studi. E’ stato il prezzo da pagare per essere appartenuti ad una famiglia di dissidenti, avversi – se pur nel silenzio, nella remissione rassegnata – ad un regime che per oltre 40 anni ha represso, piegato le coscienze di intere generazioni, sprofondandole nell’arretratezza dello spirito.

Un regime autarchico, più che comunista, chiuso in sé stesso, distante anche dal resto del mondo comunista conosciuto fino alla caduta del “muro”. Spesso una delusione per chi nel credo comunista aveva sperato. Della dottrina di Marx nemmeno l’ombra. Una delusione da tenere in sé, nel silenzio e nell’emarginazione ai lati estremi di un regime fatiscente. Li, i segni della dittatura avevano colori sbiaditi, con impressa l’eredità del ventennio fascista, frammista alla rivoluzione russa fatta in casa, peggio che arrangiata. Segni come solchi profondi e grotteschi, lasciati sin dai tempi della colonia italica. La prima contaminazione e distrazione delle radici tradizionali del paese delle aquile a cui per un cinquantennio è stato sottratto il cielo.

La condanna da una parte e il seme della liberazione dall’altra. Un seme che, per Arben, nato nel 1963, come per tanti suoi connazionali, tarderà a fiorire. Ma fiorirà, rinascerà nei colori e nei tratti morbidi e genuini del realismo. Dopo tanto distillare, immerso in una vita stretta alla necessità dell’esistenza, tra i crudi cicli della natura, dove la tecnologia e il progresso sono stati per lunghi anni un miraggio, l’Italia dall’altra parte, oltre l’Adriatico è stata la terra promessa, agognata, anche grazie alle tivù regionali ben visibili oltremare. Ci vorranno le barcacce cariche di umanità derelitta, affamata non solo di pane, e stordita, sbarcata sulle nostre coste. Un’esperienza di vita valsa come la compressione dello spirito, liberatosi poi con l’esodo albanese del ’91. Giunto a Fasano coltiva l’attesa di approdi più adatti alle sue aspirazioni, ma da Fasano non riesce più ad andar via. La famiglia ha posto radici profonde. Scherzi del destino, si dirà. E’ di questo realismo, duro ma mai ruvido, uno sguardo sincero, diretto, poco mediato della realtà, dai segni netti, chiari, dai colori intensi, compatti, si alimenta il tratto di Arben. Una narrazione cromatica tutta pugliese, meridionale, ma che non trascura le origini albanesi più che mai vive.

Chi è Arben Shira

Arben Shira, pittore di origini albanesi, fasanese di adozione, sin dall’esodo albanese del 1991, dedica tutta la sua vita alla pittura. Nel ’95 si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Bari sotto la guida di Michele de Palma, assistente di Emilio Notte, entrambi maestri ed eredi della scuola pugliese. Frequenta Adriana Notte, Irina Hale, Ernest Verner (anch’egli fasanese di adozione) e Vanda Valente. Fine cultore della scuola di cui è stato allievo, s’inserisce a pieno titolo nella discendenza che si rifà a Francesco Netti e alla scuola fasanese, tanto da poterlo collocare tra i successori diretti di Beniamino Bianco. Le sue opere si trovano in diverse collezioni pubbliche e private. Ha tenuto diverse personali e collettive, distinguendosi in numerosi premi ed estemporanee di pittura, raccogliendo l’apprezzamento della critica. La stessa amministrazione comunale di Fasano l’ha premiato con una targa riconoscendolo come “artista fasanese”. La scorsa estate il comune di Ceglie Messapica, città natale di Emilio Notte, gli ha dedicato una “personale” presso la Pinacoteca Comunale “Notte”. Dal 6 al 13 gennaio di quest’anno ha esposto per la città di Durazzo nella Galleria delle Esposizioni d’Arte con il patrocinio delle istituzioni albanesi e alla presenza della stampa e delle televisioni locali che ne hanno dato risalto a livello nazionale.

giuseppe vinci

Pubblicato su: Largo Bellavista  Febbraio-Marzo 2012 - anno IV n. 57

Servizio fotografico a cura di Chicco Saponaro

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