Aspettando Maria

Creato il 18 dicembre 2011 da Bruschidettaglil

Dopo la curva conta 4 fermate del 39. Oregina. Stradina stretta, gradini. La chiesa. E una vista azzurra. C’è Genova lá sotto, oltre quel muretto, con le panchine troppo lontane dal bordo per poter guardare sotto. Il mare, il porto, le gru che oggi non sollevano i container, è domenica. O forse si muovono, ma io da così in alto non le vedo. Oregina. La campana chiama la gente per la messa. Entro. Un anno fa mia nonna se ne è andata. La nonna Maria. Adesso, a una settimana da Natale un prete che nemmeno la conosceva chiederà puntando gli occhi al cielo di ricordarsi di lei. Si fanno dire le messe per i morti. E’ una tradizione. Sarà che sto leggendo “Cosi è la vita” di Concita de Gregorio, capitoli di morte e di come raccontarla, di come parlarne. Sarà per le pagine lette in treno in viaggio per Genova, ma a questa cerimonia sociale oggi presto particolare attenzione.
Mia mamma e mia zia ci tengono a questa messa. Hanno faticato per trovare una chiesa, pare che ci siano delle liste d’attesa. Questa non è la chiesa del quartiere di mia nonna, ma Oregina è il primo angolo di Genova che ha conosciuto quando ha lasciato la Calabria. Io ricordo la nonna senza bisogno di farlo fare a un altro. Ma sono entrata in questa chiesa bianca perché è uno di quei momenti in cui la famiglia ha bisogno di essere insieme. In questo luogo, proprio qui sulle alture di Genova dove mia nonna ha cresciuto quattro figli da sola quando nonno Clemente è morto sul suo camion.
Una chiesa piena di gente, un prete che parla mettendo l’accento su alcune parole. Mi guardo attorno, lo ascoltano in pochi. Però la si definirebbe una messa partecipata: ci sono i canti, i bambini che leggono le preghiere, i disegni fatti al catechismo per l’ultima domenica di avvento, la mostra dei presepi. Io mi concentro sulle parole perché aspetto di sentirgli dire “Maria”, non la madonna, ma la mia “Maria”, la nonna. Per questo vorrei che non scorresse via così il suo nome, vorrei che la chiamasse nonna o mamma. Mi concentro e lo sento raccontare ai bambini l’annuncio dell’arcangelo Gabriele. Due frasi mi colpiscono. Il sacerdote spiega la reazione di Maria. “Maria ha guardato l’angelo stupita e gli ha detto ma come faccio ad avere un figlio se non sono ancora andata in sposa a Giuseppe”? Dopo una pausa il sacerdote aggiunge: “Per far nascere Gesù basta dire ti voglio bene”. Io lo so che pochi bambini lo stavano davvero ascoltando. Lo so che chiacchieravano o guardavano in alto pensando al Natale, ai giochi, ai regali. Lo so. Ma non si può rischiare di creare confusione nei bambini. Mi immagino un piccoletto biondo in prima fila che dice all’amichetta “ti voglio bene ora devi far nascere un bambino”. Ripeto, forse sarà il libro di Concita de Gregorio, scandito dalle domande che fanno i bambini, domande che spiazzano, e dalle risposte degli adulti che sono troppo spesso una presa in giro. Sarà per questo. Eppure vorrei che non si prendesse alla leggera quello che si dice ai bambini. Semplificare va bene, ma non se poi non si può dare risposte alle domande. Penso a questo mentre aspetto. C’è un momento della messa in cui il sacerdote chiede di ricordare il papa, il vescovo, e i nostri cari che non ci sono più. Il prete inizia a leggere i nomi. Ecco Maria. Dopo di lei Bruna. Un’altra figlia, mamma, donna. Non so. Penso che Maria è un nome in un elenco. Penso che dopo la messa si dà un’offerta al sacerdote per aver pronunciato quel nome, per aver chiesto a dio di ricordare i nostri morti. Penso che mia nonna era molto di più di un nome in un elenco.



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