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Arnaldo EderleLa palla del dio della sorte

Da Ennioabate

bocce

Da settantasettanni procedeva
sulle vie di questa terra,
da settantasettanni camminava per le strade
del suo quartiere, calpestava le stesse
pietre, gli stessi asfalti, le stesse
buche.
I suoi fanali, i suoi occhi brillanti,
procedevano cerchiando uomini e oggetti
sparsi sulla strada come birilli
in piedi o abbattuti da una palla
di legno lanciata dalle sue mani
piccole e agili.
Chi conosce quell’uomo dalle mani minute
sa di che si tratta, non ha nemmeno
bisogno di guardarlo.
E’ un uomo alto e grosso con mani
piccole, si diverte a eliminare i passanti,
li mira con i suoi occhietti e lancia
le sue palle di legno, chi centra centra.
Sarà il destino? O il dio della sorte?
La sua palla vola sulle zone pedonali,
lì passano più pupazzi facili da colpire
stanno sempre a camminare con scarso
equilibrio.

Lui quasi nemmeno li osserva vede
la sagoma, credo, poi ferma la palla
nella sua mano destra nemmeno prende
la mira e spara il legno contro l’innocente
bersaglio, non sbaglia mai lo colpisce
giusto nel petto o nella schiena
un solo colpo e il bersaglio cade
si chiude nel suo nuovo nulla
nella sua nuova mortalissima sorte
nella sua inesistenza nel buio.
L’uomo continua la sua funerea marcia
lentamente un cane senza guinzaglio senza
padrone il suo muso è sempre uguale
la sua mano ferma la sua mira perfetta.

Anche se ha perso lo smalto, se s’è chinato
a guardare il pavimento nella sua casa
fiorita, se è giunto a risparmiare
le sue lunghe passeggiate per le vie
del centro, un altro uomo
non dimentica il suo atroce
nemico, l’uomo dalla palla di legno.

E’ un uomo rispettabile che non lesina
il saluto e la cordialità verso
i suoi simili, chi gli porge la sua stima
gode presso di lui di una manciata, e anche più,
di favori e dignitose proposte,
è proprio un bravo signore.
Passeggia d’inverno con cappello nero
d’estate con un panama bianco, naturalmente,
si muove con certa agilità è dritto
su con le spalle sorridente e pensieroso.
Si avvale spesso della Posta che sta
vicino alla sua casa, invia soprattutto
libri aspetta il suo turno.
Quando fa molto freddo porta un sciarpa
lunga sul colletto del cappotto,
pigro anche se all’occorrenza solerte
cammina adagio, attento a dove mette
i piedi.
Il sole per lui è la luce e la luce è
l’allegria, com’è giusto che sia,
la serenità dei bimbi e di tutte le
creature, il gioco dell’onestà e della sua
compagna, la saggezza.

Un giorno i due uomini s’incontrarono
per strada, un giorno fiorito dei colori
d’un bella giornata quieta e stemperata
nel tepore di maggio, gli alberi della strada
pieni di germogli ombreggiavano
e addolcivano l’aria immacolata e felice,
che giornata splendida!
L’uomo dalla palla di legno camminando
guardava la sua piccola sfera che faceva
transitare da una mano all’altra.
Oh, non si curava del benessere o della
felicità, seguiva i balzi rallentati
della palla in aria nient’altro
nient’altro.

S’incrociarono solamente.
Allora l’uomo dolce si girò guardò
l’altro lo seguì per un tratto vide
che l’altro guardava la palla nell’aria,
poi la prese con le cinque dita
e la scagliò dritta contro un povero
cristo che passava di lì. Il poveretto
scosse il capo e s’appoggiò a un alberello
che si trovava accanto, poi si afflosciò
chinato a terra e così stette. Dopo
un po’ prese fuoco e in un attimo
scomparve nell’aria.

L’uomo rispettabile si riscosse subito
si girò e verso l’uomo della palla
diresse il suo calmo sguardo sicuro.
Stette lì fermo a guardare quella scena
incredibile: l’uomo della palla che seguitava
la sua strana passeggiata tranquillo
e il luogo dove s’era accasciato l’altro
al bordo della strada qualche minuto prima
e che dopo subito dopo era scomparso in una
nube di fuoco.
Il cielo ora incombeva adirato su entrambi
rivelava il suo profondo disappunto la sua
avversione il suo grave rimprovero,
le foglie dei giovani alberi si drizzarono
si scossero come prese da brividi e
le pietre del selciato vibrarono come
lame di clavicembalo.
Mille lacrime sgorgarono dagli occhi
dell’uomo gentile e gli angoli
delle sue labbra si piegarono in giù.

Purtroppo non c’era nulla da fare,
la palla dell’uomo era quella del dio
della sorte, colpiva così senza la minima
ragione senza curarsi dell’assenza
dell’uomo accasciato e senza
gravarsi della fiammata
che lo avvolse e lo tolse
dalla placida faccia della terra.


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