Francesca Ponzanelli
Abbozzo un sorriso, mentre mi guardi.Come mi guardi tu, non c’è nessuno al mondo che mi guarda così. Seduta composta, le mani sulla borsa, la borsa sulle ginocchia ossute. Sembri una scolaretta che va in gita. Arruffata, un Calimero con gli occhi grandi. Certo che sono felice, ho messo tutto il mio mondo in macchina. Chiudo la portiera, come farebbe un autista o forse un cavaliere d’altri tempi e faccio il giro per mettermi al posto di guida. Con gli occhi in su, verso i palazzi. Bocche spalancate, qualche persiana a metà mi fa l’occhiolino. Registro il respiro del mio cuore mentre un brivido gelato mi attraversa la schiena. Colpa dei rumori. Sono le risate scoppiettanti dei motorini che si inseguono e si perdono tra le vie del mio paese.
E la sera non tarda a venire, anche se a da ragazzo non ci pensi mai. Vecchio, in una casa antica e lussuosa, in una via del centro, sono sempre io. “Papà, mi senti? Papà, è venuto un signore a trovarti, è un tuo amico. Ora lo faccio entrare, ma tu non ti agitare, devi stare tranquillo. Il dottore si è raccomandato.” Giulia assomiglia a sua madre. Ha gli stessi occhi grandi, attenti a tutto quel che succede. Si è fatta bella, la mia Giulia. È la più bella ragazza di Milano, e non lo dico perché sono il padre, neanche perché ormai me ne andrò a raggiungere la madre al camposanto. Sento che le ossa non mi reggono più, sento che il respiro si fa più affannoso. Vorrà pur dir qualcosa essere un buon medico, essere il chirurgo dalle mani d’oro. “I più bravi vengono dal sud. È gente che ha faticato per farsi strada, gente che poi quando ci arriva alla vetta, sono i meglio.” Mi sembra di sentirli ancora i miei pazienti bisbigliare davanti alla porta dello studio e ora, chi sarà questo scocciatore? Un vecchio miracolato dalle mie mani che viene a darmi l’estrema unzione? Qualcuno entra, all’inizio un po’ impacciato, poi riconosco la voce.“Beata gioventù” lo dice e ride con gli occhi da ragazzo, il mio Massimo. Sento le lacrime scendere sulle guance di due vecchi e gli stringo la mano, mentre lui appoggia il bastone al comodino e si siede vicino al letto, io non riesco a contenermi e come spinto da un torrente in piena ascolto la mia voce che lo implora “Portami a casa, Massimo! Convincila tu, Giulia, voglio tornare là, voglio morire nella mia terra.” E mi accorgo di non essermene mai andato.