di: Manlio Dinucci – www.ilmanifesto.it -
Fu la Germania a usare per prima le armi chimiche nel 1915-17: cloro liquido e fosgene, quindi gas vescicatorio e asfissiante Mustard (o Iprite). Come risposta, Gran Bretagna e Francia produssero anch’esse questo gas letale. Il gas nervino Tabun, che provoca la morte per asfissia, fu scoperto nel 1936 da ricercatori della compagnia tedesca I.G. Farben (la stessa che produsse lo Zyclon B, usato nelle camere a gas). Nel 1936 l’Italia usò in Etiopia armi chimiche, già impiegate in Libia nel 1930. In Germania, vennero prodotti agenti chimici ancora più letali, il Sarin e il Soman. Essi non vennero usati da Hitler, probabilmente perché all’inizio temeva ritorsioni di Stati uniti e Gran Bretagna, che avevano grossi arsenali chimici e, nell’ultima fase della guerra, perché non avevano abbastanza aerei per l’attacco. Durante la guerra fredda la corsa alle armi chimiche accelerò con la scoperta del gas nervino più tossico, il VX, la cui produzione iniziò nel 1961 negli Usa. Vennero quindi prodotte negli Usa le prime armi chimiche binarie: proiettili, bombe e testate missilistiche che contengono due componenti chimici separati, e quindi relativamente innocui, i quali mescolandosi nella traiettoria si combinano in una miscela tossica. Usa e Urss accumularono i maggiori e più letali arsenali chimici. Ma il «club chimico» si allargò rapidamente ad altri paesi.
Finita la guerra fredda, è entrata in vigore nel 1997 la Convenzione sulle armi chimiche, che ne bandisce l’uso e stabilisce la distruzione degli arsenali esistenti. A sedici anni di distanza, però, sia gli Stati uniti che la Russia non hanno ancora distrutto completamente i loro arsenali, poiché non hanno osservato le scadenze stabilite. Dai dati ufficiali, gli Usa conservano circa 5.500 tonnellate di armi chimiche. La Russia ne ha molte di più, circa 21.500, ereditate dagli arsenali sovietici. Una valutazione semplicemente quantitativa è però ingannevole: Stati uniti, Russia e altri paesi tecnologicamente avanzati mantengono la capacità di costruire sofisticate armi chimiche binarie ed uniscono sempre le esercitazioni di guerra nucleare con quelle di guerra chimica. Stando però anche alla sola dimensione quantitativa, gli Stati uniti, che guidano la campagna contro le armi chimiche della Siria, ne posseggono circa 6 volte di più: secondo una stima dell’intelligence francese, probabilmente gonfiata, la Siria avrebbe circa 1.000 tonnellate di agenti e precursori chimici (sostanze adatte a produrre armi chimiche).
Perché la Siria non ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche? La risposta, in termini essenziali, è: perché ha puntate addosso le armi nucleari israeliane. Non solo. Israele ha costruito dagli anni Sessanta anche un sofisticato arsenale di armi chimiche. Ma, come quello nucleare, resta segreto poiché Israele ha firmato ma non ratificato la Convenzione sulle armi chimiche. Per un rapporto di «Foreign Policy», basato su un documento Cia, avanzate ricerche sulle armi chimiche furono condotte nel Centro israeliano di ricerca biologica e tali armi furono prodotte e stoccate nel deserto Negev, a Dimona, dove si producono anche armi nucleari. Lo riferisce perfino il Jerusalem Post. Anche se Israele non avesse conservato tale arsenale, scrive la rivista specializzata Jane’s, possiede la capacità di «sviluppare in alcuni mesi un programma di armi chimiche offensive». Si capisce perché anche l’Egitto non abbia firmato la Convenzione.
Stati uniti e Israele non hanno mai violato ufficialmente la proibizione dell’uso di armi chimiche, poiché l’agente chimico Orange alla diossina, impiegato massicciamente dagli Usa in Vietnam, e le bombe chimiche al fosforo bianco impiegate dagli Usa in Iraq, ex Jugoslavia, Afghanistan e Libia, e da Israele a Gaza, non sono considerate armi chimiche. Una consolazione per le famiglie che hanno visto i bambini nascere deformi per l’agente Orange o morire bruciati dal fosforo bianco.