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Arthur rimbaud poesie ix

Creato il 10 agosto 2013 da Marvigar4

Poésies

 

ARTHUR RIMBAUD
POESIE
Traduzione dall’originale in francese Poésies
di Marco Vignolo Gargini
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LA CREDENZA

(Le buffet)

 

È una credenza larga scolpita; la quercia scura,

stagionata, ha preso l’aria buona della vecchia gente;

la credenza è aperta, e versa nella sua ombra

come un fiotto di vino vecchio, dei profumi invitanti;

 

stracolma, è un magazzino di vecchi vecchiumi,

lenzuola odorose e gialle, stracci

di donne o di bimbi, pizzi infeltriti,

scialli della nonna dove dei grifoni sono istoriati;

 

- È là che troviamo i medaglioni, le ciocche

di capelli bianchi o biondi, i ritratti, i fiori secchi

il cui profumo si fonde ai profumi della frutta.

 

- Oh credenza dei vecchi tempi, tu conosci delle storie

e vorresti raccontare le tue fiabe, e scricchioli

quando le tue grandi ante nere s’aprono lentamente.  

 

LA MIA BOHÈME

(Fantasia)

[Ma bohème (Fantaisie)]

Me ne andavo, i pugni nelle mie tasche sfondate;

anche il mio cappotto diveniva ideale;

io andavo sotto il cielo, Musa! ed ero tuo fedele;

oh! che amori splendidi ho sognato io!

 

I miei soli pantaloni avevano un buco largo.

- Pollicino sognatore, nella mia corsa sgranavo

delle rime. L’Orsa Maggiore era il mio albergo.

- Nel cielo le mie stelle un dolce fruscio facevano

 

e le ascoltavo, seduto sul bordo delle strade,

quelle miti sere settembrine in cui sentivo gocce

di rugiada sulla mia fronte, come un vino robusto;

 

in cui, rimando tra fantastiche ombre,

come fossero lire, io gli elastici tiravo

delle mie suole ferite, un piede vicino al cuore mio!

 

I CORVI

(Les corbeaux)

 

Signore, quando fredda è la campagna,

quando nei casali abbattuti,

i lunghi Angelus  sono muti…

Sulla natura sfiorita

fa precipitare dai grandi cieli

i diletti corvi deliziosi.

 

Strana armata dalle grida severe,

i venti freddi attaccano i vostri nidi! 

Voi, lungo i fiumi ingialliti,

sulle strade dei vecchi calvari,

sulle fosse e sulle buche

disperdetevi, radunatevi!

 

A migliaia, sui campi di Francia,

dove riposano i morti dell’altro ieri,

turbinate, allora, l’inverno,

perché ogni viandante rifletta!

Sii dunque il banditore del dovere,

o nostro funebre uccello nero!

 

Ma, santi del cielo, sull’alta quercia,

asta sperduta nella sera incantata,

lasciate stare le capinere

per chi in fondo al bosco è in catene,

nell’erba da dove non può fuggire ,

la disfatta senza avvenire.

 

I SEDUTI  

(Les assis)

 

Neri di natte, butterati, gli occhi cerchiati di

verde, le loro dita nodose attaccate ai femori,

il sincipite placcato di escrescenze arcigne

come le inflorescenze lebbrose dei vecchi muri;

 

essi hanno innestato negli amori epilettici

la loro ossatura balzana ai grandi scheletri neri

delle loro sedie; alle sbarre rachitiche i loro piedi

si allacciano dalla sera alla mattina!

 

Questi vegliardi si son sempre intrecciati coi loro seggi,

sentendo i soli vividi levigare la loro pelle,

o, gli occhi fissi al vetro dove la neve svanisce,

tremolando col doloroso tremore del crapaud.

 

E i Seggi son cortesi con loro: annerita,

la paglia cede agli angoli dei loro fianchi;

l’anima dei soli andati s’accende, fasciata

nelle trecce di spighe dove il grano fermentava.

 

E i Seduti, le ginocchia sui denti, verdi pianisti,

le dieci dita tambureggianti sui propri seggi,

s’ascoltano la risacca di tristi barcarole,

e le loro zucche seguono i rollii d’amore.

 

- Oh! Non li schiodate di lì! È il naufragio…

Sorgono, brontolando come gatti sculacciati,

aprendo lentamente le scapole, o furore!

gli sbuffano i calzoni ai lombi rigonfi.

 

E voi li ascoltate, battere le loro crape pelate

sui muri scuri, impiallacciando i piedi torti,

e i bottoni dei vestiti sono fulve pupille

che vi arpionano l’occhio dal fondo dei corridoi!

 

Poi posseggono una mano che invisibile uccide: 

al ritorno, il loro sguardo filtra questo nero veleno

che grava l’occhio smunto della cagna percossa,

e voi sudate, presi in un atroce imbuto.

 

Riassettati, i pugni affondati nei sudici polsini,

pensano a quelli che li hanno fatti alzare

e, dall’alba alla sera, grappoli di tonsille

sotto quelle bazze sparute scalpitano da creparne.

 

Quando l’austero sonno gli ha abbassato le visiere,

loro sognano sopra il braccio scranne fecondate,

autentici amorini di sedie in dande

dai quali gli alteri scrittoi saranno circondati;

 

dei fiori d’inchiostro sputando pollini di virgole

li cullano, accoccolati lungo i calici

come sui giaggioli il volo di libellule

- E il loro membro s’eccita sulle barbe di spighe.  

 

TESTA DI FAUNO

(Tête de faune)

 

Nel fogliame, scrigno verde macchiato d’oro,

nel fogliame incerto e fiorente

di fiori splendidi dove il bacio dorme,

vivace e squarciando lo squisito ricamo, 

 

un fauno spaventato mostra i suoi due occhi

e morde i fiori rossi con i suoi denti bianchi.

Bruno e sanguinante come un vino vecchio,

il suo labbro scoppia in risa sotto i rami.

 

E quando è fuggito – come uno scoiattolo –

il suo riso trema ancora in ogni foglia,

e si vede impaurito da un ciuffolotto

il Bacio d’oro del Bosco, che si raccoglie.

 

I DOGANIERI

(Les douaniers)

Quelli che dicono: Cristo!, quelli che bestemmiano,

soldati, marinai, macerie dell’Impero, pensionati,

sono zeri, zeri spaccati, davanti ai Soldati dei Trattati

che tagliano la frontiera azzurra a colpi d’ascia.

 

La pipa tra i denti, lama in mano, profondi, affatto scocciati,

quando l’ombra sbava nei boschi come un muso di vacche,

se ne vanno, portando i loro mastini al guinzaglio,

a esercitare nottetempo le loro terribili gaiezze!

 

Segnalano alle leggi moderne le faunesse.

Prendono per il collo i Faust e i fra Diavolo.

“Non questo, vecchi miei! Giù quei fagotti!”

 

quando sua serenità si avvicina ai giovani,

il Doganiere si attiene ai vezzi controllati!

Inferno ai delinquenti che il suo palmo ha sfiorati. 



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