Come tutti sanno, anzi quasi tutti, l’Italia è una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Lo dice la Costituzione all’articolo 1. Allora perché Giovanni Arvedi nell’editoriale che ha scritto lavorando per il giornale La Provincia di Cremona di cui è anche proprietario con altri (fa parte del consiglio d’amministrazione) sbaglia la citazione? Perché l’industriale dell’acciaio e dello zinco in un abbondante, faticoso, sofferto articolo che parte dalla prima pagina del giornale La Provincia di Cremona, riesce a scrivere che l’Italia è una Repubblica democratica “basata” sul lavoro? Arvedi cita il testo senza nemmeno sbagliare la virgola che segue “Repubblica democratica”, ma perché dice “basata” e non “fondata”?
Si dirà che sono sinonimi. “Fondata, basata…. che differenza fa?”
Fa, fa. Arvedi intanto si propone come dipendente di se stesso, situazione esaltante, dionisiaca, lavora gratis per se stesso, un’iperbole di editore-operaio. La domenica l’editoriale lo scrive lui, non il direttore Zanolli. Arvedi vuole farci compagnia? Lo si legge sempre volentieri, è così crepitante di iniziative, proposte. Davvero vulcanico. Poi adesso è diventato anche ambientalista, lo dichiara lui, per iscritto, meno male.
La differenza è che il fondamento, Grund in tedesco, è parola pregna di filosifiche meditazioni in quegli anni : correva l’anno 1948 e grazie alla Costituzione l’Italia non era più fascista né monarchica, ma repubblicana e monarchica, oltre che laica, anche se non abbastanza. Sotto il fondamento, per semplificare, non c’è null’altro. Sotto la base, può esserci un’altra base. Ma restiamo in tema.
La “Repubblica dei lavoratori” proposta da sinistra, venne modificata dall’assemblea costituente in “fondata sul lavoro”. Il fondamento però è solo quello, il lavoro. Che va pagato decorosamente, se no salta il fondamento. Anche il pensiero cristiano parla di “giusta mercede”. Giovanni Arvedi evita questo tema, del lavoro malpagato, precario, non entra nel merito, parla di impresa al centro. Ma la Costituzione non mette l’impresa al centro. Anzi l’articolo 41 dice che l’impresa è libera, sì, non del tutto però. Chissà che rileggendo tale articolo si rifletta.
La Costituzione mette il lavoro come fondamento. L’impresa è fondata sul lavoro, non il lavoro sull’impresa. Arvedi ha anche un “valore assoluto”. Vediamo.
“Il Cristianesimo ci ha donato il valore assoluto la concezione della inviolabile dignità dell’uomo e il suo amore alla vita attraverso il lavoro” afferma Arvedi a pagina 21, dato che l’articolo del nuovo giornalista è giustamente ampio e prosegue sin nel cuore del giornale. Abbiamo anche valori assoluti e non negoziabili persino al lavoro?
Insomma tante belle parole, ma la Costituzione non dice così. Il lavoro poi va pagato dignitosamente, questo è un diritto umano che vale per tutti.
Arvedi riesce a vedere anche culture che in qualche maniera contrastano la libertà d’impresa. Sinceramente non capisco. Non ne vedo. Nemmeno Rivoluzione civile, neanche Rifondazione comunista nega la libertà di fare impresa. Semmai ci sono regole da rispettare per tutti quanti, non si può produrre e poi lasciare un enorme mucchio di rifiuti su un prato vicino al mais, come risulta da una foto pubblicata mesi fa da Antonio Leoni. L’impresa inoltre si può intendere in vari modi. Cooperativa, autogestita, gerarchica, con un solo proprietario, un direttore diverso dal proprietario….Dev’essere però fondata sul lavoro.
L’articolo 41 conclude affermando che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Non è che ogni impresa sia un’isola. L’impresa fa parte di un contesto, non è la protagonista, non è il fondamento.
Più che l’impresa al centro, con la forza del giornale strumento di potere, appare dunque Arvedi al centro, di tutto, protagonista in prima persona delle principali inziative e attività cremonesi, esposto al massimo, anche in campagna elettorale ma per fare propaganda, per scambiare il senso dell’impresa, che esiste per fare profitto, con quello del lavoro, che non c’è.
Purtroppo si nasconde il fatto che la miseria c’è. Nove milioni di cittadini italiani non accedono alle cure sanitarie, sostiene la Cisl. Sono troppo poveri, non possono spendere. Credo che Arvedi sia convinto che questo è un problema serio. E’ gente che non lavora o è in pensione e non ha soldi. Ma non dipende da lui, non solo da lui. Dipende dal sistema liberale in cui viviamo, che produce povertà e miseria.