«Mi raccomando, stai attenta».
Abbracci, occhi lucidi e raccomandazioni. L’autobus va via lento, i genitori a terra salutano i figli che per la prima volta partono per l’università. In molti casi li rivedranno fra meno di una settimana, in tutti i casi sanno che non stanno salutando i figli solo per un breve periodo, ma per qualcosa che non riescono a spiegare, ma sentono cambierà le cose profondamente.
Le matricole sono un concentrato di speranze, attese e timori. Dentro l’autobus nessuno sta zitto, si sentono tantissime frasi. Se venissero scritte, invece che pronunciate, terminerebbero tutte con punti interrogativi.
«Tu dove hai preso casa?»
«Che autobus prendi per arrivarci?»
«Ma le aule di biologia sono tutte alla cittadella?»
Quelli che matricole non lo sono più da tempo li riconosci subito, hanno gli auricolari alle orecchie, qualcuno un libro aperto, e l’aria di chi spera di potersi addormentare per far si che il viaggio scorra più velocemente. Ma ad ottobre sugli autobus che portano gli studenti a Catania non si può dormire. Gli universitari adulti devono rispondere a quei punti interrogativi che si moltiplicano chilometro dopo chilometro. Allora si inizia con i consigli quando si è ancora in provincia di Ragusa e si finisce con le previsioni mentre si scorgono le luci dell’aeroporto di Catania. Gli argomenti sono sempre gli stessi, dalle lezioni agli autobus per spostarsi in città. Dalle serate universitarie ai racconti di furti, scippi e fermi.
Ogni anno, durante le prime domeniche di ottobre, autobus pieni di matricole partono da Scicli o Modica o Chiaramonte e vanno verso Catania. Non trasportano solo studenti ma speranze, sogni e attese. I genitori rimangono alla fermata e con gli occhi lucidi salutano i figli che vanno a prendersi il futuro. Sperando che prima o poi tornino a casa, e non solo per un fine settimana.