Magazine Opinioni
di Efisio Loi
Prendetela come la provocazione di un paranoico e abbiate pietà di me. Non riesco, per quanti sforzi faccia, a capacitarmi della protervia negazionista della scienza ufficiale. Forse faccio male in partenza, a fare di tutta l’erba un fascio, soprattutto quando cominciano a vedersi le prime crepe nella torre d’avorio. D’altra parte, però, tali cedimenti, molto periferici, potrebbero essere segni di un ulteriore espediente, quello della dissimulazione. Non si può negare che ogni sistema venga messo in atto pur di negare: dal muro di gomma all’occultamento, dalla menzogna alla citazione in giudizio. In quest’ultimo caso, estrema ratio, ultima spiaggia, mi sembra di ravvisare una richiesta di aiuto, supplichevole e perentoria insieme: è l’illuminata ragione che invita a far quadrato. Ricordo tanti anni fa, a cavallo fra i ’60 e i ’70 del secolo scorso, un Professore universitario che parlava con mio padre. Sardisti entrambi, il mio vecchio guardava al Luminare con gli occhi incantati di un bambino e, ormai in pensione, gli faceva da “segretario factotum”, insomma da “piciocheddu de is cumissionis”. Parlavano, non so più a quale proposito, di professioni liberali, di Avvocatura, e il Professore diceva: “Anche gli avvocati li facciamo noi, li fa l’Università.” Pensate, aveva una cattedra nella Facoltà di Ingegneria ma aveva ragione lui: l’Accademia è Unica.
Tutti aspirano ad essere nel “cerchio magico”, bisogna essere “in” non “out” e ce ne vuole per poterci entrare e restarci è, per i più, una faticaccia. Non si può permettere che “l’ordine delle cose” venga turbato dall’esterno, sono già tante le energie necessarie per mantenere gli equilibri interni, figuriamoci. Basta leggere una famosa “Ricerca” per divertirsi molto e imparare come vanno “le cose di questo mondo”. Per fortuna che un giudice a Berlino lo si può sempre trovare. Non è questa, però, la provocazione e la paranoia di cui, più su, ho chiesto venia. Su questo terreno so di essere in buona compagnia. L’idea bislacca naviga nell’empireo della trascendenza. La liturgia cattolica nel Vangelo della IV^ domenica di Quaresima, è stata l’innesco: “ Come Mosè innalzò il “serpente” nel deserto… (Giovanni 3, 14)”. Immediatamente il pensiero è corso agli scarabei di Aba e Gigi, a quelli in cui “il serpente” si erge in tutta la sua altezza. Gli Evangeli parrebbero scritti attorno ai 2000 anni fa ma Giovanni si rifà agli esili e ai tradimenti di Israele, che affondano le loro radici in secoli e secoli precedenti. È la Scrittura a parlarne (Numeri 21, 4-9) riportandoci al XIII° secolo a. c. e a Mosè, dove si manifesta l’ira del Signore (YHW?) e la sua misericordia. La Bibbia di Gerusalemme nella sua traduzione pone: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita.” Considerando per inciso che le miniere di rame dell’Araba erano attive nel XIII° secolo e nei paraggi, a Meneijeh, oggi Timna, sono stati trovati molti piccoli serpenti in rame (sarebbe interessante vedere come son fatti), subito chiamati serpenti di Mosè, possiamo essere sicuri di quella traduzione? Di quel “mettilo sopra un’asta”? ci dicono niente gli incantatori di serpenti, se ancora ce n’è, in India? Eh, il mondo è piccolo, allora ancora di più. Era quasi tutto attorno al Mediterraneo. E noi, sempre in mezzo al Mediterraneo si stava. L’unica cosa da stabilire è quanta acqua contenesse quel mare. È vero, ci sto girando attorno ma di provocazioni non se ne vedono. Giù la maschera! Fatto salvo chi prima e chi dopo ma, se questo (questa) YHW non è una invenzione tutta ebraica e la sua ingombrante presenza ce la troviamo così diffusa all’interno dello spartiacque che convoglia gran quantità di fiumi grandi e piccoli, con tutti i loro affluenti, al Mediterraneo, non ci sarà qualcosa da rivedere sul percorso storico delle religioni? Possono sembrare, queste, questioni di nessuna importanza in un momento in cui l’unica cosa che preoccupi è l’innalzarsi o l’abbassarsi dello spread e non certo l’ergersi di un cobra ma, ne siamo sicuri? C’è poco da fare la “Laicità” è l’asse portante della moderna civiltà. Abbiamo ritenuto un dovere esportarla e difenderla con le armi in quanto da essa promanano i diritti degli individui e dei popoli. Vuoi mettere? Scendere in guerra per queste cose e non per il petrolio? Poco importa se presso altri popoli e civiltà le cose non stanno così e il concetto stesso di democrazia e di diritti individuali può lasciare indifferenti: la nostra è la migliore delle civiltà, se non l’unica. Abbiamo inventato noi la separazione dei poteri fra Stato e Chiesa, cosa ottima per carità, ma non ci siamo fermati lì. In nome della Scienza abbiamo decretato la morte di Dio e vogliamo confinare ogni forma di culto e di religiosità nel ristretto ambito personale o, ben che vada, nel folklore. Immaginate questo irrompere nel campo dell’Accademia, Una e Indivisibile, di un Dio unico nell’Età del Bronzo. Rischia di mandare a carte quarantotto ogni costruzione accademica sulla Storia e sul Divenire umano. Per non passare da revanscista in attesa di un nuovo Congresso di Vienna o, peggio, di roghi per bruciare qualche donzella dalla chioma rossa, non dimentico di antichi studi di materie scientifiche, mi dichiaro dalla parte di Galileo e di Giordano Bruno. Non posso però, visto che sto dalla loro parte, far finta di niente quando l’Accademia si arrocca nella conservazione più becera, limitandosi a sostituire una religione con un’altra, perché i conti, che sembravano fatti, danno l’impressione di non tornare come qualcuno vorrebbe. Senza dimenticare che esistono, eccome, gli uomini di Scienza veri, nella Nuova Religione, comunque, ci sono i cardinali e i monsignori, c’è l’alto e il basso clero. Se da noi ci sono i parroci di campagna, pazienza, ce ne faremmo una ragione.
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