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Arunachal Pradesh: Tra ponticelli e villaggi

Creato il 02 maggio 2015 da Enricobo2

Arunachal Pradesh: Tra ponticelli e villaggi

Il ponte sospeso per Paya


Arunachal Pradesh: Tra ponticelli e villaggi

Kabu - Vita di villaggio

Attorno ad Aalo, la natura è sempre più selvatica e difficile da penetrare. Verso nord soltanto foresta fitta su monti che diventano sempre più scoscesi ed alti. Un'unica stradina li risale fino al confine tibetano, chiuso a tutti. Queste vie di comunicazione sono tenute aperte soltanto dai militari che presidiano pesantemente tutta l'area. I pochi poverissimi villaggi di questa parte isolata dell'Arunachal, sono per la massima parte disposti sulle alture che costeggiano un fiume che in questa stagione è poco più di un rigagnolo, ma che la larghezza del greto ghiaioso mostra nelle sue dimensioni complete quando il monsone si frangerà contro questi rilievi scaricandovi sopra tutta l'umidità raccolta dall'oceano. Questi villaggi rimangono il vero punto di interesse di tutta l'area, isolati come sono e raggiungibili spesso solo attraverso piccoli sentieri e ponti sospesi di dubbia manutenzione. E' piovuto per tutta la notte ed anche se la giornata grigia non promette scrosci imponenti, l'aria stessa è umidissima e aleggia una specie di nebbiolina che anche se non sembra pioggia, ti fa sentire tutto bagnato. I sentieri sono fangosi e si scivola parecchio saltellando tra pietre e monticelli di terra, mentre si risale attraverso i campi. Paya è un assembramento di capanne poco fuori della strada. Ci si arriva attraverso un paio di ponti gettati su un rio profondo che ha scavato una valletta laterale prima di riunirsi al fiume. 

Arunachal Pradesh: Tra ponticelli e villaggi

Ponticello di bambù

Vedere questi ponticelli sospesi e decidere di traversare, è sempre uno sforzo psicologico impegnativo. Il primo sembra abbastanza solido e con un fondo stabilizzato. Quando cominci a camminarci sopra tenendoti ai fili metallici laterali non si muove troppo, solo al centro balla un po', ma chiudi gli occhi e in un attimo sei di là. Il secondo è solo un intreccio di stecche di bambù avvolte sotto ed ai fianchi da una rete metallica molto lasca. Fa una certa impressione, comunque alla fine si passa.  E' ancora presto quando arrivi alle prime capanne e data la giornata, molti se ne stanno ancora all'interno. Spunta una donna dall'aria insonnolita e ci invita ad entrare. La grande stanza centrale è buia, ma la cenere del focolare è già sparsa. Il fuoco è spento, gli abitanti della casa devono già essere nei campi. Da una tenda che si apre, spunta una vecchia incartapecorita, prende dalla  stuoia che fa da parete alcune suppellettili di alluminio e comincia a preparare il thé. Accanto alle altre tazze appese, campeggia orgoglioso un foglio attaccato ai bambù che rappresenta una figura di Gesù che si trattiene il cuore sanguinante, segno che qui la presenza dei missionari ha eseguito il suo lavoro. Il thé bollente scalda e quando te ne vai ti senti più rinfrancato per affrontare le stradine attraverso i campi che confinano col bosco, ma è un attimo, basta un momento di disattenzione sulla poltiglia scivolosa e sei subito per terra ad inzaccherarti di fango viscido e unto, posto che solo di questo si tratti. 

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Una riunione a Kabu

Più in là, un altro ponte, stavolta davvero minuscolo e stretto. Per fortuna un cannicciato piuttosto fitto ripara i fianchi impedendoti di guardare sotto, dato che il torrente stavolta rumoreggia molto, molto più in basso. Kabu è un villaggio più grande con le capanne sparse su una vasta area ondulata circondata da una serie di risaie a terrazza circondate dalla jungla. Al centro del paese, una grande costruzione aperta su palafitte in cemento, esibisce un tetto di lamiera nuovo di zecca. E' lo spazio comune dove ci si riunisce per discutere e prendere decisioni. Ci sono infatti diverse decine di persone sedute e un tavolo dietro al quale tre o quattro anziani presidiano la riunione. Uno in piedi spiega la sua tesi. Sembra che si stia organizzando in che modo svolgere il prossimo festival che si deve svolgere tra un mesetto, ma i toni appaiono più quelli di una riunione politica a sentire la veemenza con cui vengono palesate le cose. Le donne presenti, accoccolate attorno al fuoco centrale, appaiono piuttosto distratte dalla nostra presenza, anche se ce ne stiamo buoni buoni in fondo, cosicché declinando l'offerta di dolcetti, thé con latte e altri generi di conforto e ci defiliamo per non disturbare oltre, anche perché gli oppositori dovranno presentare le loro mozioni e non vorremmo turbare l'andamento dell'assemblea. Un altro ponte, questa volta assai solido e si arriva a Darka, altre grandi capanne sulla collina assediate da maiali e capre che mantengono l'erba circostante rasa come un prato all'inglese. 

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Darka - La messa

Dalla capanna centrale, più grande si sentono canti e grida. Ci avviciniamo con cautela; sulla veranda sono sedute diverse persone, gruppi di uomini da un lato e tutte le donne dall'altra. Un uomo al centro vestito di scuro legge da un libro, declamando con voce stentorea; gli altri gli rispondono in coro. Si sta svolgendo la Messa, a cui veniamo immediatamente invitati a partecipare. Si tratta di una cerimonia comune tra cattolici e battisti, infatti i due officianti si alternano a turno. La predica è particolarmente corposa, con inframmezzate moltissime parole in inglese, da cui si intuiscono temi in cui predomina l'attenzione per l'ambiente e l'ecologia e l'ingordigia che porta alla devastazione del territorio, alla cattiva politica e alla corruzione. Pare che anche da queste parti, tra un po' ci saranno elezioni. Comunque la cerimonia è molto sentita. Tutti pregano con fervore a voce alta. Non si riesce a seguire lo svolgersi delle cose, tutto è molto diverso dalla nostra sequenza. Si alternano canti piuttosto gioiosi, fatti dalle donne; c'è anche una chitarra di accompagnamento. La nostra presenza è stata apprezzata; ce ne andiamo in silenzio con un cenno di saluto, beninteso dopo la raccolta delle offerte. Un gallo impertinente ci saluta chiocciando a petto in fuori. Raggiungere l'ultimo villaggio in programma è un po' più faticoso. Una ventina di chilometri lungo il fiume fino alla confluenza con un corso d'acqua più imponente, uno dei tanti che scendono in parallelo dal serbatoio senza fine dell'Himalaya. 

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Un grande ponte sospeso

Lo attraversa uno dei ponti pedonali sospesi più lunghi dell'India. E' davvero impressionante, ad una quindicina di metri sopra  le acque verdi che scorrono veloci. Per fortuna non dobbiamo attraversarlo, così fragile come sembra, una serie di mezze canne di bambù, piccole piccole, avvicinate le une alle altre e tenute insieme da una stecca ogni tanto. Sui fianchi, niente parapetti solo dei sottili fili metallici intrecciati. Non ho neppure il coraggio di percorrerne qualche metro, quando dall'altra parte ecco arrivare una figurina ingobbita sotto il peso di una gerla piena di masserizie.  Accidenti che figura, se passano con quei pesi, cosa ci sarà mai da temere. Foto di rito, poi, suvvia coraggio facciamoci almeno qualche metro. Così gagliardamente salgo sulla passerella valendomi della perfetta sensazione di equilibrio conquistata in tanti anni di pratiche orientali. L'equilibrio, questa è proprio la forza stessa del tai ji, sia mentale che fisica, che porta anche ad una completa leggerezza del corpo, qualunque sia il suo peso effettivo. Dipende tutto dalla postura e da come ci si sposta nello spazio. Salgo sul bordo estremo del ponte con sicurezza e comincio a percorrerne i primi metri, cercando di ignorare le canne spezzate e i vuoti di qualche punto e che sarà mai, qui ci passano a decine tutti i giorni. Al quarto passo, non è ancora cominciata la scarpata sottostante che si precipita nel fiume, uno scricchiolio sinistro, nel senso che proviene proprio da sotto l'appoggio del mio piede sinistro.

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La confluenza dei fiumi

 Neppure il tempo di pensare o spostarsi, un crack netto, forte e deciso, senza possibilità di remissione dei peccati, due stecche di bambù forse infragilite dal tempo, forse incapaci di sopportare il mio peso, direte voi, pur fortemente diminuito da giorni di dieta indiana, si spezzano di colpo e la mia gamba si fila nel buco formatosi, facendomi precipitare giù fino all'inguine. Bloccato come un personaggio delle comiche finali, prigioniero del ponte, incapace di tirarmi su, preso come un tordo nella trappola mortale tra l'orrore dei miei compari, riesco con fatica a cavarmi dalla pania, senza apparenti ulteriori danni alla struttura, che ho temuto spezzarsi completamente per farmi infine precipitare nel gorgo mortale. Ma le schegge del bambù sono come le lame di Mani di forbice e ad un attento controllo, appaiono impietose sulla mia povera coscia segni impietosi, come una triplice unghiata di un artiglio rapace che ha segnato di lunghe striature rosse, indelebilmente, le mie povere carni martoriandole. Gibi, la guida si mette le mani nei lunghi capelli, temendo il peggio e accorre al salvamento. Non dice "lo avevo detto di stare attento" solo perché non parla italiano. Leggo nei suoi occhi un certo spavento. Fingo noncuranza, minimizzando per non impaurire gli astanti e torno sui miei passi segnato nel fisico e soprattutto nel morale. Per il resto del viaggio, porterò con me l'orrendo segno, reso ancora più scenografico dalle vermiglie spennellature di mercurocromo che mani amorevoli mi apporranno, prima di sera, per minimizzare le possibili conseguenze di queste dolorose stigmati. Occhio a dove mettete i piedi.

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Il ponte trappola


SURVIVAL KIT

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Foto 

Villaggi attorno ad Aalo - Tutta l'area di Aalo è popolata di interessanti villaggi Galo. Gli anziani portano spesso il cappellino a due punte di vimini, ma per il resto i vestiti tradizionali vengono indossati soltanto durante i festival. I villaggi sono visitabili in parte a piedi, perché non distano molto tra di loro, ma è opportuno spostarsi in auto per vedere i più lontani, immersi comunque in un bellissimo paesaggio. E' necessario avere una guida locale che di solito fornisce l'albergo presso cui pernotterete.  I più interessanti sono Paya, Kabu e Darka. Molto belli i tanti ponti sospesi (ponti tibetani) che permettono di accedere ai villaggi superando torrenti o valloni scoscesi. Attenzione che alcuni sono piuttosto pericolosi, le assicelle o i bambù con cui sono costruiti possono essere marce e fragili. Chiedete alla guida prima di passare e fatelo solo se è necessario, con una certa cautela.
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