Sto leggendo “Vita d’artista” di Cassola e sono sorpresa dall’attualità della tematica.
Leone Verrasto è un giovane scultore che si trasferisce a Roma con lo scopo di sfondare. Siamo negli anni Trenta, in pieno periodo fascista.
Verrasto vuole vivere da artista tra gli artisti, e così inizia a frequentare un gruppo di giovani come lui che però, a giudicare dalle premesse, non arriveranno molto lontano. Mi colpisce la volontà di Verrasto di adattarsi a questa compagnia, a costo di andar contro a certe sue convinzioni. Ad esempio, da buon meridionale, crede nel matrimonio, gli piacerebbe sposarsi, ma siccome nella cerchia degli artisti si dice che sia meglio restare scapoli, anche lui se ne convince.
Poi: lui è un tipo solare, a cui piace attaccare bottone con tutti, anche se appena incontrati per strada. Ma nel giro vige la regola non scritta che non si debba mostrare entusiasmo per nulla.
Parla bene dell’arte moderna, quando invece sarebbe portato più per il monumentale e si sente come se fosse nato nel secolo sbagliato.
E arriva al punto di rimpiangere la sua ricchezza: lui è un figlio di papà mantenuto con larghezza dal genitore che si aspetta grandi cose dal primogenito; ma se fosse povero… sì, le privazioni gli donerebbero un punto in più nella sua rincorsa all’immagine dell’artista che si è creato nella testa.
Insomma, si obbliga a tante di quelle finzioni e reticenze, con se stesso e con gli altri, da non risparmiare nessun campo, nè privato nè pubblico.
Mi pare dunque che il tema della Verità salti fuori spesso in questo romanzo. E il lettore di oggi sorride davanti ai discorsi che Verrasto sente fare sull’Urss dai suoi amici che, da comunisti dichiarati, negano l’esistenza di ubriachi e prostitute nel paese di Stalin.
Ma… ci può essere libertà senza Verità?
L’idea che ci si fa dell’artista è proprio quella dell’outsider, del coraggioso iconoclasta, dell’uomo sciolto da vincoli sociali e morali. Eppure Verrasto vive ed opera in pieno fascismo: totalitarismo non fa certo rima con libertà (anche se la ristretta libertà di Verrasto non è dovuta solo al regime).
Certo, se prendo in mano il Gombrich, l’importanza delle regole nell’arte salta subito all’occhio. Pensiamo agli egiziani: i piedi dovevano essere rappresentati solo di fianco, il petto doveva offrirsi in tutta la sua ampiezza, l’occhio, sebbene ripreso di lato, doveva essere disegnato intero rinunciando ad ogni velleità prospettica… Poi però arrivano i greci, e nel 500 a.C. vediamo il primo piede rappresentato di fronte, dove le dita sono ridotte a cerchietti: eresia!
O libertà?
Penso che l’arte viva/sopravviva sul confine tra regola e libertà. Senza regole rischiamo che tutto finisca nello scatolone etichettato “arte”, anche una stanza piena di specchi rotti, come a una Biennale veneziana di qualche anno fa.
L’equilibrio tra regole e libertà è un equilibrio dinamico: dagli egiziani ai sassi in mezzo alla stanza la distanza non è certo solo temporale. Oggi sembra che si penda verso l’eccesso di libertà, tutto può diventare arte, come tutto poteva entrare nelle capsule del tempo di Warhol. Ma è solo apparenza…
Come dicevo all’inizio, un artista deve essere libero, e per essere libero deve conoscere la Verità.
Intanto, stiamo perdendo la memoria (e non è un caso se Mnemosine era la madre delle muse). Poi siamo poveri di energie spirituali: le poche che ci restano le dedichiamo a far soldi e a coltivare i simboli di stato. E quando l’energia interiore (nonostante tutto, ne abbiamo ancora) si fa sentire, non siamo capaci di controllo, e cadiamo negli eccessi. La povertà di energie si riflette nella debolezza del desiderio e nella scarsa propensione alla manualità. In queste condizioni è sempre più difficle che i nostri atti, arte compresa, permettano quello svelamento della Verità che sfocia nell’utile e nel buono (senza scomodare i filosofi greci, sfioriamo il Mancuso di “L’anima e il suo destino”: alla Verità si giunge con un lavoro sia intellettuale che morale).
Insomma, l’arte è regola, libertà, memoria, energia, controllo, desiderio, manualità, svelamento, bontà…
E perché non tornare alle origini. L’arte deve ritrovare e ricreare la spinta che l’ha fatta nascere nelle caverne preistoriche, e che non vedo nei musei contemporanei, né leggo nei discorsi di Leone Verrasto: la magia.