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Archeologia. Vino, scoperto in Sardegna il vitigno più antico del Mediterraneo occidentale
Creato il 30 gennaio 2015 da PierluigimontalbanoSemi di vernaccia e malvasia risalenti al 1000 a.C. ritrovati nella cisterna di un nuraghe nelle vicinanze di Cabras. La prova del carbonio 14 effettuata dal Centro conservazione biodiversità dell'Università di Cagliari conferma la datazione e fa ritenere che la coltura della vite nell'Isola fosse conosciuta sin dall'età del bronzo.Il ritrovamento degli archeosemi di vite è avvenuto nell'Oristanese da parte dell'équipe del Centro Conservazione Biodiversità dell'Università di Cagliari Una scoperta che riscrive la storia della viticultura dell'intero Mediterraneo occidentale. A farla gli studiosi dell'Università di Cagliari. L'équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB), guidata dal professor Gianluigi Bacchetta, ha rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica, risalenti a circa 3000 anni fa, e ha avanzato l'ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d'importazione, bensì autoctono.
Sino a oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici, che frequentarono l'isola attorno all'800 a.C., e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà Nuragica dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta, quindi ebbe un'origine locale e non fu importata dall'Oriente. A supporto di questa ipotesi, il gruppo del CCB sta raccogliendo materiali in tutto il Mediterraneo: dalla Turchia al Libano alla Giordania si cercano tracce per verificare possibili parentele tra le diverse specie di vitigni.
Nel sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras, nell'Oristanese, nei pressi della necropoli monumentale nuragica di Monte Prama, la squadra di archeobotanici ha trovato oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a una cisterna che manteneva freschi gli alimenti. "Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli reperibili da acini raccolti da piante odierne, spiega Bacchetta. Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati datati dal 1300 al 1100 a. C., età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica.
Gli archeosemi ritrovati e analizzati sono quelli della Vernaccia e della Malvasia, varietà a bacca bianca coltivate proprio nelle aree centro-occidentali della Sardegna. Più che un fenomeno di importazione da parte dei fenici, in Sardegna si sarebbe verificata una domesticazione in loco di specie di vite selvatiche, che ancora oggi sono diffuse ampiamente in tutta la Sardegna. Va tenuto conto che i Nuragici erano un popolo molto attivo negli scambi commerciali e hanno avuto contatti anche con altre civiltà, come quella cretese o di Cipro, che conoscevano la vite.
La scoperta è il frutto di oltre 10 anni di lavoro condotto sulla caratterizzazione dei vitigni autoctoni della Sardegna e sui semi archeologici provenienti dagli scavi. I risultati sono giunti anche grazie all'innovativa tecnica di analisi d'immagine computerizzata messa a punto dai ricercatori del Ccb in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia. L'analisi sfrutta particolari funzioni matematiche che analizzano le forme e le dimensioni dei vinaccioli (semi di vite), mettendo a confronto i dati morfometrici dei semi archeologici con le attuali cultivar e le popolazioni selvatiche della Sardegna. Ciò ha permesso di scoprire che questi antichissimi semi erano appartenuti alle varietà coltivate mostrando, come visto, una relazione parentale anche con quelle silvestri che crescono spontanee sull'Isola.
"Adesso abbiamo la prova scientifica che i Nuragici conoscessero la vite domestica e la coltivassero - spiega Andreino Addis, presidente di Assoenologi Sardegna. Una buona occasione per rilanciare in grande stile la viticoltura sarda, che pesa ancora troppo poco sul piano nazionale".
Questi semi di vite provenienti dal passato sono dunque un patrimonio prezioso per valorizzare le produzioni vitivinicole doc e dei vitigni in via di sparizione. Che poi è lo scopo per cui l'Università di Cagliari è scesa dalla cattedra e si è calata nel territorio.
Fonte: www.repubblica.it
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