Alla fine dovevamo o no pagare il mastodonte chiamato stato sociale finanziato con i soldi pubblici? Direi proprio di sì. Persino gli USA che non hanno certo uno stato sociale avanzato, alla fine hanno pagato. E hanno pagato perché tutto sommato hanno sostenuto il sistema e i paesi che invece spendevano e spandevano in questo settore, senza oculatezza né parsimonia, inseguendo i miti del socialismo; come l’Italia.
Oggi l’occidente «avanzato» si ritrova sull’orlo della bancarotta e dei debiti. Ieri parlavo degli USA tenuti per le palle dalla Cina. La verità è che la questione è ancora più complessa: è l’intero occidente a subire le aggressive e snelle economie asiatico-sudamericane. Del resto, queste economie sono avvantaggiate: hanno un deficit pubblico ridicolo, uno stato sociale che quasi non esiste, e una crescita economica impressionante. Se i paesi occidentali più avanzati (che ricalcano il noto G7) hanno un debito pubblico che sfiora l’80% del PIL, i paesi emergenti non arrivano neanche al 50%. L’indebitamento dunque è irrisorio, e questo permette una maggiore libertà d’azione nei mercati internazionali, ovviamente a spese dei paesi con l’indebitamento più alto.
Dire che l’occidente è un sistema ormai elefantiaco che rischia di crollare su stesso un giorno sì e l’altro pure non è peregrino, né fantascientifico. Potrei persino azzardare nel dire che oggi rischiamo – in quanto occidente – di essere sulle porte del terzomondismo economico. In altre parole, le parti si stanno invertendo: se l’occidente non si dà una mossa con misure di economia che rispecchiano le esigenze reali e non la salvezza dei guadagni degli speculatori, rischia di implodere malamente. La povertà allora non sarà l’eccezione che conferma la regola del benessere diffuso, ma la regola stessa che tramuterà il benessere in eccezione. Come del resto già sta accadendo. Perché nei paesi dell’occidente, la povertà e l’indigenza sono molto più diffuse di quanto si pensi, ed è solo grazie allo stato sociale, e dunque ai servizi alimentati dal debito pubblico (che cresce esponenzialmente), che molti strati della società sopravvivono. Ma certo questo non può essere considerato un vanto per l’occidente né può essere considerato positivo, poiché sempre più persone non producono e vivono sulle spalle di quelle che producono, le cui file però pian piano si assottigliano, o perché non è più conveniente produrre in un tessuto economico-sociale ostile all’iniziativa economica privata, o perché è più conveniente produrre da un’altra parte: nelle economie emergenti, molto più versatili e dinamiche.
La verità è dunque un’altra. Stato sociale ed iniziativa economica privata sono due entità socio-economiche che per andare d’accordo e coesistere devono equilibrarsi a vicenda. Purtroppo però l’influenza del pensiero socialista e sindacalista ha minato fortemente questo equilibrio a favore dello stato sociale e delle ipertutele. Si è predicato che non devono esistere limiti alla crescita del debito pubblico se questo serve per tutelare e assistere le classi più deboli (come è accaduto in Italia). E si è predicato che l’economia deve avere un’utilità sociale (la nostra costituzione ha sancito questo principio), dando attenzione prevalente alle classi sociali più basse (le quali con il tempo sono diventate sempre più parassitarie e disincentivate a evolversi e produrre), anziché al ceto sano e produttivo. Del resto, se esiste una misura come la cassa integrazione, che stimolo potrebbe mai avere un operaio cassaintegrato a cercarsi un nuovo lavoro o a crearsi una propria attività, quando il denaro per vivere gli arriva senza troppi sforzi? E se esiste una pressione fiscale allucinante che serve per finanziare l’assistenzialismo e una legislazione lavoristica che lo imbriglia in rapporti di collaborazione ipervincolati, che stimolo mai potrebbe avere un imprenditore nel rischiare le proprie risorse e le proprie energie per creare un’attività produttiva, se non a patto che venga sostenuta anche con i soldi pubblici (come accade in Italia)?
L’occidente oggi è intrappolato nella sua stessa tela di ragno; una trappola che comprime la sua crescita economica. Le economie emergenti invece non hanno lacci o lacciuoli che ne trattengano la spinta. Così, per fare un esempio sportivo, è come se in una ideale gara automobilistica, l’occidente gareggiasse con un’auto imballata e con il freno a mano tirato, o peggio con una tonnellata di piombo nel bagagliaio, mentre l’Asia e il sudamerica veleggiassero con fiammanti Ferrari… fra poco costruite a Taiwan, Pechino, o forse San Paolo…
di Martino © 2011 Il Jester