Arcigay Palermo: Documento politico del pride di Palermo (pride regionale, 19 giugno 2010)

Da Ganimede

Il 31 ottobre del 1980, a Giarre, due ragazzi gay di 15 e 25 anni, Antonio Galatola e Giorgio Agatino Giammona, decisero di farsi uccidere in segno di resa rispetto all’impossibilità di vivere pubblicamente il loro amore. Il dolore e la rabbia seguiti a questo atroce fatto di cronaca avrebbero portato, poco più di un mese dopo, alla nascita del primo circolo Arcigay a Palermo.
Trent’anni fa, quindi, è accaduto in Sicilia un fatto straordinario: un gruppo di persone omosessuali, sicuramente non consapevole di dar vita ad un’esperienza che sarebbe diventata nel giro di pochi anni nazionale ed istituzionale, ha preso la decisione di portare le battaglie per i diritti delle persone omosessuali dentro un movimento più grande e complesso. Un atto Politico dirompente che, per le conseguenze prodotte ed il significato simbolico oggi ancora più forte, merita di essere celebrato dall’intera comunità Lgbt proprio nella città in cui ha avuto origine. Una celebrazione, tuttavia, che va accompagnata ad una consapevolezza: in trent’anni è molto cambiata la percezione dell’omosessualità e della transessualità tra le donne e gli uomini del nostro Paese, così come molto è cresciuta all’interno della comunità Lgbt la consapevolezza della necessità di affermare la propria visibilità, il tutto, però, nel tragico silenzio assente delle nostre Istituzioni. In Italia è cresciuta una comunità, ma senza nessun passo avanti nel riconoscimento dei suoi Diritti essenziali. Ne è prova la inadeguata e semplicistica risposta delle nostre Istituzioni all’escalation di violenze che l’estate scorsa ha colpito persone gay, lesbiche e transgender a Roma, Bologna, Messina ed in altre città italiane, risposta esclusivamente concentrata su un piano meramente repressivo e di ordine pubblico, di facciata appunto, e la successiva bocciatura in Parlamento di una piccola proposta di legge contro le violenze a matrice omofoba, per mezzo di una scandalosa pregiudiziale di incostituzionalità. Come se le persone gay, lesbiche e trans nel nostro Paese vivessero, agissero, amassero al di fuori della nostra Carta Costituzionale. Per questo motivo il Pride Lgbt, che in molti Paesi del mondo è il momento politicamente più significativo dell’affermazione dell’orgoglio e della fierezza di essere gay, lesbiche, transgender, in Italia non può essere solo un giorno di Festa. Esso è ancora, purtroppo, un momento di rivendicazione di Diritti ingiustamente negati. Oltre 16 anni dopo le prime raccomandazioni dell’Unione Europea, i nostri Pride devono ancora essere un grido di protesta e di richiesta di Diritti di cittadinanza elementari:
1) Il diritto di non essere offesi, calunniati, picchiati, uccisi per la propria identità di genere e per il proprio orientamento sessuale;
2) Il diritto di accedere al Matrimonio perché, come chiede la stessa UE, uguali legami sentimentali non possono ricevere trattamenti differenti; ed un diverso pronunciamento da parte della Corte Costituzionale (atteso per Aprile 2010) sarebbe quindi incomprensibile, violento e lesivo non solo degli Art. 2 e 3 della nostra Costituzione ma anche, appunto, degli indirizzi ormai affermatisi nell'intera Europa cui la stessa Costituzione prevede che il nostro Ordinamento si adegui;
3) Il diritto di accedere alle adozioni: essendo centrale il diritto dei minori a ricevere cure ed affetto, e non quello delle coppie ad adottare, non esiste oggi alcuno studio scientifico, sociologico, pedagogico che possa negare la capacità di due donne o due uomini di garantire cura, affetto, stabilità ai propri figli tanto quanto una coppia eterosessuale;
4) Il diritto di vedere finalmente applicate le normative contro il licenziamento e le differenze di trattamento in ambito lavorativo a causa della propria identità di genere e del proprio orientamento sessuale.
Ma il nostro, in particolare, è un Pride Regionale ed in quanto tale sarebbe un calco di quello Nazionale se, alla festosa celebrazione del nostro Orgoglio ed alla rivendicazione di quei Diritti fondamentali per la nostra Comunità, non si accompagnasse la capacità di comprendere il nostro Territorio (ancor più in questo particolare momento storico) ed il desiderio di parlare alle nostre Istituzioni locali ed alle cittadine ed ai cittadini della nostra Regione. Per questo il nostro scendere in piazza non può che portare con sé altre due ulteriori richieste:
1) Un appello alla Regione Siciliana affinché il recentemente siglato Protocollo contro le Discriminazioni non rimanga una semplice dichiarazione di intenti ma divenga un reale impegno verso la nostra Comunità: per esempio attraverso l’approvazione di una Legge Regionale contro le Discriminazioni fondate sul Genere e sull’Orientamento sessuale (sul modello di quanto accaduto pochi mesi fa nella Regione Marche) che sia non solo uno strumento di difesa dalle violenze ma, soprattutto, una garanzia della parità di accesso agli stessi Diritti e Servizi riconosciuti alle persone ed alle coppie eterosessuali, in linea coi Trattati Costituzionali Europei di cui l’Italia, troppo spesso, dimentica di essere cofirmataria;
2) Un appello alle Donne, alle Comunità di migranti, alle lavoratrici ed ai lavoratori della nostra Regione, a tutte quelle categorie sociali ed umane costrette a vivere in un continuo stato di cittadinanza precaria, affinché riconoscano nel nostro Pride una casa di rivendicazioni e di diritti che accoglie tutti; affinché si comprenda che nelle nostre battaglie non ci sono solamente i nostri Diritti e le nostre Libertà ma i Diritti e le Libertà di tutte/i; affinché si riconosca che la matrice delle discriminazioni di cui siamo vittime è, fondamentalmente, la stessa.
Probabilmente non esiste altra manifestazione al mondo che sia più inclusiva di un Pride: è nella sua natura, è nel suo DNA, è nella sua Storia, perché nella liberazione sessuale, di identità e di generi, nella liberazione e nell’appropriazione dei nostri corpi e dei nostri desideri passa la liberazione di una intera società. Ed infatti non esiste centralità della Comunità Lgbt e delle sue battaglie se, convinti di essere portatori di istanze minoritarie, non riuscissimo a rivolgere il nostro sguardo verso tutto ciò che ci sta intorno e non comprendessimo che quanto sta accadendo oggi nella nostra Regione, così come nel resto del nostro Paese, non può che vederci, assieme alle donne, agli immigrati, ai disabili, ai poveri, ai diversamente credenti ed ai non credenti, come una minaccia, un potenziale nemico, un fastidio con cui convivere ma da emarginare, sicuramente come presenza scomoda da non tutelare e da non riconoscere. Donne, neri, omosessuali, musulmani, transessuali, poveri: tutti fanno gioco, purché sia possibile additare qualcuno più “sfortunato” con cui entrare in competizione o da colpevolizzare per la perdita delle proprie garanzie. Per questo il nostro Pride, partendo dalle nostre specifiche rivendicazioni, non può non ospitare e comprendere tutte le altre lotte di rivendicazione che agitano il nostro Territorio: affinché esso possa realmente diventare non solo una Celebrazione della nostra Differenza ma anche e soprattutto uno strumento di educazione permanente al rispetto della Differenza in sé.

Le parole d’ordine del movimento lgbt sono ormai da anni, non a caso, “Parità, Dignità, Laicità”, parole d’ordine che riguardano tutte e tutti e che non parlano solo della nostra Comunità ma di una idea di cittadinanza che coinvolge tutti e nessuno esclude. La nostra Comunità deve occupare le strade e le piazze coi colori, la gioia, la pacifica festosità che da sempre accompagnano le nostre manifestazioni (da cui tutte/i avrebbero qualcosa da imparare anziché additarle come osceno esibizionismo); con la fierezza di chi fa del proprio corpo e della propria faccia uno strumento di lotta per l’affermazione della Visibilità di un’intera Comunità.

(sito ufficiale: siciliapride.org )


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