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ARTE CONTEMPORANEA: POP, TRASH e KITSCH – Cristina Palmieri per MAE Milano Arte Expo

Creato il 03 febbraio 2013 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo

quotazioni artisti e valutazione opere d'arte contemporaneaARTE CONTEMPORANEA: POP, TRASH e KITSCH. Cristina Palmieri per MAE Milano Arte Expo - Ci siamo lasciati (vedi ultimo articolo di Cristina Palmieri: >leggi) con il proposito di approfondire alcune categorie utilizzate per definire parte delle manifestazioni artistiche – fiere d’arte comprese – degli ultimi decenni. Spesso la caratteristica che tutte le accomuna, secondo alcuni critici d’arte, è il fatto di essere destinate ad un pubblico ampio, non più elitario. Per questa ragione sono state molte volte definite “popolari”, laddove, però, questo termine non deve trarci in inganno. Non dobbiamo leggerlo, infatti, secondo un’accezione marxista. Le forme d’arte specificate come “popolari” stanno semplicemente ad indicare che negli ultimi anni qualsiasi “opera d’arte” (anche qualora non appartenente alla nota corrente “POP”) nasce in un humus culturale dominato dai “mass media”, che sono la dimensione espressiva con cui quotidianamente ognuno di noi viene imprescindibilmente a contatto, nell’oggettività di un confronto che sempre meno spazio lascia alla riflessione e alla consapevolezza. >>

Esistono, ormai, proprio a livello di fruizione di massa, tutta una serie di codici e linguaggi –  afferenti alla computer graphic, alla pubblicità,  al design, all’industria cinematografica –  che sono entrati a far parte del comune patrimonio e che molti artisti utilizzano per dar vita alle proprie realizzazioni, spesso in una commistione stilistica che riesce ad attingere, in modo vario ed originale, ad una tradizione culturale condivisa che costituisce l’immaginario collettivo. Frequentemente il fruitore medio ignora autori e correnti artistiche, non sa quindi etichettare e storicizzare opere pittoriche, scultoree o installazioni nate dall’accostamento di stilemi plurimi ed eterogenei. Tuttavia riesce in ogni caso ad orientarsi – pur in certe circostanze rifiutandone la connotazione di opere d’arte – nel riconoscere in esse costanti espressive dell’epoca in corso.

Luigi Ontani- RivoltArteAltrove - Castello di Rivoli – 2011

Luigi Ontani- RivoltArteAltrove – Castello di Rivoli – 2011

Ecco quindi che oggi utilizziamo il concetto di “pop” – abbreviazione di “popular” – non tanto e non solo per definire ed individuare una precisa corrente artistica (appunto la “Pop Art”), quanto piuttosto per identificare la cultura di massa. A questo punto “pop” diventa una macro-categoria con la quale e nella quale riusciamo ad assimilare gran parte della produzione culturale degli ultimi cinquant’anni.  E’ come se ipotizzassimo un verosimile albero genealogico, considerandola come quella da cui poi si dipanano una serie di diramazioni e nella quale – invece – risulta possibile includere tutto ciò che non pertiene ad una cultura d’élite, alta (ammesso che oggi possa ancora esistere). In genere al pop si associano concetti quali quelli di globalizzazione, di standardizzazione (laddove molti ravvedono la causa di una cultura massificante che tutto fagocita e appiattisce), di successo, conseguentemente anche di speculazione economica.

Da qui si genera l’equivoco di chi considera, senza distinzione e a tutto tondo, il pop con la appiattimento valoriale e culturale, considerando il pop tautologicamente “trash” o “kitsch”.  In realtà i concetti  non sono per nulla sovrapponibili, anzi sono molto difficili da scandagliare. In una società, come già accennato, multiforme e composita – in cui la cultura è frequentemente un continuo rimando di stili, citazioni, autocelebrazione, sovrapposizioni –  la riproducibilità del banale certo è un rischio che quotidianamente ci investe. La sovrapposizione delle forme e dei generi comporta che talvolta alto e basso convivano, si sfiorino, si “combinino”. Ma non per questo tutto quello che si confronta e si contamina con il basso, con gli scarti più degradati e degradanti della nostra realtà, deve essere considerato in tal senso.

Per comprenderci meglio, trash dovrebbe essere reputato quanto – piuttosto – ostenti volutamente, senza un preciso riferimento valoriale, la banalità e la volgarità, come ha sempre sottolineato Ferroni, docente di Letteratura Italiana presso “La Sapienza” di Roma.

A differenza delle primigenie esperienze dadaiste e concettualiste di decontestualizzazione dell’oggetto, che –  come visto –  miravano ad operare una trasformazione semantica del medesimo, nonché a differenza del kitsch, che  ha comunque  come riferimento l’oggetto artistico, seppure in genere snaturato in una imitazione che deve essere qualitativamente  mediocre e sposare il cattivo gusto attraverso una precisa scelta, il trash rinuncia ad ogni intervento di tipo critico.  Si arriva perciò non ad  esibire l’oggetto, spesso in chiave grottesca, desacralizzante, legata alla dimensione dell’ “assurdo”, ma semplicemente a volgarizzare. Si rifugge dall’impegno, dalla riflessione intellettuale, proporzionandosi ad un mondo sempre più di frequente pervaso dall’eccesso, incapace di giudizio e avvezzo a brutture, violenza e degradazione.

Maurizio Cattelan – ‘All’ – Guggenheim – New York – 2012

Maurizio Cattelan – ‘All’ – Guggenheim – New York – 2012

Questi i canoni attraverso cui poter distinguere, nel contesto artistico, ma direi in quello culturale in senso lato, tra ciò che davvero è trash ed invece manifestazioni più autentiche, volte a conoscere, entrare in contatto con alcune dimensioni del contemporaneo, con quanto appunto è trash, per poterle poi denunciare e testimoniare. Le operazioni, per esempio, di artisti come Cattelan o Hirst, da molti vituperate e definite trash, certo discutibili da un punto di vista estetico o etico, hanno comunque questa valenza. Vi è perciò a monte una precisa consapevolezza, un intento artistico sostenuto da un desiderio di denuncia ed ironica demistificazione del presente. All’origine della “poetica” di questi autori  scorgiamo uno stile sarcastico e disincantato, finanche cinico, che impedisce di considerare le loro opere con quell’atteggiamento disfattista e reazionario che le liquida come degenerazioni. Sono d’accordo che sull’argomento si possano spalancare dibattiti di non semplice soluzione. E concordo nell’affermare che talvolta alcuni eccessi non abbiano fatto bene all’arte contemporanea, originando svariati equivoci, soprattutto a livello di mercato. Si è esperito fin troppo sovente quale confusione abbiano causato  tra due distanti concetti, quello di prezzo e quello di valore, importanti gallerie come la Saatchi di Londra, da cui è uscito il famoso gruppo della “Young British Art”.

DAMIEN HIRST, FOR THE LOVE OF GOD, 2007

DAMIEN HIRST, FOR THE LOVE OF GOD, 2007

 

Ed ecco che possiamo ora riagganciarci a questo gruppo per cercare di inquadrare il concetto di Kitsch.

Il Kitsch volutamente si allontana dal bello, non lo può né comprendere né contenere. Più spesso cerca di riprodurlo goffamente, facendosi “collettiva riproduzione del patetico”.  Artisti come Damien Hirst, Jeff Koons, Luigi Ontani, Maurizio Cattelan, Enrica Borghi, per citarne alcuni (eredi del concettualismo di Marcel Duchamp e dei Nouveaux Rèalistes ), puntano sull’effetto del disgusto o sull’assemblaggio ricercato ed estetizzante degli oggetti quotidiani, decontestualizzandoli per portarli a vivere come “oggetti-feticcio”, i quali sottolineano la ridondante spiritualità materialista del nostro tempo, ritualizzando la serialità, la riproducibilità, l’ idolatria inconsapevole che proietta tutti noi su un ipotetico palcoscenico massmediatico le cui luci patinano di folgorante luccichio l’inconsistenza  del  culto dell’ edonismo che ci fagocita e ci sta crollando addosso.

E’ stata sottolineata  spesso, come caratteristica del kitsch,  la mancanza del senso di creatività ed originalità propri di un’arte autentica. In effetti non mi sento di negare questa realtà, pur non sposando del tutto gli atteggiamenti catastrofistici di chi decreta in certe manifestazioni la morte dell’arte.

Se vogliamo cercare di semplificare e individuare un confine, come detto labile, tra il concetto di trash e quello di kitsch, possiamo affermare che un soggetto kitsch si pone intenzionalmente come “esteticamente analfabeta”. Il kitsch trionfa quando  disorienta, confonde, sconcerta l’osservatore, che rimane disarmato, forse perché messo di fronte a se stesso ed alla realtà in cui, volente o nolente, è immerso. L’obiettivo del trash, se un obiettivo cosciente esiste (poiché dal mio punto di vista spesso è il prodotto più eclatante ed inconsapevole di una non-cultura che non riconosce o non conosce se stessa)  è invece il disgusto, l’insidia del raccapricciante. Purtroppo il “gusto” delle masse viene, in parte almeno, indirizzato verso quelle che sono le costanti espressive dell’epoca in corso, come sottolineava Gillo Dorfles. Ecco perché è più probabile che una classe media denunci e  non accetti le manifestazioni di certi artisti, piuttosto che larghe masse diventino coscienti di essere non solo vittime, ma protagonisti, di una cultura del trash che ci sommerge come il debordante fluido mortale di Blob, il quale rappresenta alla fine quanto da cui un certo filone artistico  cerca di metterci in guardia, sottolineando il rischio di come ormai la nostra società si sia resa conto che il benessere non deriva dalla continua produzione di oggetti che stanno saturando il mercato, e forse anche le nostre vite, ma di fatto continui a trascurare la ricerca di nuovi modelli di vita.

Se l’arte concettuale mirava a raggiungere un grado zero dell’espressività,  rimuovendo eccessi,  sofisticazioni,  orpelli, arrivando sino a proporre il non-segno, certamente il kitsch esagera e offre temerariamente la sovrabbondanza semantica,  facendosi – intenzionalmente –  affettazione, trovata, retorica dello stereotipo . È povertà di significato reale e sovrabbondanza di segni, di nessi allegorici, esaltazione del dettaglio, dell’inutile e del trascurabile, saturazione del campo percettivo per mezzo dei dettagli. E’ forse, in poche parole, lo specchio dei nostri tempi.

CRISTINA PALMIERI

Maurizio Cattelan, L.O.V.E., 2010, Piazza Affari, Milano

Maurizio Cattelan, L.O.V.E., 2010, Piazza Affari, Milano

per informazioni, domande e richieste di consulenza e valutazioni: [email protected]

Cristina Palmieri

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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Cristina Palmieri per il testo ARTE CONTEMPORANEA POP, TRASH e KITSCH e per la rubrica Il filo di Arianna dedicata al mercato dell’arte, all’andamento delle quotazioni artisti contemporanei e al collezionismo.

MILANO ARTE EXPO, mercato ARTISTI E QUOTAZIONI
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