Ascoltami

Da Marissa1331

Mai.

Mai, mai, mai.

Mai una volta che tu mi dia retta. Che decida di farti guidare da me. Dalla mia voce.

Mai una volta che mi ascolti.

Eppure sono praticamente fatto per questo. E nonostante tu lo sappia benissimo continui ad ignorarmi e mi metti a tacere sempre, lasciandomi solo e inascoltato. Seppellito da una valanga di cinismo e di giustificazioni sciocche che mi sussurri per darti un sollievo che non riesci a trovare. Mai.

Inutile, dunque.

Stretto in una morsa gelida di razionalità e dovere che mi asfissia e mi incupisce inaridendomi.

Inaridendoti.

E’ una vita che lo preferisci a me. Da sempre ascolti lui.

Algido e inflessibile ti ha coinvolto nel suo rigore infallibile. Ti ha convinto a reprimere la tua indole infantile e appassionata gettando secchiate di acqua gelida sulla tua anima che è nata ardente di entusiasmo e spontaneità e spegnendo inesorabilmente il fuoco che alberga dentro di te e che ogni tanto guizza di fugaci e sempre più rare fiammelle.

Ti vedo sai? Ti conosco da sempre e da sempre ti osservo da una posizione privilegiata.

Puoi fingere con tutti ma non puoi nasconderti da me. Non puoi.

Vedo il tuo sorriso che preme per uscire fuori e con sgomento lo osservo rimanere sepolto, intrappolato dalla maschera di pietra che ti sei imposto. Sento le parole che vorresti dire e che lui ti consiglia di strozzare nella gola. Osservo il tuo sguardo che si posa su di lei.

E allora ricordo le tante lei. Tutte quelle della tua vita che ti ho sentito amare. Invano.

Vedo le tue labbra tremare di desiderio, i tuoi occhi illuminarsi di una strana luce, sento il tuo sangue trascinarsi caldo e vorticoso nelle tue vene e allora spero. Ho sempre sperato che la fiammella si tramutasse in incendio.

Ma è solo un attimo.

L’ardore che ti infiamma dentro lo ricacci indietro con certosina violenza flagellandoti senza un perché. Ingoi quello che sei, stupri il tuo essere, frusti a sangue la tua anima.

Ti fai del male dentro e fuori e tutto intorno. Soffri.

Ed io mi sento esplodere.

Spaccato dal dolore e roso dall’umiliazione di essere sempre la seconda scelta, schernito da lui che ancora una volta ha vinto.

Lasciando un solo perdente.

Te.

Ancora e sempre.

Sento la tua paura. Ti attanaglia. Ti stringe la gola come una corda letale e invisibile che non ti lascia respirare e dalla quale non riesci a fuggire. Eppure ho tentato non so quante volte di scavare dentro di te, di cercare le ragioni del tuo spavento. Ho tentato di curare il tuo terrore, ma come posso salvare una persona che ha paura di sé stesso e delle proprie umane debolezze? Ti ho consigliato di abbandonarti a quelle stesse, di farti sopraffare dalle sensazioni, di farti guidare dalle mie parole.

Quante e quante volte ti ho detto “ti prego, ascoltami”?

Ma tu no, non lo hai fatto, metaforicamente ti sei tappato le orecchie arrendendoti prima di provare, prima di assaggiare, prima di godere. E lo hai fatto perché lui, ancora una volta tifoso della solita vecchia noiosa strada da non scambiare mai con quella nuova come suggerisce un proverbio sbagliato, ti ha messo in testa che avresti sicuramente perso. Che avresti fallito. Che avresti sofferto.

Ma non sai che la paura di soffrire lacera più della sofferenza stessa?

Eppure dovresti perché tu soffri. Da sempre. E non provare a mentire, non a me che ti conosco meglio di quanto tu conosca te stesso.

Non a me che ti conosco definitivamente meglio di lui.

Soffri anche quando pensi di essere felice. Soffri anche quando ridi. Quando pensi di fare la cosa giusta che è sempre quella che lui ti ha indicato.

Ma giusta per chi? Giusta per te o buona solo a sedare la tua anima impaurita e tremante?

Sento quel senso di vuoto che ti porti dietro da tutta una vita. Sento la tua irrequietezza. Ma sento anche il tuo ardore e assisto alla sua continua e sanguinoa lotta al massacro contro la tua insopportabile razionalità.

Come in quella lunga notte di gennaio.

Ricordi?

Tu la guardavi dormire, cullata da quell’assurdo e pauroso temporale. E non volevi nemmeno farlo eh, no, solo che non riuscivi a distogliere lo sguardo da quel fagotto fatto di carne, lacrime, fiducia e capelli arrotolati attorno alle tue dita. La pioggia ticchettava impazzita sulle tegole, il buio perfetto squarciato solo dal furore dei lampi, il letto caldo, come il suo sorriso addormentato.

Ho visto la tenerezza del tuo sguardo, ho sentito il palpito che ti esplodeva dentro, ho visto le tue dita seguire dolcemente i contorni buffi suo profilo. Ho visto la curva delle tue labbra, le ho viste voltate finalmente nel verso giusto.

Eri felice. Felice di essere lì e da nessuna altra parte. Con quel sorriso, con quelle labbra con quei capelli intrecciati tra le dita.

E allora ho gioito della tua felicità  che poi da sempre è anche la mia.

Ma è stato solo un attimo. Uno soltanto. Poi è intervenuto lui. Di nuovo.

Gelido e cattivo e pericoloso e spietato. Ti ha chiesto di riflettere e tu lo hai fatto. Ha cercato di aprirti gli occhi e invece ti ha reso cieco. Ti ha scatenato contro la sua vecchia e laida alleata.

La paura.

Ti sei piegato alla sua volontà ancora una volta.

Volevi dire “scusa” ed invece hai detto “svegliati”, volevi dire “resta” ed invece hai detto “vattene” volevi costruire ed invece hai distrutto. Solo che non hai distrutto lei.

Hai distrutto te.

Ti ho visto sai?

Rimanere in piedi dietro la porta sbattuta, combattendo contro di me, combattendo contro te stesso con forza per non spalancarla e correre sotto la pioggia incessante, ti ho visto ammutolire in una smorfia di dolore, incapace di capire il perché delle tue azioni, ti ho visto accendere una delle sue sigarette e fingere di fumarla con la testa abbandonata tra le mani. Ho sentito uno squarcio e ho visto il tuo corpo crollare sul letto, ti ho visto mollare il freno e in quel momento ho visto una cosa che non vedevo dalla tua lontana e luminosa infanzia.

Ho visto le tue lacrime.

Non quelle asciutte che da troppo tempo non versi e che ti divorano dall’interno come un cancro maligno, contaminando la tua essenza, ma lacrime vere, lacrime di bambino, lacrime troppo a lungo soffocate, lacrime feroci, lacrime di stanchezza e dolore.

Lacrime d’amore e di consapevolezza di aver fallito. Ancora una volta.

Avrei voluto dirti tante cose in quel momento. Ma sono rimasto in silenzio.

Incredibilmente lo ha fatto anche lui.

Ti abbiamo lasciato allo sbaraglio, pulsante di dolore e stupore, immerso in un oceano di solitudine. Quella che sbandieri, quella a cui aneli e che ti sei costruito meticolosamente attorno. Quella che forse meriti e a cui non sai rinunciare.

Dovrei parlarti ora.

Lo so che dovrei farlo.

E’ il mio lavoro in fondo. Sanguinare e gioire. Consigliare e consolare. Infiammare e innamorare. Ma come sempre mi sento soffocato, annullato umiliato e trafitto da lui, quel tuo cervello freddo e asfittico che riesce sempre a zittire la mia voce, spegnere la mia passione e inondarmi di un sordo dolore.

Quel tuo cervello a cui ti aggrappi e che mi spacca, mi lacera e mi ammutolisce.

Perché vedi, non esiste una sofferenza più perfetta e straziante della mia.

Quella di un cuore inascoltato.

(Questo racconto l’ho sognato. E poi l’ho scritto. E’ come se l’avessi rubato ma non so a chi chiedere scusa)



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