Magazine Cultura
Arona & Serra: Yesterday Was 2012: Vision 2
Creato il 28 ottobre 2012 da Alessandro Manzetti @amanzettiDanilo Arona e Daniele Serra, i due artisti che hanno materializzato le visioni di questo progetto, sono già stati presentati nella prima puntata, per cui stavolta entriamo subito nel cuore della Vision 2, che propone l'abitutale concept di contenuti caratteristico di Yesterday Was 2012. Spendo giusto qualche riga per presentare l'arcano palinsesto di questa puntata, che parte dalla città di Praga per arrivare a una Milano abitata da strane visioni e creature, proiettate dal cervello "parallelo" di un sopravvissuto. Ma andiamo con ordine. Inizieremo il viaggio sbirciando nel binocolo magico di Daniele Serra, che metterà a fuoco il futuro attraverso una illustrazione inedita, realizzata ad hoc per questo progetto, che interpreta l'opera architettonica "La Casa Danzante" di Praga progettata dal geniale architetto Frank Gehry, post 21 dicembre 2012. Coglieremo l'occasione per approfondire sinteticamente quest'opera e la filosofia artistica di Frank Gehry. Subito dopo cadremo nelle mani di Danilo Arona, continuando la lettura del suo racconto inedito "Il Collassatore" che inizierà a assumere, lentamente, la sua forma definitiva, che finiremo di scoprire nelle prossime puntate. Insomma, benvenuti nella Vision 2 di Yesterday Was 2012 e buon viaggio! Come avevo anticipato sopra, Daniele Serra stavolta ci trasporta a Praga, fotografando con i suoi colori e le sue forme l'opera architettonica "La Casa Danzante" di Praga di Frank Gehry, qualche settimana dopo il 21 dicembre, data imprecisata. Potete invece vedere qui la precedente illustrazione di Daniele Serra, pubblicata nella Vision 1 di Yesterday Was 2012, ispirata alla Opus Tower di Dubai di Zaha Hadid. L'illustrazione inedita di oggi, di grande atmosfera, dal nome "Praga", la trovate sotto, zoomabile qui. Questa opera di Serra, che potete confrontare sotto con l'architettura originale di Frank Gehry alla quale è ispirata, colpisce subito per l'atmosfera alienante, che l'assenza di colore comunica come un rumore metallico di sottofondo, o un lento sgretolarsi di pareti e di certezze. Le rovine della Casa Danzante raccontano più di tutto il resto, grazie ai tralicci sospesi nel vuoto, orientati verso un cielo che sembra non esistere più, confuso con il cemento, con le strutture rimaste intatte dopo la fine. Il fumo nero, denso, che esce dall'apice della struttura portante dell'architettura è l'idea più inquietante che propone l'autore nella sua intepretazione, rappresenta la sua "voce" dell'apocalisse. Tornano subito nella memoria le gigantesche ciminiere del Titanic, destinato a affondare e a raccontare alla storia una microapocalisse. Come in "Dubai", la precedente interpretazione di Serra, nella quale l'Opus Tower della Hadid prendeva in qualche modo vita, muovendosi su alieni tentacoli confusi con le lingue delle fiamme di un infinito incendio, anche in "Praga" l'architettura sembra l'unica forma di vita, in qualche modo, che il pianeta ci presenta. Pur essendo lontani da una fusione o da una antropomorfizzazione del cemento, dell'acciaio, dei cavi gonfi di elettricità, come nelle visioni deliranti del regista Tsukamoto, in queste opere Serra propone una soluzione apocalittica affascinante, una evoluzione biologica delle forme, nelle quali sembrano trasferiti muscoli e vene, ultime tracce viventi del talento umano, trasformato e fuso nelle rovine da nuove chimiche inaspettate. Se Giger nelle sue visionarie opere propone il suo mondo biomeccanico, ricco di simbolismi, raccontando l'adesso, l'uomo con le sue speranze e desideri, Serra deve lanciarsi oltre, il suo ritratto ha come soggetto qualcosa che ancora non esiste. L'elemento che ci collega all'opera, per le nostre umane esperienze, quello che possiamo condividere integralmente, è la grande solitudine che canta nel fumo denso che si alza, stridente. Fumo che si rende anche connessione artistica con le tradizioni, con le apocalittiche Visioni del Monte Fuji del maestro dell'ukyo-e Hokusai. "Praga" di Serra, per le citazioni sociologiche e artistiche che raccoglie con grande sintesi è un grande immaginario apocalittico nel quale calarsi, con una corda stretta alla vita, fino a scendere tra i denti bollenti del grande vulcano, delle nostre paure, della assurda dicotomia tra la presunzione di immortalità e le quotidiane incertezze umane. Ma entriamo ora più in dettaglio su quest'opera architettonica davvero affascinante. La Casa Danzante (Tančící Dům), soprannominata "Fred and Ginger" (la struttura fa pensare a due ballerini) si trova nel centro a Praga. E' stata costruita tra il 1992 e il 1995 dall’architetto ceco di origine croata Vlado Milunic in collaborazione con il geniale l’architetto americano Frank Gehry. E' netto, forte e voluto il contrasto di questa struttura con gli edifici sette e ottocenteschi che la circondano; la Casa Danzante si pone con personalità come un simbolo della nuova era praghese, di una via aperta verso il futuro. La "danza" di questa struttura è evocata dalle linee ondulate che la caratterizzano, che offrono una emozione di movimento, con curve che spostano continuamente le prospettive, grazie all'aiuto delle illusioni delle superfici in vetro. La struttura è composta da due corpi principali: una torre di vetro a sinistra, sostenuta da pilastri curvi (nell'interpretazione di Serra è ormai semidistrutta) e una seconda struttura che si affaccia verso il fiume (la Moldava) caratterizzata da un originale disallineamento della distribuzione delle finestre, che anche grazie ai telai sporgenti, offrono all'insieme una apparente percezione di curvatura e tridimensionalità. La vibrazione che si avverte, la "danza" di questa architettura che si esprime con la torre in vetro dalla vita stretta cinta da un braccio immaginario, non ha in realtà motivi estetici nel progetto di Gehry; l'architetto non ha inteso dunque evocare una immagine mentale, diventata orami comune tra i cittadini di Praga; il motivo della particolarità delle linee della torre è da ricercarsi in un ambito diverso da quello emozionale. L'inclinazione e le curve della torre consentono di vedere la Moldava anche dagli edifici retrostanti. Questo per comprendere come anche l'architettura, al pari della pittura e di altre arti, non è dominata dalla semplice componente estetica, o dalla originalità dei volumi. Esiste un codice che va ben oltre l'apparenza e la casualità, che traduce intenti e messaggi, che svela come una lettera l'animo dell'artista, proprio come avviene nell'osservazione di un dipinto, dei dettagli che come vettori magici possono ricondurci a una seconda visione, e poi a una terza e così via, come scorrere diversi capitoli di un affascinante romanzo. Tornando alla nostra Casa Danzante, la filosofia architettonica di Frank Gehry si congiunge con quella di Zaha Hadid, che abbiamo incontrato nella puntata precedente. Anche Gehry è tra gli esponenti della corrente decostruttivista. Gehry è noto come l'architetto più celebre di questa corrente architettonica, che cerca la destabilizzazione della purezza formale, il radicale superamento dei classici concetti di unità e equilibrio, attraverso la fusione di di forme pure e geometrie instabili, proprio come ci mostra la torre di vetro della Casa Danzante. L'opera più famosa di Gehry è lo spettacolare museo Guggenheim di Bilbao (1997), visitato da milioni di turisti l'anno, attirati, in gran parte, dall'edificio più che dal suo contenuto. Questo dimostra la forza dell'architettura, chiaro... quando l'architettura è grande. Sotto troverete un video con alcune delle opere dello straordinario Frank Gehry. La seconda parte della Vision 2 è sognata da Danilo Arona, attraverso il suo racconto inedito "Il Collassatore". Sotto potete leggere la seconda puntata di questo folle diario di un sopravvissuto, sia online che scaricando il documento in formato pdf. Per chi ha perso la prima puntata, la potete leggere qui in pdf, prima di inoltrarvi ulteriormente nei labirinti progettati da Danilo Arona, dai quali è notoriamente assai difficile tornare indietro. Il Collassatore 2°Parte © Danilo Arona 2011
leggi la prima parte qui Incubi a parte, ma si fa per dire, avevo una teoria sul tambureggiamento e sugli altri fenomeni strani. Sì, capisco, è la prima cosa che viene in mente: te ne stai da solo per dieci anni. Alla baita Stregona, nascosta alla vista dentro un anfratto montagnoso, sulle vette più alte della Val Brembana. Fenomeni strani? Ci sarebbe da ridere. Ogni giorno si riscontra un fenomeno strano perché la percezione e l'interpretazione si sono alterate. Non è così, non era così. Mi sentivo ancora ancora lucido. Nemmeno troppo disperato. Avevo a che fare con fatti precisi, scientifici. Piccole infestazioni. Sintomi. Infestazioni? Iniziarono sette anni fa. Vado a spanne, spero sia chiaro. Quindi, sempre a spanne, tre anni dopo il Suono. Un lasso di tempo sufficientemente ragionevole perché i mangiavivi, una volta esaurite le scorte da mangiare, prendessero a mangiarsi tra di loro per poi decomporsi. E trasformando il mondo in una immensa Zona Zero. Certo, adesso arrivano le spiegazioni. Intanto ero un maledetto secchione prima del Suono. Colpa del mio lavoro, ma leggevo un sacco. E mi capitò tra le mani lo splendido, paurosissimo libro, Il mondo dopo di noi di un giornalista americano che si chiamava Alan Weisman e che raccontava cosa sarebbe successo al pianeta dopo l'Apocalisse. Qualsiasi tipo di Apocalisse: deep impact, guerra nucleare globale, Maya del cazzo, virus, alieni, fate voi. Non è fondamentale nei confronti delle dinamiche fenomenologiche. Che sono queste: il primo giorno, solo silenzio. Il secondo verrà l'acqua. E le terre asciutte torneranno a essere sommerse. Avverrà nei corridoi delle metropolitane di New York e Londra che diventeranno lunghi e contorti canali sottomarini. Il settimo giorno arriveranno le tenebre a coprire la luce. Dalle oltre 400 centrali nucleari del pianeta quali si alzeranno fiamme e radiazioni. Avverrà nei pozzi petroliferi, nelle raffinerie, nei grandi impianti petrolchimici e le esplosioni oscureranno il sole. Il mondo ripiomberà nel buio e la Genesi, in sette giorni come era iniziata, sarà azzerata. Il mondo per come lo conosciamo diventerà un pianeta inabitabile, saturo di merda tossica, devastato dalle radiazioni. Inabitabile per noi, inadatto all'uomo. Ma l'uomo da sette giorni non c'è più.
E' sparita la creatura più importante, il momento in cui l'universo assume la coscienza di sé attraverso quella dell'uomo e nello stesso tempo la creatura più bassa, il grande criminale, la furia irresponsabile che ha divorato l'habitat in cui è nato, cresciuto e si è evoluto. Un'analisi scientifica e dettagliata di che cosa accadrebbe alla Terra se di colpo la razza umana si estinguesse. Il punto posto da Weisman è: come se la caverà il pianeta dopo di noi? E ancora: della nostra plurimillenaria e così appagante storia resterà qualcosa? E soprattutto, che poi è il motivo reale per cui Weisman aveva scritto il libro: dobbiamo per forza aspettare la nostra fine per dare alla Terra un nuovo inizio? Per dare la base scientifica del libro, Weisman ha visitato alcuni luoghi che l'uomo aveva abbandonato da lustri come la Bialowieza Puszcza, l'ultima foresta primordiale sopravvissuta in Europa, tra Polonia e Bielorussia, la Zona Demilitarizzata alla frontiera tra Corea del Nord e Corea del Sud, dove sono tornate specie in via d'estinzione, la zona alla Tarkowsky intorno alla centrale di Chernobyl, in Ucraina, ormai dominio di piante e animali, le foreste e le giungle di Africa e Amazzonia. La conclusione: dopo il settimo giorno e l'apocalisse, la mossa successiva tocca all'altra razza che contende all'uomo il dominio della Terra, quella vegetale. In pochi mesi piante e vegetazione invadono strade, palazzi, monumenti e ogni costruzione umana. Passano gli anni e se ne vanno le altre grandi opere dell'uomo e ogni campo coltivato torna selvaggio. Passa un secolo, i grandi mammiferi come orsi ed elefanti si moltiplicano grazie allo spazio vitale aumentato a dismisura.
Pagani era un folle con poteri alla Uri Geller. Sosteneva di possedere la seconda vista, ossia riusciva a vedere morti, fantasmi e altre stronzate del genere. Lui, nel libro intitolato appunto Zone Zero, si limitava a chiamarla “psicoscopia”. Che Cose erano le Zone Zero? Secondo Pagani, che neppure si attribuiva la paternità della definizione, si trattavano di metastasi necrotiche che sbranavano terreno e paesaggi. Strappi nella Matrice, che come modo di dire mi puzzava troppo di cinema di fantascienza. In sostanza, tutta la palla sospesa nello spazio si era beccata il cancro e tutte le zone metastatiche, le Zero, si allargavano esponenzialmente. Queste zone erano state generate dalla morte, sosteneva Cosmo. Perché la natura possiede una memoria. E, se in una certa zona, si uccide, si muore, si salta per aria disfacendosi in mille pezzi o più semplicemente il figlio sbrana la madre per cibarsene, quella zona “risuona” di quegli eventi, come una casa infestata dai fantasmi. Solo che non possiamo parlare di case perché ci troviamo all'aperto. E' una faccenda per cattedratici che si chiama “risonanza morfica”. Insomma, le Zone Zero sono zeppe di spiriti maligni. Zone che si allargarono come le trame di una ragnatela magnetica. Energie invisibili e letali. E oggi milioni di Zone Zero, dopo dieci anni, si sono aggregate e sono diventate Una Sola, la Terra.
Nella cultura sciamanica degli Shuar, popolo nativo dell'Amazzonia occidentale dedito a una religione animista che praticava la stregoneria e attendeva da sempre l'Apocalisse, oltre all'anima ordinaria, chiamata nekàs wakàn (l'anima vera), che ci accompagna fin dal principio e con cui ci si identifica, ce ne sono altre due che si creano in determinati momenti della vita. Una è chiamata arùtma wakan e la si crea durante un rituale apposito. Poi c'è la muisak, l'anima-ombra-immagine, che si genera poco dopo la morte, se la persona è stata uccisa in modo diretto, indiretto, colposo e violento. E' un'anima di vendetta, una forma-pensiero energetica che ha sete di sangue e vaga in cerca di compensazione e tenta di uccidere a sua volta. Questo tipo di spettro vendicatore è noto in tutte le culture sciamaniche ed è uno spirito “infestatore” ad esempio dei luoghi in cui sono avvenuti crimini solitari o massacri di massa. Non si tratta di anime complete, ma di entità che non possiedono ricordi oltre quello della morte e che sono gravide di sofferenza e di odio, con quasi nulla in comune con l'indole e l'anima vera del morto. Il problema, quasi religioso e irrisolvibile, è stabilire se gli zombie, nella loro condizione, possedessero un'anima o più anime. E, soprattutto, se dopo la loro estinzione, fossero in grado di rilasciare per il mondo le loro muisak. Lo psicologo risponderebbe di no, senza esitazioni. Ma l'Evento trasformò l'atmosfera in Tanatosfera. Una bolla energetica che racchiude la Terra e nella quale persistono tracce, appunto, energetiche di morte. Allora, in che razza di posto riuscii a sopravvivere per dieci anni? E, ancora, cosa percepirono migliaia e migliaia di Renfield-sensitivi nel periodo degli incubi collassatori? Cosa significavano, o meglio, comunicavano, le migliaia di sogni condivisi che si basavano tutti su poche immagini che ancora tornavano puntuali? Non avevo risposte certe. Piccole infestazioni. Voci e urla da lontano, provenienti dal basso. Odori strani, sulfurei. E di colpo brividi, non di freddo. La presenza del male. E le mie visioni oniriche, tipo quelle sulla zampa di scimmia. Adesso, dopo troppe pagine di caos, facciamo un po' d'ordine. Prima di tutto, perché finii lassù? Potrei rispondere: perché mi piaceva la montagna. E potrei aggiungere che avevo ragione. Mi salvai. E poi ero il custode di un piccolo mazzo di chiavi. Ma soprattutto perché, con un discreto bagaglio alla spalle di libri e di film che ci avevano scherzato, il giorno dell'Evento intuii al volo, augurandomi di sbagliare, che l'umanità avrebbe perso la guerra. Fu per colpa, ma di questo l'avrei anche in seguito ringraziata, di Emanuela, la mia segretaria e assistente (e per un certo periodo, amante sul crinale della follia erotica).
Schizzai via in quel giorno di merda e, correndo come un pazzo, mentre tutti attorno facevano la stessa cosa (ma già non capivi chi erano le prede e chi i cacciatori), raggiunsi il mio appartamento da single che distava qualche centinaio di metri dallo studio. Ero single (Emanuela era una storia sentimentalmente chiusa da quasi tre mesi) e i miei genitori abitavano giù, al Sud. Certo, esisteva una cospicua lista di persone cui avrei potuto proporre un passaggio al volo e una fuga sulle cime, ma il fattore tempo si era già azzerato.
Una volta su in casa, al secondo piano, mentre la palazzina rimbombava di urla e di rumori soffocati (forse degli spari, ma che ne sapevo, avendoli sentiti sino a quel momento soltanto al cinema?), buttai in uno zaino tutto quel che mi veniva in mente e tra le mani alla rinfusa, avendo già ben chiara la destinazione: magliette tecniche, scarponi, maglioni, un pile, un giubbottone imbottito, una giacca a vento, calzettoni, mutande di lana, un cappello con i paraorecchie, occhiali scuri, caricabatteria per il cellulare, una pila, bustine di sali minerali K-VIS, stecche di cioccolato, aspirine e antidolorifici, i pennarelli. E naturalmente le chiavi. Armi non ne possedevo, ma m'infilai lo stesso dentro un coltellaccio da cucina che se non altro mi sarebbe tornato utile per affettare qualche forma di cibaria e un martello assai pesante. Se George Romero aveva avuto ragione, per stendere quegli stronzi dovevi spaccare loro la testa. Quando uscii dall'appartamento, pregai di non trovare nessuno per le scale. Le urla e i casini continuavano a provenire dagli interni abitativi. Mi fiondai di sotto, ma una volta posto il piede sul marciapiede, fui certo di avere raggiunto il capolinea. Due energumeni si stavano fronteggiando. A prima vista diventava complicato stabilire chi era il buono e chi il cattivo. Però uno ringhiava che sembrava un rottweiller e l'altro urlava: Bastardo, vaffanculo te e quella troia di tua madre!, e questo qui era per forza il buono. I due lottavano addosso al mio SUV, anzi ostruendomi proprio l'accesso. Si stavano mettendo le mani addosso e l'uno schiacciava l'altro contro la portiera che avrei dovuto aprire. Il buono teneva in mano un machete che però non riusciva proprio a usare. Lo zombie cattivo infatti con il braccio sinistro gli impediva il movimento della mano armata e con il destro gli schiacciava la faccia contro il vetro per avere più rapido accesso alla sua gola da sbranare. Il buono perse il machete. E a quel punto mi risvegliai dal torpore panico in cui ero caduto, catatonia con effetto lassativo durante la quale mi ero chiesto che ci faceva uno qualsiasi in una tranquilla zona di Milano con un machete. Voglio dire: questo machete lo possedeva da chissà quanto tempo. Perché? Perché uno, che non sembrava neppure in filippino (“vaffanculo te e quella troia di tua madre” era ottimo repertorio meneghino), doveva disporre di un machete da usarsi nel caso arrivasse il Giorno del Giudizio? Sì, lo so, deformazione professionale. Il tipo, prima o poi, se non fossero arrivati i mangiavivi, ci avrebbe fatto a pezzi la fidanzata o una donna a caso. Milano, sotto questo profilo, non teme rivali. Non temeva, pardon.
(il racconto continua nella prossima puntata di Yesterday Was 2012)
diritti riservati riproduzione vietata © Danilo Arona 2011
leggi la prima parte qui Potete leggere qui la precedente puntata di Arona & Serra: Yesterday Was 2012. Il prossimo appuntamento con il binocolo magico di Daniele Serra e le arcane visioni di Danilo Arona è per il 12 novembre. Non mancate!
Possono interessarti anche questi articoli :
-
Sua Maestà Italia
Dopo il padiglione del Nepal, l’unico abbandonato per necessità, rimasto a simbolo di un momento interrotto; accanto al padiglione della Corea, coinvolgente... Leggere il seguito
Da Dallomoantonella
CULTURA, FOTOGRAFIA -
After di Anna Todd
AfterSerie Afterdi Anna Todd Titolo: After Autore: Anna Todd Edito da: Sperling Kupfer Prezzo: 14.90 € Genere: Romanzo, new adult Pagine: 448 Trama: Acqua e... Leggere il seguito
Da Nasreen
CULTURA, LIBRI -
Il food trucks a New York, Barcellona e Parigi
La nuova moda è arrivata e le protagoniste sono furgoncini e carovane meravigliose. Stiamo parlando dei food truck, ovvero cibo di prima qualitá sulle... Leggere il seguito
Da Witzbalinka
CULTURA, VIAGGI -
La vetrina degli incipit - Giugno 2015
L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali... Leggere il seguito
Da La Stamberga Dei Lettori
CULTURA, LIBRI -
Stasera alle 23 su La7 Drive di Nicolas Winding Refn
Anno: 2011Durata: 95'Distribuzione: 01 DistributionGenere: AzioneNazionalita: USARegia: Nicolas Winding RefnDrive è un film del 2011 diretto da Nicolas Winding... Leggere il seguito
Da Taxi Drivers
CINEMA, CULTURA -
Luci e ombre di Calabria
Sono "emigrante". Nel senso che sono emigrata alla fine degli anni Novanta dalla Calabria al Lazio. Sono una di quegli emigranti senza il richiamo forte delle... Leggere il seguito
Da Luz1971
CULTURA, LIBRI