“Mangia mangia mangia”
ecco ciò che parrebbe dirci questa mostra se solo le riservassimo un semplice e veloce sguardo.
Invece noi non ci accontentiamo ed una volta varcata la soglia, iniziamo scrupolosamente e con curiosità ad incamminarci lungo il percorso espositivo come giovani archeologi alla ricerca della nostra storia.
Immediatamente ci accorgiamo come l’etichetta “mostra” sia una scelta decisamente riduttiva.
Arts and foods sembra infatti essere uno dei più grandi allestimenti artistici mai visti in Triennale: 7000mq colmi d’arte, cultura e vita tutti da assaporare passo dopo passo.
Tre aree, cronologicamente consequenziali (ma non solo) dedicate a ciò che da metà del 1800 sino ad oggi ha rappresentato il passato, rappresenta il presente e rappresenterà il futuro dell’azione che ci accomuna tutti, della materia che interessa ognuno di noi senza distinzione alcuna, quella stessa materia e quella stessa azione che tanto ci accomuna quanto ci diversifica: la pietanza rende tutti noi tanto uguali quanto profondamente diversi, nelle scelte, nell’atto, nei gusti e forse in molto di più.
Ma non è sempre stato così: il cibo come nutrimento per il corpo -prima- piano piano si fa nutrimento per l’anima trasformandosi esso stesso e la società che lo circonda, che lo crea, che lo ingloba.
Se all’inizio il cibo era qualcosa che in punta di piedi veniva consumato in famiglia ora pare essere invece soggetto che urla e si dibatte davanti ai nostri occhi, dirompente ed eccessivo.
Passare dalla prima area dedicata agli allestimenti che in ordine cronologico ci guidano mano nella mano dalla fine dell’ ‘800 fino a oggi permette di vedere con i nostri occhi luoghi aristocratici e benestanti, con accessori e suppellettili, utensili, stoviglie e ricettari provenienti dai viaggi e dalle scoperte dei nuovi mondi (…e a volte tutt’altro che cruelty-free) sino ad ambienti pubblici come il poetico e perfetto Cafè d’inizio ‘900, o locali privati con rifacimenti di sale da pranzo nobiliari o ri-allestimenti di botteghe.
Ci si può lasciar scuotere dalle pubblicità futuriste di Depero poste accanto ad oggetti provenienti da tribù cannibale.
Sorprendersi dinnanzi a kit militari di guerra e da manuali con indicazioni di coltivazione degli orti (anch’essi “di guerra”): ecco questi sono solo alcuni assaggi di ciò che ci può accadere visitando la mostra.
I primi elettrodomestici superfunzionali e compatti americani, le campagne in cirillico “il nostro cioccolato è talmente buono che piace anche al sole” o i manifesti di Lester Beall per “the Rural Electrification Administration” degli anni ’30 o ancora la macchina da caffè Pavoni “Concorso”, disegnata da Bruno Munari e Enzo Mari nel 1956 e “La maison des jours meilleurs” di Jean Prouvé dello stesso anno con le note di musica americana in sottofondo che ci trasportano esattamente in quegli anni….ecco, tutte queste sembrano tappe di un viaggio, un viaggio veloce che corre via davanti a noi in maniera frenetica e a tratti quasi sfuggente.
Certo è che visti così, tutti assieme, i decenni sembrano rivoluzioni a cui siamo stati sottoposti (noi esseri umani) in maniera inconsapevole ed allora come oggi pare non possano mai avere una fine.
In realtà quindi siamo solo spettatori di qualcosa che sembra esser sfuggito di mano quanto a noi tanto alla nostra stessa società?
potremmo lasciare che ci risponda l’enorme barattolo Daddies di ketchup che dal giardino accanto ai Bagni di De Chirico sembra scagliarsi violentemente verso il cielo.
Eppure passando uno dopo l’altro ad elementi tanto eccessivi, dopo un po’ ci si fa quasi l’abitudine e così pian pianino anche Andy Warhol con il suo Campell’s Soup cans sembra non stupirci più: ed allora ecco la svolta.
EAT lampeggia davanti a noi, enorme scritta nera su sfondo giallo fluo ed è lì che ci rendiamo conto di quanto sia davvero importante il cibo nella nostra esistenza quotidiana sì, ma per la comunicazione e la socialità, prima che per la nostra carne.
Ormai non più solo necessario nutrimento per il nostro corpo quanto (e soprattutto) per la nostra mente, per le nostre abitudini, per l’intera nostra vita: il cibo si ascolta, si osserva, si gusta.
Non solo uno bensì cinque i sensi utili (e forse qualcuno in più!): ecco cosa ci rivela Arts and foods.
Decine di vinili uno dopo l’altro campeggiano, quasi ridondanti, infiniti, davanti ai nostri occhi e musica e note si fanno sempre più forti: Rolling Stone, Who ed altre pietre miliari della musica ci ricodano come il cibo sia tanto trasversale da non poterlo tralasciare nemmeno nelle trame del suono.
Bjork e Sordi permettono al terzo senso, la vista, di ammirare l’arte ed il cibo in video: un modo di dire cultura molto diverso quanto reale.
E con il naso all’insù guardando il cielo ciò che scorgiamo sarà ancora cibo: quello degli astronauti che con le loro missioni dagli anni ’60 dello scorso secolo fanno sognare di mondi da scoprire e colonizzare, nuovi ed inaspettati portando però sempre in tasca fragole terrestri.
Infine l’ultimo spazio che visiteremo in quest’ inaspettato e fantastico viaggio ci porterà nella contemporaneità con icone come Marina Abramovich, Vanessa Beecroft (fotografia 2003-2007), Jannis Kounellis.
Urs Fischer, Bread House 2004-2006 e la sua casa di pane , le facce stralunate di Gregory Crewdson, untitled (Sunday roast) 2005, il pesce che riempie quasi interamente una delle stanze espositive di Frank O. Gehry, GFT fish, 1985-1986, l’enorme forchetta Leaning Fork with Meatball and Spaghetti III 1994.
E poi come non notare le gigantografie di allevamenti intensivi di maiali (scrofe con i loro cuccioli) immobilizzate e sfruttate o il processamento in un’industria in Cina di polli per consumo alimentare?
Per chi ha fatto una scelta di consapevolezza chiaramente nulla di nuovo ma non dimentichiamo che la maggior parte delle persone non l’ha fatta, e non solo, non è nemmeno conscia di ciò che oggi significa davvero “allevamento”: anche questa presenza rende “Arts and Foods” un evento davvero stupefacente.
Infine vedere per la prima volta dal vivo un’opera dei fratelli Chapman mi stupisce profondamente fino all’osso: con le mani poggiate sul vetro osservo l’abominio del re del junkfood per eccellenza e delle sue infernali conseguenze secondo il duo.
Nella città della più grande Esposizione Universale sul Cibo quest’opera lì davanti al naso rende l’agro e l’ amaro un po’ più forti anche per i più tolleranti.
Arts and foods: oltre l’arte, oltre il cibo, oltre la comunicazione, oltre ciò che pensiamo e che avremmo mai creduto di poter immaginare.
Visitabile fino all’1 novembre 2015
In Triennale di Milano (info costi e orari QUI)