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Ma l'avvento del sonoro incrina la fama di George Valentin che, turbato dal rumore delle parole, si ostina a proporre la rappresentazione della vita con l'eloquenza muta della mimica, perché è convinto che l'arte dell'attore sia affidata esclusivamente all'intensità delle “smorfie” del volto e alla drammatica flessibilità corporea in grado di assecondare la sensibilità immaginativa.
Poi la Fortuna, mutevole dea che muta le sorti degli uomini e ne intrica le storie, annoda il declino di George all'ascesa trionfante di una giovane donna, Peppy Miller, già ammiratrice estasiata dall'arte di lui. Peppy ama George integralmente. Ne ha colto l'ingenua umana dedizione all'arte come amata compagna della vita.
Ma l'arte riconosciuta dalla fama è soggetta al tradimento. Non è così se essa è compresa dall'amore autentico. Gli amanti sono cloro che colgono l'essenza dell'amato e di quella nutrono il desiderio infinito dell'altro. E George Valentin è amato da tre creature, angeli che lo restituiscono a quel sé autentico che lui non riconosce più. Due di queste creature, il suo cane e il suo maggiordomo, gli restano accanto anche quando, spentesi le luci della ribalta, George rimane povero in canna. Ma è Peppy l'angelo salvifico. E non perché, dopo essere diventata famosa e ricca, sottrae alla perdita tutte le cose più care di George, acquistandole all'asta, ma perché gli dona la speranza, confidando in lui. La fede di Peppy persuade Valentin a vivere e a non temere le metamorfosi dell'esistente, attraendolo nella magia della danza, gioco corporeo, arte senza parole, quelle parole che George è convinto di non saper modulare. E così la storia si chiude con un gioioso tip tap. A passo di danza George varca sorridente la soglia del nuovo mondo, al quale può ancora regalare le gioie della sua arte.
L'Artista è un film lieve e appassionato, un film per gli amanti della vita bella. La vita bella non è la bella vita nel senso di dolce vita. È l'arte di dimenticare affinché sia concessa alla memoria la possibilità di fecondare i semi nel grembo dell'oblio, i quali, come quelli nascosti nel grembo della terra, germoglieranno verdi e fioriti all'eterno ritorno di Primavera.
La struttura metanarrativa dona al film profondità filosofica, moltiplicando le prospettive della finzione, ma la scelta del regista di creare un'opera muta, per denunciare la crisi epocale che investì e rinnovò anche il cinema, è un poetico tributo d'amore al muto. La poesia del film L'artista racconta l'arte rimpianta da George Valentin e ne celebra quel valore ingenuo e grandioso che è proprio dell'arte poetica ai suoi albori, allorquando gli uomini artisti “avvertono con mente perturbata e commossa”, per dirla con le parole più note di Giambattista Vico. E del resto nella parola attore c'è tutto il senso di quest'arte. Infatti, l'attore agisce la vita sulla scena, incarnandola nel patimento del suo corpo, senza il rumore delle parole, ovvero senza il gelido lògos. In questa ri-creazione consiste la poesia del film L'Artista, che sono contenta di aver visto in ritardo, quando il rumore delle critiche, che sempre accompagnano la fama, si è spento, e, nel silenzio, si può riconoscere il segno eterno dell'arte che brilla oltre il passare del tempo, soprattutto di questo nostro tempo troppo rumoroso.
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