Di Roberta Miele. Articolo 18 sì, articolo 18 no. Dopo due anni dalla riforma Fornero riecco apparire una nuova modifica del discusso articolo dello Statuto dei Lavoratori. E’ ricominciato il duello tra i sindacati che, Cgil a parte, si mostrano più disponibili al dialogo con il governo di Matteo Renzi, a patto che non si tocchino le tutele acquisite. Guardiamo nel dettaglio com’è disciplinata la materia del licenziamento ad oggi.
Prima della legge 92 del 2012, il licenziamento illegittimo, ossia privo di giusta causa e giustificato motivo, era disciplinato dall’art.18 della Legge 300/1970 o dalla Legge 108/90, in base alle dimensioni delle imprese.
La vituperata disposizione si applica alle imprese con più di quindici dipendenti. Per quaranta due anni il datore di lavoro colpevole di licenziamento illegittimo avrebbe dovuto reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro e risarcirlo di tutte le retribuzioni dal giorno del licenziamento sino al giorno della effettiva reintegrazione al lavoro, compreso il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Nel caso in cui il datore non ottemperasse al reintegro, vigeva l’obbligo di garantire al lavoratore le retribuzioni successive alla sentenza, nonché i relativi contributi, oltre al risarcimento del danno.
Con la riforma Fornero la tutela reale è stata affiancata da una mera tutela indennitaria. Il primo grosso problema della legge 92/2012 riguarda la distinzione di quattro diversi regimi di gravità della sanzione: piena, attenuata, meramente obbligatoria, obbligatoria ridotta. La vaghezza della norma ha condannato gli interpreti a molti rompicapo per la sua applicabilità. La contorta disposizione è risultata insoddisfacente nell’agevolazione della “flessibilità in uscita”, iniziale obiettivo della riforma. A complicare le cose c’è anche il rito speciale per i licenziamenti ingiustificati introdotto dal governo Monti, che risulta incompatibile con la disciplina dei provvedimenti d’urgenza in base all’art. 700 del codice di procedura penale.
Tirando le somme, il ministro-tecnico ha aumentato le complicazioni dell’ingessato mondo del lavoro, fallendo sia nella riduzione al minimo dei contratti a tempo determinato, sia nell’aumento della flessibilità in uscita. Inoltre è stato aumentato il potere decisionale dei giudizi e sono state aggravate le difficoltà processuali e giudiziali all’interno dei Tribunali.
Il problema tipicamente italiano consiste nella riesumazione di faccende conosciute solo dai diretti interessati e farle diventare questioni di vita o di morte. Per Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria, “fa bene Renzi a pensare di abolirlo. È un ostacolo agli investimenti. In tutto il mondo pensano che i vincoli posti dall’articolo 18 siano insormontabili”.
La disciplina che tutela ben 7 milioni di lavoratori funge da deterrente al potere dell’imprenditore nei confronti dei lavoratori. Di certo non può non esserci un freno alla capacità decisionale del datore, ma è pur vero che c’è bisogno di uno snellimento delle procedure di tutela. E’ auspicabile che le parti chiamate in causa si aprano ad un dialogo costruttivo e che non si barrichino nella miope difesa dei propri interessi. L’articolo 18, fermo al 1970, conquista sessanttottina, necessita di uno svecchiamento, di una profonda manutenzione per un riadattamento all’odierno mercato del lavoro.
Ma cos’è un unico articolo da solo? Nulla. La modifica rientrerebbe nel Jobs Act del ministro Poletti. La proposta prevede la sostituzione del reintegro con un mero indennizzo. I dipendenti licenziati vengono tutelati e sostenuti economicamente, ma allo stesso tempo devono darsi da fare per trovare un nuovo posto di lavoro – a palazzo Chigi sono molto ottimisti, ignorano che con la crisi per molti trovare un altro lavoro è pressoché un miracolo. In sintesi, si prospetta un futuro di maggiore mobilità. E’ in cantiere anche creazione di contratti a tempo determinato a tutele crescenti, in relazione all’anzianità di servizio.
La proposta di legge è ancora poco chiara, senza uno straccio di provvedimento è difficile da giudicare. Di sicuro Renzi dovrebbe smetterla di minacciare con gli “aut… aut”, tipici di Berlusconi. La riforma del mercato del lavoro è una matassa intricata, che necessita di modifiche ad ampio respiro, un’unica legge non può bastare.
I giuslavoristi concordano sul bisogno di una rivisitazione del concetto di tutela. Occorrerebbe avere il coraggio di rivoluzionare il diritto del lavoro attuale, fondato su norme inderogabili e astratte, in base alla concreta situazione di debolezza del singolo lavoratore, rivalutando così anche il ruolo del sindacato. Il legislatore invece ha soltanto complicato la situazione moltiplicando i modelli contrattuali e mettendo da parte i lavoratori parasubordinati, ovvero i co.co.co.