Repost by Splinder (3 dec. 2008)
La figura di Art Pepper (1925-1982), a causa della sua vita tormentata, segnata dalla droga e dal carcere, viene spesso accomunata a quella di Chet Baker, due “belli e dannati”.
Essi, fra il 1956 e 1957, ebbero anche occasione di registrare insieme una serie di brani che verranno pubblicati in due LP di successo The Route
e Playboys (quest'ultimo ripubblicato in anni recenti in CD con il titolo Picture of the Heart.)
I due personaggi, tuttavia, a parte l'innegabile talento e le disavventure giudiziarie, erano in realtà molto diversi. Shelly Manne che li conosceva bene, avendo suonato spesso con entrambi, in un'intervista rilasciata anni fà a Bruno Schiozzi, insistette su questo aspetto. A suo giudizio infatti Pepper era una persona gentile e amabile, mentre Chet era egocentrico, ambizioso ed egoista.Nel corso della propria vita Pepper ha aspirato sempre a raggiungere quella Straight Life, idea ricorrente fin dal 1954, quando incise per la prima volta quel titolo, divenuto anche il titolo della sua autobiografia scritta a quattro mani con l'ultima moglie Laurie Miller1.Obbiettivo purtroppo mai completamente perseguito a causa di quel cancro dell'anima che era la dipendenza dagli stupefacenti. Una strada in salita, difficile da percorrere, come sembra emblematicamente mostrare questa foto.
Nato da una famiglia disastrata, il padre marinaio e la madre una quindicenne di origine italiana, in seguito al divorzio dei genitori, che si disinteressarono completamente di lui, venne allevato dalla nonna materna senza avere più contatti con loro. Questo background familiare sarebbe all'origine della sua iniziazione alla droga.Dotato di uno straordinario talento musicale, sin da piccolo iniziò a suonare il clarinetto ispirandosi ad Artie Shaw.Dopo aver ascoltato alla radio Johnny Hodges e Benny Carter decise di dedicarsi allo studio del sax alto, e sin da giovanissimo si fece le ossa con un'orchestra da ballo in giro per la California. Questa utile esperienza gli aprì, a soli 18 anni, la strada verso una grande orchestra jazz, quella del suo idolo Benny Carter, dove ebbe modo di mettersi in luce. Successivamente entrò a far parte dell'orchestra di Stan Kenton, all'epoca molto alla moda, ma, dopo poco, venne chiamato sotto le armi, dove, però, continuò a suonare in una banda militare.Una volta congedato, dopo un breve periodo di free lance, venne richiamato da Stan Kenton, con il quale rimase per per ben 5 anni, divenendo uno dei solisti di punta dell'orchestra. Nella foto sotto lo vediamo giovanissimo in un elegante “look latino”.Nel 1950 il maestro, come era solito fare per i suoi musicisti più importanti, gli dedicò una composizione intitolata appunto Art Pepper.Nel dicembre 1951 incise alcuni brani in cui, per la prima volta, compariva come leader assieme al trombettista “kentoniano” Shorty Rogers. [Shorty Rogers/Art Pepper – Popo (Xanadu LP 148)].Nel febbraio del 1952, lasciata l'orchestra, debutta al Surf Club di Los Angeles con un proprio quartetto comprendente Hampton Hawes al piano, Joe Mondragon al basso e Larry Bunker alla batteria e vibrafono, riscuotendo un notevole successo. Quello stesso anno e l'anno successivo la rivista musicale Metronome, lo voterà come terzo miglior alto sassofonista dopo Charlie Parker e Lee Konitz, grazie anche ad uno stile personale che si differenziava da quello dei due colleghi, all'epoca invece molto seguiti ed imitati.La formula del quartetto, adottata prevalentemente in quegli anni, gli permise di evidenziare le sue qualità stilistiche, che possono essere apprezzate nei numerosi album comprendenti le incisioni di quegli anni, come ad esempio il Savoy Surf Ride del 1953 che contiene anche alcune incisioni con il tenorista Jack Montrose, molto interessanti.
Purtroppo quelli furono anche gli anni in cui venne, più di una volta, arrestato per uso di droga, e fino al 1957 il suo lavoro era continuamente spezzettato da periodi più o meno lunghi di carcere. Risalgono a quegli anni le già citate collaborazioni con Chet Baker.Nel 1957 nacque l'amicizia con Lester Koenig, proprietario della casa discografica Contemporary, che diventerà fondamentale per Pepper nei momenti più difficili. Il primo frutto di questa nuova collaborazione fu un album che diverrà una pietra miliare nella storia del jazz: Art Pepper meets the Rhythm Session in cui all'altosassofonista viene affiancata la favolosa ritmica del quintetto di Miles Davis di quegli anni, quello con John Coltrane, composta da Red Garland al piano, Paul Chambers al basso e Philly Jo Jones alla batteria.
Il risultato fu eccellente, Down Beat premiò il disco con il massimo punteggio (5 Stelle) ed ancora oggi resta un album tutto da ascoltare. La musica viene eseguita con grande maestria e l'amalgama con la sezione ritmica è tale che non sembra affatto che siano stati messi insieme solo per l'occasione.Due anni dopo nel 1959, venne realizzato un secondo album altrettanto pregevole ed interessante, anche per la formula completamente diversa: Art Pepper Plus Eleven: Modern Jazz Classics.
In esso vengono proposte diverse note composizioni di alcuni famosi jazzisti quali Charlie Parker, Gerry Mulligan, Sonny Rollins, Horace Silver, Thelonious Monk, e altri, tutte arrangiate magistralmente da Marthy Paich e arricchite da ottimi interventi solistici di Pepper, particolarmente in forma, non solo al sax alto, ma anche al clarinetto e al tenore, rivelandosi un bravissimo polistrumentista. Di alcuni di questi brani si possono ascoltare diverse versioni, eseguite nella stessa seduta, in cui Pepper alterna l'assolo fra il clarinetto e il tenore, dimostrando una straordinaria versatilità strumentale ed un particolare vena improvvisativa.Nonostante questi ottimi risultati artistici Pepper si dimostrò sempre più incapace di gestire la propria vita professionale, trovandosi costretto a fare il piazzista di strumenti musicali per sopravvivere.Ciononostante nel 1960 trovò il modo di realizzare un nuovo eccellente album ancora per la Contemporary: Gettin' Together sempre con la sezione ritmica di Miles Davis, che nel frattempo era parzialmente cambiata. Del vecchio organico restava solo Paul Chambers, mentre al piano a Garland era subentrato Wynton Kelly e alla batteria c'era Jimmy Cobb per P.J. Jones. In alcuni titoli suona anche Conte Candoli alla tromba, ma il suo apporto è tutt'altro che significativo.
L'anno dopo, purtroppo, per lui si aprirono le porte del famigerato carcere di San Quintino ed ebbe inizio un calvario che durerà per quasi 15 anni. Questo provvedimento così severo non fu dovuto a qualche feroce crimine, ma solo all'incapacità di liberarsi dalla schiavitù dell'eroina. Per anni la sua vita sarà caratterizzata da frequenti incarcerazioni, prolungate cure, quasi sempre senza esito, e gravi difficoltà economiche. Nel 1968 ottenne una breve scrittura con l'orchestra di Buddy Rich, esaurita la quale si ritrovò di nuovo in mezzo alla strada.Quelli per il jazz erano anni cruciali, di mutamenti stilistici e di sconvolgimenti estetici, difficili da seguire dal di fuori, ma grazie ai dischi egli riuscì a non perdere di vista quel mondo. Un musicista lo segnerà particolarmente: John Coltrane.Nella sua autobiografia confessa: «Per me ascoltare la sua musica si trattò di un'esperienza liberatoria, Mi permise di diventare musicalmente più avventuroso, di ampliare la scelta delle note e l'impatto emozionale. Mi aiutò a superare quelle inibizioni che mi avevano fin lì impedito di maturare artisticamente».Tuttavia solo nel 1975, all'età di 50 anni, dopo anni di angoscianti terapie e grazie all'affetto di molti amici e colleghi, alla dedizione della terza moglie Laurie, ed alla fiducia riposta da sempre in lui dal produttore Lester Koenig riprese gradualmente ad esibirsi ed a incidere.L'8 agosto tornò in sala d'incisione alla testa di un quartetto comprendente al piano quello stesso Hampton Hawes del suo primo quartetto di 23 anni prima, Charlie Haden al basso, e Shelly Manne alla batteria, un fedele amico che non lo aveva mai abbandonato anche negli anni di maggiore difficoltà.Il risultato fu un Living Legend , l'album che gli riaprì le porte della fama e del successo. La sua musica era diversa da quella di quindici anni prima, più matura, con una maggiore forza espressiva e più libera nelle improvvisazioni, e al contempo segnata dal suo tragico percorso esistenziale.
Questa “rinascita” fu caratterizzata da un crescente successo, sempre in continua ascesa, raggiungendo vertici elevati di popolarità anche a livello internazionale, stroncati solo da un'improvvisa morte per emorragia cerebrale nel 1982 a soli 57 anni. Qui sotto il numero di Musica Jazz del 1982 con l'annuncio della scomparsa.
Quegli ultimi 7 anni furono caratterizzati da una vastissima produzione discografica, il successo e la fama fecero si che tutto ciò che suonava, anche se non particolarmente significativo, venisse registrato, e districarsi fra questa mole di materiale non è semplice né facile.Degne di nota, a mio avviso, sono alcune incisioni registrate dal vivo al Village Vanguard nel 1977, che rappresentarono anche la prima volta in cui Pepper si esibiva a New York in veste di leader. L'edizione completa di quei concerti è riportata in ben nove CD, ma esiste anche un CD (un po' più difficile da reperire essendo stato pubblicato prima) contenente il meglio di quelle serate, più indicato per chi voglia farsi un'idea senza doversi sorbire ore e ore di musica.
Molto interessanti sono anche le incisioni del gruppo formato con il pianista bulgaro Milcho Leviev contenute nell'album Blues for the Fisherman, uscito a nome di quest'ultimo nel 1980 e registrate dal vivo al Ronnie Scott's Club di Londra
Infine non può mancare Straight Life del 1979, con un'altra ritmica da sogno: Tommy Flanagan al piano, Red Mitchell al basso e Billy Higgins alla batteria.
Di Art Pepper, indimenticabile artista, scevro da snobismi e insensibile alle mode, restano la sincerità e l'autenticità della sua musica, vissuta come fatto spirituale e spontaneo. Da alcuni è stato per certi versi paragonato al nostro Massimo Urbani, proprio per la lontananza dalle mode musicali e dai prodotti realizzati solo a fini commerciali.
1Straight Life. The Story of Art Pepper di Art e Laurie Pepper, Da Capo Press, 1994, Il libro non è mai stato tradotto in italiano ma un'interessante scheda critica può essere consultata a Questo link: