Árpád Weisz nasce nel 1896 a Solt, in Ungheria, da genitori ebrei ungheresi e di mestiere fa il calciatore. La prima istantanea che ci viene in mente pensando a Weisz risale al 1924, durante i Giochi Olimpici di Parigi: si gioca Ungheria – Egitto, e la fortissima selezione magiara – in cui militavano, oltre ad Árpád , i ben più noti Ferenc Hirzer e Bela Guttmann – decide di perdere 3-0 contro la modesta formazione nordafricana, in segno di protesta contro le idee antisemite di Miklòs Horti. La partita in questione viene ricordata come “il grande ammutinamento del 1924“.
Finita la carriera da giocatore – con trascorsi anche in Italia, nel Padova e nell’Inter – Weisz comincia un lungo girovagare per il mondo che lo porta a fare esperienze in Sud America – soprattutto in Uruguay, la culla del calcio degli anni ’20 -, fino a tornare nel 1926 all’Inter, allora chiamata Ambrosiana, questa volta da allenatore. La carriera da tecnico di Weisz è brillante: a soli 34 anni il tecnico ungherese vince sulla panchina nerazzurra il campionato 1929-1930, diventando il più giovane allenatore a vincere uno Scudetto – record imbattuto -. Weisz non solo rivoluziona il modo di fare calcio in Italia, importando il Sistema Chapman – il 3-2-2-3 chiamato anche WM – ma rivoluziona soprattutto il ruolo dell’allenatore, partecipando in prima persona agli allenamenti della squadra e distaccandosi drasticamente dalla figura di allenatore/direttore tipica degli anni 20′. Si deve a Weisz, tra le altre cose, il grande merito di aver lanciato nel calcio dei grandi il giovane – 17 anni – ed allora mingherlino Giuseppe Meazza, il Balilla, proteggendo e formando quello che da lì a pochi anni sarebbe diventato uno dei più forti giocatori della storia interista ed italiana.
Dopo l’esperienza milanese, Weisz passa al Bari – con cui ottiene una salvezza -, transita per Novara e nel 1935 arriva al Bologna. Sotto la guida del tecnico ungherese, i rossoblu vivono gli anni più gloriosi della loro storia: il Bologna vince due scudetti consecutivi – 1935-36 e 1936-37 – e si aggiudica nel 1937 il Torneo dell’Esposizione Universale di Parigi, battendo in finale il Chelsea per 4-1. La fama di Weisz raggiunge l’apice.
Negli anni successivi all’esperienza bolognese comincia il dramma della famiglia Weisz, un dramma che ci è stato raccontato infinite volte e che ha sconvolto tante altre famiglie oltre a quella di Árpád. Il 1938 è l’anno delle leggi razziali fasciste: il figlio di Weisz non può iscriversi a scuola, lui non può più allenare ed è costretto a fuggire con la famiglia in Olanda, dove guida la squadra del Dordrecht. Ma anche l’esperienza fiamminga è destinata a durare poco: nel ’41 il regime nazista impedisce agli ebrei di frequentare tutti i luoghi pubblici – compreso lo stadio -, e da lì il passo è breve perché Weisz venga deportato nel campo di Westerbork e poi ad Auschwitz.
Il finale della storia è di facile intuizione.
Ogni documento, quaderno, ricordo, che portasse il nome di Árpád Weisz viene eliminato e sotterrato. Devono passare 60 anni perchè un giornalista, appassionato di calcio, prenda in mano un cucchiaino e cominci a scavare, scavare a fondo nella memoria di chi è rimasto e di chi può raccontare. Grazie a Matteo Marani, noi tutti oggi conosciamo la storia del più grande allenatore in Italia degli anni ’30.
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