Arthur Rimbaud
Lettera del veggente
Traduzione dall’originale in francese Lettre du voyant
di Marco Vignolo Gargini
INTRODUZIONE A CURA DEL TRADUTTORE
A cinque mesi dal compimento del suo diciassettesimo anno di vita, che sarebbe caduto il 20 ottobre, Arthur Rimbaud scrisse e inviò due lettere, una al suo insegnante di letteratura francese Georges Izambard (13 maggio 1871), l’altra a un giovane poeta amico di Izambard, Paul Demeny (15 maggio 1871). La prima fu l’annuncio in sintesi del contenuto della seconda:
“…Adesso, io mi do ai bagordi il più possibile. Perché? Io voglio essere poeta, e lavoro per rendermi veggente: Lei non comprenderà affatto, e io non sarei quasi in grado di spiegare. Si tratta di pervenire all’ignoto attraverso lo sregolamento di tutti i sensi. Enormi sono le sofferenze, ma bisogna essere forte, essere nato poeta, ed io mi sono riconosciuto poeta. Io non ne ho per niente colpa. È falso dire: Io penso. Si dovrebbe dire: Mi si pensa. Perdoni il gioco di parole.
IO è un altro. Tanto peggio per il legno che si rinviene violino, e alla malora gli incoscienti, che fanno i sofisti su ciò che ignorano completamente!
Lei non è più insegnante per me. Io Le dono questo: della satira, come direbbe Lei? Della poesia? È la fantasia, sempre. – Ma, La scongiuro, non sottolinei né con la matita, né troppo con il pensiero…”
Arthur Rimbaud nella stessa lettera, poco prima del passo citato, fa il paragone tra il modo di vedere la poesia, e quindi la vita, del professore liceale, e il suo non voler cadere nella morsa dell’istituzionalizzazione. All’insegnante ricorda le sue parole, “On se doit à la Société, m’avez-vous dit” (“Dobbiamo noi stessi alla Società, mi ha detto”), e poi replica polemicamente:
“ …Io devo me stesso alla Società, è giusto, – e ho ragione. – Anche Lei, Lei ha ragione, per oggi. In fondo Lei non vede altro nel suo principio che la poesia soggettiva : la Sua ostinazione a riconquistare la greppia universitaria – mi scusi ! – la prova. Ma Lei farà sempre la fine del soddisfatto che non ha fatto niente, non avendo voluto far niente. Senza contare che la Sua poesia soggettiva sarà sempre orribilmente insipida. Un giorno, lo spero, – e tanti altri sperano lo stesso, – io vedrò nel Suo principio la poesia oggettiva, io la vedrò più sinceramente di Lei ! – Io sarò un lavoratore: è l’idea che mi frena quando la rabbia folle mi spinge spinge verso la battaglia di Parigi, – dove tanti lavoratori peraltro muoiono ancora mentre io Le scrivo! Lavorare adesso, mai, mai; io sono in sciopero”
Nella sua brevissima attività di poeta, praticamente un lustro, Arthur Rimbaud ha avuto ragione: la sua poesia “oggettiva” è ricordata, è celebrata, viene studiata dappertutto, e spesso fraintesa, mistificata, strumentalizzata, come succede, ahimè, alle opere degli artisti di genio. Il “lavoratore” Izambard è ricordato solo per essere stato l’insegnante di Arthur Rimbaud al Liceo di Charleville, non certo per la sua poesia “soggettiva”, quindi, ha avuto torto, con l’unica consolazione di poterlo avere in nome di quel principio così bene espresso da un “omo sanza lettere” come Leonardo da Vinci, il quale chiosava “Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro”. Rimbaud ha “avanzato”, surclassato il suo maestro, divenendo un classico, un autore di opere date una volta per sempre, intramontabili.
La seconda lettera, ormai nota con il titolo Lettre du voyant, inviata ad un poeta, Paul Demeny, anch’esso pressoché obliato, ribadisce sostanzialmente e con più decisione la differenza tra l’essere un talento che si scopre da solo attraverso un lavoro immenso di “dérèglement de tous les sens”, ed essere un “lavoratore” che si limita a chiosare l’altrui opera.
Rimbaud crede di essere in procinto d’ottenere (se non di averlo già ottenuto!) ciò che Charles Baudelaire proclama nel finale della lirica Le Voyage: “Enfer ou Ciel, qu’importe? / Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!” (“Cielo o Inferno, che importa? In fondo all’Ignoto per trovare il nuovo!) [1], ovvero il raggiungimento di ciò che non è stato ancora rappresentato, l’Inconnu. Come Baudelaire, forse più di Baudelaire, Arthur Rimbaud chiede all’arte il radicale rinnovamento, e la Lettre du voyant si può definire il manifesto di una rinascita totale che vede nell’artista il suo profeta.
Si sa che in seguito Rimbaud riassetterà le sue posizioni, probabilmente nel disincanto, probabilmente nella convinzione personale di non aver realizzato in pieno ciò che si prefiggeva all’epoca della scrittura della lettera a Paul Demeny, e testimoni potrebbero essere i passi in prosa di Alchimie du verbe (Alchimia del verbo) all’interno di Une saison en enfer (Una stagione all’inferno, presente su questo sito nella mia versione), nonché, non senza nostalgia, la magnifica Jeunesse IV (Giovinezza IV) delle Illuminations :
Tu sei ancora dentro la tentazione d’Antonio. Lo spasso dello zelo accorciato, i tic di puerile orgoglio, l’accasciamento e il terrore. Ma tu ti metterai al lavoro: tutte le possibilità armoniche ed architettoniche si muoveranno attorno al tuo seggio. Degli esseri perfetti, imprevisti, s’offriranno alle tue esperienze. Nelle tue vicinanze affluirà trasognante la curiosità di antiche folle e di lussi oziosi. La tua memoria e i tuoi sensi non saranno che il nutrimento del tuo impulso creatore. Quanto al mondo, quando tu uscirai, che sarà divenuto ? In ogni caso, nulla delle attuali apparenze! ” [2]
Rimbaud, l’adolescente che si fece poeta, si fece veggente, ponendo l’Io al centro del mondo, per il mondo, in un élan titanico verso quel secolare sogno artistico della conquista dell’Inconnu, ad un certo punto della sua vita depose la penna, stette, per dirla con Dante, “contento al quia” di ciò che aveva conseguito in ambito letterario. Non scrisse più, decise di disinteressarsi della sorte della sua opera fino ad allora compiuta (a Demeny, e non solo a lui, chiese addirittura di bruciare le composizioni che a suo tempo gli aveva inviato). La rinuncia di Rimbaud potrebbe essere letta alla stregua di un atto avveduto di ammissione dell’esaurimento della propria vena poetica, come se quel “demone” interiore che aveva insufflato versi, prose, sogni immensi di trasformazione dell’umanità, si fosse misteriosamente ammutolito, incapace di dettare ancora un altro verso, un’altra prosa, un altro sogno. Il silenzio di Rimbaud, che durò fino all’ultimo suo giorno di vita, ha quasi il sapore di uno sciopero permanente, di un rifiuto del lavoro alla “catena di montaggio” della produzione poetica, di una protesta contro tutti i sistemi che anticamente si volevano sfidare. S’è anche parlato d’una passività insita in quei être voyant, se faire voyant (“esser veggente, farsi veggente”), di una sorta di allucinazione che il ragazzo di Charleville si ritrovò a “sedare”. Il risultato di questa “guarigione” sarebbe stato allora il silenzio? Un silenzio interpretato quale attività cosciente che avrebbe scaricato questo long, immense et raisonné dérèglement de tous les sens (“ lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi”)? Trovo che le discussioni infervorate in ambito critico sull’attività-passività, sul dentro-fuori della poesia, o della letteratura in genere, siano i “giochi di bimbi” di eraclitèa memoria [3], o, per citare un altro grande poeta, ricordino La poesia (In Italia) di Eugenio Montale (1896-1981):
“Dagli albori del secolo si discute
se la poesia sia dentro o fuori.
Dapprima vinse il dentro, poi contrattaccò duramente
Il fuori e dopo anni si addivenne a un forfait
Che non potrà durare perché il fuori
È armato fino ai denti.”. [4]
Nel frattempo, mentre il fuori è agguerrito e prova a rompere la tregua, ascoltiamo Arthur Rimbaud donare a Paul Demeny, e donarci, questa heure de littérature nouvelle (ora di letteratura nuova).
uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu
A Paul Demeny
a Douai.
Charleville, 15 maggio 1871.
Mi sono deciso a donarLe un’ora di letteratura nuova. Comincio subito con un salmo di attualità:
Chant de guerre parisien [5]
Le Printemps est évident, car…
A. Rimbaud.
– Ed ecco della prosa sull’avvenire della poesia: –
Tutta la poesia antica tende alla poesia greca, Vita armoniosa. – Dalla Grecia al movimento romantico, – medioevo, – vi sono dei letterati, dei versificatori. Da Ennio [6] a Turoldo [7], da Turoldo a Casimir Delavigne [8], tutto è prosa rimata, un gioco, svaccamento e gloria di innumerevoli generazioni idiote: Racine [9] è il puro, il forte, il grande. – Se si fosse soffiato sulle sue rime e imbrogliato i suoi emistichi, il Divino Sciocco sarebbe oggi ignorato quanto un qualsivoglia autore di Origini. – Dopo Racine, il gioco s’ammuffisce. È durato duemila anni!
Nessuno scherzo nessun paradosso. La ragione m’ispira più certezze sull’argomento di quante ire avrebbe potuto avere un Jeune-France [10]. Del resto, i nuovi sono liberi di esecrare i vecchi: siamo a casa nostra e abbiamo il tempo.
Non s’è mai giudicato bene il romanticismo. E chi l’avrebbe giudicato? I critici? I romantici? che provano così bene che la canzone è così di rado l’opera, e cioè il pensiero cantato e compreso dal cantore?
Giacché Io è un altro. Se l’ottone si risveglia tromba, non è per niente colpa sua. Ciò mi pare evidente: io assisto allo schiudersi del mio pensiero: io lo guardo, io lo ascolto: do un colpo d’archetto: la sinfonia si rimescola nelle profondità, oppure arriva con un balzo sulla scena.
Se i vecchi imbecilli non avessero trovato dell’Io che il significato falso, non avremmo da spazzar via questi milioni di scheletri che, da tempo infinito, hanno ammucchiato i prodotti della loro orba intelligenza, proclamandosene gli autori!
In Grecia, ho detto, versi e lire ritmano l’Azione. Dopo, musica e rime sono giochi, svaghi. Lo studio di questo passato affascina i curiosi: parecchi si dilettano a rinnovare queste anticaglie: – a loro sta bene. L’intelligenza universale ha sempre lanciato le sue idee naturalmente; gli uomini raccattavano una parte di questi frutti del cervello: agivano con esse, ci scrivevano libri: tale era l’andamento, poiché l’uomo non lavorava a se stesso, non essendo ancora desto, o non ancora nella pienezza del gran sogno. Dei funzionari, degli scrittori: autore, creatore, poeta, quest’uomo non è mai esistito!
Il primo studio dell’uomo che vuole essere poeta è la sua propria conoscenza, intera; egli cerca la sua anima, la indaga, la tenta, l’apprende. Da che poi la sa, la deve coltivare; questo sembra semplice: in ogni cervello si compie uno sviluppo naturale; tanti egoisti si proclamano autori; ve ne sono molti altri che si attribuiscono il proprio progresso intellettuale! – Ma si tratta di rendere l’anima mostruosa: a guisa di comprachicos, insomma! Immagini un uomo che si pianti e coltivi le verruche sul viso.
Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente.
Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale lui diventa il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il supremo Saggio! – Perché arriva all’ignoto!
Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli arriva all’ignoto, e quando, impazzito, finisse col perdere l’intelligenza delle sue visioni, lui le ha viste! Che crepi nel suo salto tra le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l’altro si è accasciato!
– il seguito fra sei minuti -
Qui faccio intercalare un secondo salmo, un fuori testo: voglia porgermi un compiacente orecchio, – e tutti saranno deliziati. – Ho l’archetto in mano, io comincio:
Mes petites amoureuses [11]
Un hydrolat lacrymal lave…
A. R.
Ecco. E noti bene che, se io non temessi di farLe sborsare più di 60 centesimi di tassa, – io, povero sventurato che, da sette mesi, non ho tenuto in mano neppure un soldo di bronzo! – Le darei anche i miei Amants de Paris, cento esametri, Signore, e la mia Mort de Paris, duecento esametri! [12]
– Riprendo:
Dunque il poeta è veramente il ladro del fuoco.
Egli è incaricato dall’umanità, dagli animali stessi; egli dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se ciò che riporta da laggiù ha forma, egli dà forma; se è informe, egli dà l’informe. Trovare una lingua; – Del resto, essendo ogni parola un’idea, il tempo di un linguaggio universale giungerà! Bisogna essere accademici, – più morti di un fossile, – per completare un dizionario, di qualunque lingua sia. Se dei deboli si mettessero a pensare sulla prima lettera dell’alfabeto, potrebbero rovinare subito nella follia!
Questa lingua sarà l’anima per l’anima, riassumendo tutto: profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e lo tira. Il poeta definirebbe la quantità d’ignoto desto nel suo tempo nell’anima universale: egli darebbe più – che la formula del suo pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormità che diventa norma, assorbita da tutti, egli sarebbe davvero un moltiplicatore di progresso!
Quest’avvenire sarà materialista, Ella lo vede; – Sempre pieni di Numero e di Armonia, questi poemi saranno fatti per restare. – In fondo, sarebbe ancora un po’ la Poesia greca.
L’arte eterna avrebbe le sue funzioni, così come i poeti sono cittadini. La Poesia non ritmerà più l’azione; sarà avanti.
Questi poeti saranno! Quando sarà spezzata l’infinita schiavitù della donna, quando lei vivrà per sé e grazie a sé, avendola l’uomo, – fin qui abominevole, – congedata, lei sarà poeta, anche lei! La donna troverà dell’ignoto! I suoi mondi d’idee differiranno dai nostri? – Lei troverà strane cose, insondabili, ripugnanti, deliziose; noi le prenderemo, noi le comprenderemo.
Nell’attesa, chiediamo ai poeti il nuovo, – idee e forme. Ogni provetto crederebbe ben presto di aver soddisfatto tale domanda. – Non è affatto così!
I primi romantici sono stati veggenti senza rendersene conto troppo bene: la coltivazione delle loro anime è iniziata dagli incidenti: locomotive abbandonate, ma ardenti, che riprendono per qualche tempo le rotaie. - Lamartine [13] è talvolta veggente, ma strozzato dalla vecchia forma. – Hugo [14], troppo testardo, ha, pure, del visto negli ultimi volumi: Les Misérables sono un vero poema. Ho sotto mano Les Châtiments; Stella offre pressappoco la misura della visione di Hugo. Troppo Belmontet [15] e Lamennais, troppo Geova e colonne, vecchie enormità scoppiate.
Musset [16] è quattordici volte esecrabile per noi, generazioni dolorose e in preda alle visioni, – che la sua angelica pigrizia ha insultate! Oh! racconti e proverbi scipiti! oh, le notti! oh Rolla, Namouna, la Coupe! Tutto è francese, ossia odioso al massimo grado; francese, non parigino! Ancora un’opera di quell’odioso genio che ha ispirato Rabelais [17], Voltaire[18], Jean de la Fontaine [19]! Commentato dal Signor Taine [20]! Primaverile, lo spirito di Musset! Fascinoso, il suo amore! Eccola là, la pittura su smalto, la poesia solida! sarà Si gusterà per molto tempo la poesia francese, ma in Francia. Qualsiasi garzone di bottega è capace di buttar giù un’apostrofe alla Rolla, ogni seminarista ne porta le cinquecento rime nel segreto del suo taccuino. A quindici anni, questi slanci di passione mettono i giovani in fregola; a sedici anni, si accontentano già di recitarli con cuore; a diciotto anni, pure a diciassette, qualunque collegiale che ne abbia i mezzi, fa il Rolla, scrive un Rolla! Qualcuno può darsi è ancora capace di morirne. Musset non ha saputo far niente: c’erano visioni dietro il velo delle tende: lui ha chiuso gli occhi. Francese, mollaccione, trainato dall’osteria al banchino del collegio, il bel morto è morto, e, ormai, non diamoci più neanche la pena di risvegliarlo con i nostri abomini!
I secondi romantici sono molto veggenti: Th. Gautier [21], Lec. de Lisle [22], Th. de Banville [23]. Ma ispezionare l’invisibile e sentire l’inaudito essendo altra cosa che riprendere lo spirito delle cose morte, Baudelaire [24] è il primo veggente, il re dei poeti, un vero Dio. Sebbene egli sia vissuto in un ambiente troppo artistico; e la forma così vantata in lui è meschina: le invenzioni d’ignoto reclamano forme nuove.
Rotta alle forme vecchie, fra gli innocenti, A. Renaud, – ha fatto il suo Rolla; L. Grandet, – ha fatto il suo Rolla; i galli e i Musset, G. Lafenestre, Coran, Cl. Popelin, Soulary, L. Salles; gli scolari, Marc, Aicard, Theuriet; i morti e gli imbecilli, Autran, Barbier, L. Pichat, Lemoyne, i Deschamps, i Desessarts; i giornalisti, L. Cladel, Robert Luzarches, X. de Ricard; i fantasisti, C. Mendès; i bohème; le donne; i talenti, Léon Dierx, Sully-Prudhomme, Coppée [25], – la nuova scuola, detta parnassiana, ha due veggenti, Albert Mérat [26] e Paul Verlaine [27], un vero poeta. – Ecco. – Così io lavoro a rendermi veggente. – E concludiamo con un canto pio.
Accroupissements
Bien tard, quand il se sent l’estomac écreuré,
Ella sarebbe esecrabile a non rispondermi; presto, ché fra otto giorni io sarò a Parigi, forse.
Arrivederci,
A. RIMBAUD.
[1] Charles Baudelaire, Le Voyage, in I fiori del male, Feltrinelli, Milano 1983, p. 260.
[2] Opere di Arthur Rimbaud, Feltrinelli, Milano 1988, p. 298 (la traduzione è mia).
[3] “πόσωι δὴ οὖν βέλτιον Ἡ. παίδων ἀθύρματα νενόμικεν εἶναι τὰ ἀνθρώπινα δοξάσματα.” (Assai meglio riteneva Eraclito che le opinioni umane fossero) giochi di bimbi.) Eraclito, Fr.70 D.K., Iambl. de an. ap. Stob. II 1,16 (II, p. 6 H.). http://marteau7927.wordpress.com/2011/07/14/eraclito-di-efeso-frammenti-7/
[4] Eugenio Montale, La poesia (In Italia) in Quaderno di quattro anni, in Eugenio Montale Tutte le poesie, I edizione I Meridiani, Mondatori, Milano 1984, p.604.
[5] “Canto di guerra parigino” è presente su questo sito nella mia versione delle Poésies di Rimbaud.
[6] Ennio (239-169 a.C.) è il poeta latino autore degli Annales, poema epico in 18 libri (di cui ci restano circa 600 versi) che narra la storia di Roma dalle origini fino ai tempi dell’autore. Introdusse l’esametro dattilico della tradizione omerica al posto dell’antico verso saturnio.
[7] Turoldo o Turoldus, che Rimbaud scrive nella forma ibrida latinizzata Théroldus dal francese Théroulde, è il personaggio nominato nell’ultimo verso della Chanson de Roland (codice di Oxford), composta tra il 997 e il 1130 in 4002 decasillabi: “Ci falt la geste que Turoldus declinet” (“Qui finiscon le gesta che Turoldo ‘depone’). Seguendo diverse interpretazioni del verbo declinet, Turoldo può essere considerato come l’autore presunto della cronaca che ispirò il poema, o l’amanuense che ricopiò il manoscritto, o il giullare che recitava il poema, oppure, ipotesi più accreditata, lo stesso autore dell’opera.
[8] Casimir Delavigne (1793-1843), poeta e drammaturgo francese, è famoso per la raccolta di dodici odi Trois messéniennes (“Tre messeniche”), per la tragedia storica Les vêpres sicilienns (“I vespri siciliani”) e per la commedia Marino Faliero.
[9] Jean Racine (1639-1699) è il più famoso poeta tragico francese del XVII secolo insieme a Pierre Corbeille (1606-1684).
[10] La Jeune-France è il nome dato alla generazione romantica francese, presa di mira da Théophile Gautier (1811-1872) nel suo scritto Les jeunes-France (1833).
[11] “Mie piccine innamorate” verrà prossimamente pubblicata to nella mia versione delle Poésies di Rimbaud.
[12] Di queste due composizioni, Amants de Paris e Mort de Paris non v’è traccia alcuna. Forse si tratta di liriche scomparse, oppure cestinate dallo stesso Rimbaud. Sarei meno convinto dell’ipotesi avanzata da qualche critico, secondo cui le poesie citate nella lettera non sarebbero nemmeno state scritte: se fossero opere inesistenti, non si comprenderebbe il motivo per cui Rimbaud avrebbe dovuto nominarle aggiungendo addirittura la loro lunghezza in versi (Amants de Paris, cento esametri e Mort de Paris, duecento esametri)! Chi ha congetturato, in perfetta mala fede, la spavalderia sbruffona di un giovane poeta che dichiara apertamente il falso, a mio parere, dovrebbe fornire delle prove o, perlomeno, tacere.
[13] Alphonse de Lamartine (1790-1869) fu tra i poeti francesi del XIX secolo uno dei più impegnati politicamente: repubblicano fervente, è famoso, oltre che per le liriche ispirate da un sentimentalismo e uno spiritualismo spiccati, per la sua Histoire des Girondis (Storia dei girondini) pubblicata nel 1847.
[14] Victor Hugo (1802-1885), gloria nazionale francese, è considerato trop cabochard (“troppo testardo”) da Rimbaud, e viene citato per il suo capolavoro narrativo Les Misérables (I Miserabili, edito nel 1862), e per la raccolta poetica Les Châtiments (I castighi, edito nel 1853), in cui spiccherebbe, a demerito di Hugo secondo Rimbaud, la lirica Stella.
Victor Hugo, giovanissimo, cominciò a interessarsi di letteratura con il fratello Abel. Nell’opera Odes et poésies diverses (Odi e poesie diverse, 1822) seguì le forme classiche con atteggiamenti cattolici e monarchici: ma nella produzione narrativa già rivelava elementi romantici (come nel romanzo Hans d’Islande, [Hans d’Islanda], 1823). Nelle Nouvelles odes (Nuove odi, 1824) e in Odes et ballades (Odi e ballate, 1826) predilesse temi leggendari e pittoreschi con ballate. Frequentò il primo cenacolo romantico di Nodier e scrisse il dramma Cromwell (1827), di cui celebre è la prefazione. In casa accolse il secondo cenacolo romantico. Nelle liriche Les Orientales (Le Orentiali, 1829) mostrò colori smaglianti, poi imitati dai parnassiani. La sua attività nel teatro romantico fu molto vistosa: Hernani (1830), che segnò l’inizio, secondo molti storici e critici, del vero e proprio movimento romantico in Francia; Marion Delorme (1831, prima proibita), Le roi s’amuse (Il re si diverte, 1832, da cui il Rigoletto verdiano), Lucrèce Borgia (Lucrezia Borgia, 1833), Marie Tudor (Maria Tudor, 1834), Angelo (1835), Ruy Blas (1838). Lo scrittore cantò la libertà civile, si entusiasmò per l’epopea napoleonica e manifestò con eloquenza ideali umanitari. Notevoli sono i romanzi Notre-Dame de Paris (Notre-Dame di Parigi, 1831), Claude Gueux (1834) e Le dernier jour d’un condamné à mort (L’ultimo giorno di un condannato a morte, 1829), che anticipava i principi sociali de Les misérables (I miserabili). Potenti immagini sono nelle raccolte liriche: Les feuilles d’automne (Le foglie d’autunno, 1831), Les chants du crépuscule (Il canto del crepuscolo, 1835), Les voix intérieures (Le voci interiori, 1837) e Les rayons et les ombres (I raggi e le ombre, 1840). Nel 1841 fu accademico di Francia, nel 1845 pari, nel 1848 deputato all’Assemblea Costituente con forti tendenze democratiche, nel 1849 fu repubblicano e avversò il principe pretendente. Dopo il colpo di Stato, visse in esilio in Belgio e nelle Isole Normanne. La pubblicazione de Les misérables (1862) come già Napoléon le petit (Napoleone il piccolo, 1852), e Les châtiments (I castighi, 1853) e quella dell’Histoire d’un crime (Storia di un crimine, 1877) accentuano nello scrittore la figura di vate della libertà dei popoli. Nuovi libri di liriche sono Les contemplations (Le contemplazioni, 1856), Les chansons des rues et des bois (Le canzoni delle strade e dei boschi, 1865) e La légende des siècles (La leggenda dei secoli, 1859-83). I Romanzi popolari sono Les travailleurs de la mer (I lavoratori del mare, 1866) e L’Homme qui rit (L’uomo che ride, 1869). Caduto Napoleone III, Hugo tornò in patria e partecipò alla vita politica e sociale con varie opere. Scrisse, fra l’altro, L’année terrible (L’anno terribile, 1872, sugli avvenimenti del 1870-71), L’art d’etre grand père (L’arte di essere nonno, 1877) e il romanzo Quatre-vingt-treize (Il novantatré, 1873) sul Terrore. Hugo fu fino all’ultimo presente alle sedute del senato e dell’Accademia, con indomito spirito di difesa delle libertà civili e democratiche.
[15] Louis Belmontet (1799-1879) poeta collaboratore della Muse française, organo della scuola romantica, e rigoroso classicista, è inserito senza mezzi termini da Rimbaud tra le “vieilles énormités crevées” (“vecchie enormità scoppiate”), residui di una forma poetica ormai superata. In questa categoria del vecchiume romantico, insieme a Belmontet, Rimbaud cita Félicité-Robert de Lammenais (1782-1854), sacerdote e scrittore esponente di un cattolicesimo antipapalino, che si evince in Essai sur l’indifférence en matière de religion (Saggio sull’indifferenza in materia di religione, 4 volumi apparsi tra il 1817 e il 1823); in De la religion considérée dans ses rapports avec l’ordre public et civil (La religione considerata nei suoi rapporti con l’ordine pubblico e civile dato alle stampe nel 1824); e nel giornale da lui fondato nel 1830 L’Avenir.
[16] Alfred de Musset (1810-1857), è stroncato inequivocabilmente da Rimbaud per i suoi “les contes e les proverbes fadasses” (“racconti e proverbi scipiti”), ossia i famosi Contes d’Espagne et d’Italie (Racconti di Spagna e d’Italia raccolta di versi apparsa nel dicembre del 1829) e i suoi “proverbi” teatrali: On ne badine pas avec l’amour, Les caprices de Marianne (Con l’amore non si scherza e I capricci di Marianna facenti parte di una raccolta di opere teatrali destinate alla lettura edita nel 1834 con il titolo Un spectacle dans un fauteuil [Uno spettacolo da una poltrona] che comprendeva anche il famoso Lorenzaccio, Andrea del Sarto e Fantasio), e Il faut qu’une porte soit ouverte ou fermée (Una porta è aperta o è chiusa, 1845); per le sue Les Nuits (Le notti, poema in quattro parti pubblicato dal 1835 al 1837); per il suo famoso poema Rolla (1833), descrizione dell’eroe romantico, turgido di passione ma afflitto da una progressiva disperazione che lo condurrà alla dissoluzione finale; per il poemetto fantasioso Namouna e per la pièce teatrale La coupe et les lévres (La coppa e le labbra), oopere entrambe apparse nel 1832.
[17] François Rabelais (1494 circa-1553) è un’altra gloria nazionale francese, autore delle celebri folastries (“stravaganze”) letterarie che hanno per protagonisti i due immortali personaggi Gargantua e Pantagruel: Les horribles et espoventables faictz et prouesses du très renommé Pantagruel, roy des Dipsodes, fils du grant géant Gargantua (Gli orribili e spaventosi fatti e prodezze del molto rinomato Pantagruel, re dei Dipsodi, figlio del gran gigante Gargantua pubblicato nel 1532 con il suo nome anagrammato Alcofribas Nasier); La vie inestimable du grand Gargantua, père de Pantagrule (La vita inestimabile del grande Gargantua, padre di Pantagruel pubblicato nel 1534 e firmati sempre con l’anagramma); Tiers livre des faictz et dictz héroïques du bon Pantagruel (Terzo libro dei fatti e detti eroici del buon Pantagruel pubblicato nel 1546); Quart livre des faictz et dictz héroïques du bon Pantagruel (Quarto libro dei fatti e detti eroici del buon Pantagruel pubblicato nel 1552). Rabelais, monaco francescano e poi benedettino, abbandonò la vita conventuale e venne sovente in contrasto con l’ambiente eccelesiastico. Le sue opere passarono il vaglio della censura e furono condannate per la loro aperta irriverenza nei confronti della Chiesa, della filosofia scolastica, e dei metodi tradizionali di educazione.
[18] Voltaire (pseudonimo di François Marie Arouet) (1694-1778), educato dai Gesuiti, apprese le raffinatezze della cultura umanistica; autore di versi leggiadri e brillanti, già ammirato negli ambienti mondani, il successo della tragedia Œdipe (Edipo, 1718) gli aprì le porte della più alta società. Compose anche la Ligue (La Lega, 1722), edita poi a Londra con il titolo di Henriade. In seguito a un dissidio con un nobile, fu rinchiuso nella Bastiglia. Scarcerato, lasciò la Francia per un triennio, soggiornando in Inghilterra e venendo a contatto con una società molto evoluta. Le Lettres anglaises (o Lettres philosophiques [Lettere inglesi o Lettere filosofiche] ) del 1734 mostrano l’interesse da lui portato al mondo inglese, anche se con reticenze. L’opera (definita un attacco all’ancien régime francese., perché metteva a confronto le istituzioni dei due paesi) fu condannata dal parlamento e causò a Voltaire il divieto di risiedere a Parigi. Voltaire dimorò allora presso Madame du Chatelet a Cirey (Champagne}. In quegli anni di isolamento scrisse le tragedie Alzire (Alzira, 1736), Mahomet (Maometto, 1742), Mérope (1743); nel desiderio di restaurare il teatro francese, espresse idee di tolleranza civile e religiosa. Nel frattempo fu favorito dalla nomina del marchese d’Argenson a ministro degli Esteri; con l’appoggio della Pompadour venne nominato storiografo e gentiluomo di camera del re Luigi XV; nel 1746 entrò all’Accademia di Francia. Passò quindi a Berlino, ospite del re Federico II: ivi pubblicò Le siècle de Louis XIV (Il secolo di Luigi XIV, 1751); tornò poi in Francia, ma ancora una volta non ebbe il permesso di risiedere a Parigi, per i pettegolezzi causati dalla sua ultima opera, con la conseguente rottura con il sovrano. Assolutista illuminato, combatté contro l’intolleranza e il fanatismo, la superstizione e il pregiudizio. Con epigrammi, racconti, lettere, opere satiriche (spesso con pseudonimi, naturalmente sconfessati) andò contro ogni forma di errore in tutta Europa: alla vivacità dei ragionamenti unì una grazia leggera, tutta settecentesca, che ne fece uno scrittore ineguagliabile. Notissimo è il Dictionnaire philosophique (Dizionario filosofico, 1764), che è tutto un inno alla ragione e una battaglia contro le superstizioni e le tradizioni. Nel 1778, rompendo il suo isolamento, Voltaire si recò a Parigi per assistere in trionfo alla rappresentazione della sua tragedia Irène e poche settimane dopo, per le fatiche e l’emozione, mori. Fra le sue opere le tragedie, indubbiamente vigorose e che testimoniano profondi mutamenti nel campo ideologico, così come le commedie, procacciarono a Voltaire l’indiscusso favore del pubblico. Sempre ammirati i racconti e i romanzi satirici: Zadig (1747), Micromégas (1752), Candide, ou l’optimisme (Candido, o l’ottimismo, 1759, ritenuto il capolavoro del genere), L’ingénu (L’ingenuo, 1767) e La princesse de Babylone (La princièpessa di Babilonia, 1768), in cui la satira ai costumi si presenta sotto una forma scintillante. Importante è l’opera storiografica di Voltaire: egli fa la storia dei popoli e non solo quella dei regnanti e dei potenti, valuta i contributi della civiltà non nelle battaglie ma nelle arti e nei commerci, condiziona, in pratica, tutta una generazione di studiosi di storia. Particolarmente importante è il giudizio che Voltaire dà sul medioevo; la condanna è definitiva, proprio in nome di quei principi razionalistici e naturalistici che sempre ispirarono l’opera del grande pubblicista. Ciò soprattutto determinerà la reazione del Romanticismo e della sua concezione storica. Se satirica è L’Histoire de Charles XII (Storia di Carlo XII, 1731), esaltata è l’opera del popolo russo ne L’Histoire de Russie sous Pietre le Grand (La storia della Russia sotto Pietro il Grande1759-63). Seguito a Le siècle de Louis XIV, storia del popolo francese, è Le siècle de Louis XV (Il secolo di Luigi XV, 1769), incompiuto; affermazioni laiche e «terrene» si trovano nell’Essai sur les moeurs et l’esprit des nations (Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, 1756) in antagonismo al Discours sur l’histoire universelle (Discorso sulla storia universale, 1861)di Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704).
[19] Jean de La Fontaine (1621-1695), il suo capolavoro sono le Fables (Favole), definitive in 12 libri (1668-94), in cui una visione amara della vita raffigura la società contemporanea, spesso sotto le sembianze della finzione. Notevoli sono anche Contes et nouvelles (Racconti e novelle, 1665-73). Fonti dell’autore e indice del suo italianismo sono Boccaccio, Machiavelli, Ariosto (Contes) e la favolistica classica e orientale (Fables). Autore di squisita formazione umanistica ha lasciato un fine documento della sua cultura nel poemetto Adonis (Adone, 1658). Ragguardevoli sono i frammenti del Le Songe de Vaux (Il sogno di Vaux,1659-60) e l’Elegie aux nymphes de Vaux (Elegia alle ninfe di Vaux, 1661-62), Les amours de Psyché et de Cupidon (Amori di Psiche e di Cupido, 1671) in prosa e il poemetto Philémon et Baucis (Filemone e Bauci. Interessante è l’Eunuque (Eunuco, 1654) riduzione dalla commedia di Terenzio Eunuchus. La Fontaine difese gli antichi durante la lunga e accesa «Querelle des anciens et des modernes» nell’Épître à Monseigneur Huet (Epistola al Signor Huet. 1687).
[20] Hippolyte-Adolphe Taine (1829-1893) fu critico e storico, vicino alle visioni positiviste, è ricordato negativamente da Rimbaud per La Fontaine e ses fables (La Fontanie e le sue favole, 1860), Essais de critique et d’histoire (Saggi di critica e di storia, 1858) e Nouveaux essais (Nuovi saggi, 1865). L’opera più importante di Taine, in sei volumi, sarà ultimata a tre anni dalla morte di Rimbaud: Les origines de la France contemporaine (Le origini della Francia contemporanea, 1876-1891).
[21] Théophile Gautier (1811-1872), scrittore molto amato da Rimbaud, è autore, oltre che dell’opera già citata nella nota 6, del romanzo Mademoiselle de Maupin (Signorina di Maupin, 1835), la cui famosa préface è considerata il manifesto letterario dell’art pour l’art. Le Capitaine Fracasse (Il Capitan Fracassa, 1863) rimane il suo scritto più celebre.
[22] Leconte de Lisle (1818-1894), poeta autore di liriche antiromantiche: Poèmes antiques (Poesie antiche, 1852), Poèmes barbares (Poesie barbare, 1862), Poèmes tragiques (Poesie tragiche, 1884).
[23] Théodore de Banville (1823-1891) è il poeta parnassiano per eccellenza (cfr. i riferimenti in Poésies di Arthur Rimbaud), messosi in luce con le raccolte di versi Les cariatides (Le cariatidi, 1842) e Les odes funambulesques (Le odi funamboliche, 1857). Nel suo Petit traité de poésie française (Piccolo trattato di poesia francese, 1872) Banville espose la sua poetica, basata su di uno studio approfondito della tecnica compositiva e della rima.
[24] Charles Baudelaire (1821-1867), è uno dei più grandi poeti moderni oltre che acutissimo critico ed esteta. Sicuramente rivoluzionò la visione poetica francese, ispirando la corrente simbolista, e la critica d’arte e letteraria. La sua vicenda esistenziale dolorosa e travagliata si riflette profondamente nell’opera. A Parigi, poco più che ventenne, si legò con Jeanne Duval e frequentò artisti e poeti; conobbe e amò anche Apollonie Sabatier e Maria Daubrun. Dopo aver pubblicato con scarso successo di pubblico il Salon de 1845, si accinse a tradurre i racconti di E.A. Poe. Nel 1856 uscì il primo volume della traduzione delle Histoires extra-ordinaires di Poe (Racconti straordinari) e nel 1857 Les Fleurs du ma (I fiori del male) l’opera più suggestiva e rivelatrice della moderna poesia francese: ma il capolavoro fu condannato dal tribunale per immoralità. Baudelaire pubblicò quindi Les Aventures d’Arthur Gordon Pym (Le avventure di Arthur Gordon Pym), romanzo incompiuto di Poe, e Les Paradis artificiels (I Paradisi artificiali): già aveva inserito in riviste saggi mirabili sul metodo della critica, sui pittori Delacroix e Ingres. Un’edizione rimaneggiata di Les Fleurs du mal (1861) segnalò meglio al pubblico il poeta. Nuovi saggi (p. es., R. Wagner et le Tannhäuser à Paris, R. Wagner e il Tannhäuser a Parigi, 1861) rivelano anche nel campo della musica l’acutezza delle meditazioni estetiche dell’autore e accentuano la sua esigenza di libertà dell’arte. L’ultimo periodo della vita di Baudelaire fu costellato da difficoltà economiche e dalla malattia: le conferenze che aveva iniziato a tenere in Belgio nell’aprile 1864 non ebbero successo ed egli era tornato a Parigi deluso. Nel febbraio 1866 ebbe il primo attacco del male che lo portò alla morte. Dopo la sua scomparsa, nel 1868-69, apparve, seppur con molte lacune, la prima edizione della sua opera completa. In quegli anni videro la luce le famose Curiosités esthétiques (Curiosità estetiche), una raccolta di recensioni critiche di altissimo livello. I suoi Journeaux intimes (Diari intimi) furono pubblicati nel 1909, in due serie Fusées, Mon coeur mis à nu (Razzi e Il mio cuore a nudo).
[25] Tutti questi nomi, disprezzati da Rimbaud, sono in effetti autori di importanza minore nell’ambito della letteratura francese (non me ne vogliano i loro studiosi!). Per tale motivo non ho inserito altre note, evitando così al lettore un’ulteriore e forse inutile fatica.
[26] Albert Mérat (1840-1909), fu poeta apprezzato da Rimbaud, sebbene non abbia, obbiettivamente, lasciato di sé una traccia considerevole. Verseggiatore di stile parnassiano, padrone di un sottile umorismo e di una sensibilità simbolista, evocò scene di Parigi e ricordi sentimentali: Le chimere (La chimera, 1866), Les souvenirs (I ricordi, 1872), Poésies de Paris (Poesie di Parigi, 1880). Morì suicida.
[27] Paul Verlaine (1844-1896) esordì nel 1866 con i Poèmes saturniens (Poemi saturnini) , raccolta caratterizzata da molteplici influenze poetiche a cui seguirono le Fêtes galantes (Feste galanti, 1869), di intonazione più libera e fantasiosa, La bonne chanson (La buona canzone, 1870) in cui il poeta esprime il suo amore per la fidanzata Mathilde Mauté de Fleurville da lui sposata lo stesso anno. Ma il matrimonio ben presto entrò in crisi, sia perché aveva ricominciato a bere, sia perché, politicamente compromesso al tempo della Commune, aveva perso il suo posto di funzionario, sia infine perché ebbe inizio nel 1871 il suo sodalizio letterario e sentimentale che lo legò a Arthur Rimbaud, con il quale un anno dopo fuggirà in Belgio e quindi in Inghilterra. Nel 1873 il poeta fu condannato a Bruxelles, dove si trovava, a due anni di prigione per avere sparato a Rimbaud due colpi di rivoltella. In carcere sembrò ritrovare la fede cattolica e maturò una nuova forma poetica, basata sulla musica del verso e su toni più suggestivi ed evocativi (Romances sans paroles, Romanzi senza parole, 1874; Sagesse, Saggezza, 1881). Uscito di prigione, Verlaine viaggiò in Francia e Inghilterra, proseguendo nella sua lirica, finché si stabilì a Parigi, chiamato dai discepoli «il principe dei poeti ». Le sue ultime raccolte poetiche sono: Jadis et naguère (Ora e poco fa, 1884), con la famosa Art poètique (Arte poetica), Parallèlement (Parallelamente, 1889), Bonheur (Felicità, 1891), Chansons pour elle (Canzoni per Lei, 1891), Liturgies intimes (Liturgie intime, 1892), Dans les limbes (Nei limbi, 1894), ecc. Dei suoi scritti in prosa si ricordano i Les Poètes maudits (I poeti maledetti, 1884), che ebbero una vasta eco nella critica del tempo.