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Qualche giorno fa la Reuters ha fatto uno scoop su una questione che però tutti sospettavano (e temevano) da tempo: tracce di composti chimici ad uso militare, vietati, sono stati trovati in Siria. L’Opcw (l’Organizazzione per la proibizione delle armi chimiche), tra dicembre e gennaio, durante l’ultimo dei suoi otto viaggi siriani, ha preso dei campioni che dopo attente analisi sono risultati positivi per il contenuto di composti chimici precursori alla creazione di agenti tossici letali e proibiti.
Succede così che i funzionari anonimi che hanno rivelato i dati di laboratorio all’agenzia britannica, confermano quello che era quasi una certezza tra tutte le diplomazie occidentali e vari analisti dell’intelligence: Assad, sulle armi chimiche, ci ha fregato.
Si ricorderà che nell’agosto del 2013 il presidente siriano ordinò l’attacco al quartiere Goutha di Damasco (che fa tutt’ora da base per i gruppi nella capitale), in cui morirono centinaia di persone per gran parte civili (c’è chi dice oltre 1700). L’America di Obama si indignò, parlò di superamento delle red lines (una specie di limite oltre al quale le bestiali brutalità di questa guerra interna non potevano andare) e della necessità di un intervento armato (cioè di bombardamenti contro Assad). Poi ci fu l’antologica passeggiata di Obama nel giardino delle Rose assieme al capo di staff della Casa Bianca, Denis McDonough ─ descritto dal Wall Street Journal come uno dei principali sostenitori della necessità di non toccare Assad per non complicare la situazione ─ e il Prez ci ripensò. In mezzo, al di là della capacità persuasiva di McDonough, c’erano anche questioni importanti che fecero da leva a quella persuasione. Il mondo antiamericanista aveva reagito d’istinto (come al solito) davanti a un’altra guerra “stars&stripes”, e così una serie di ignoranti che fino a lì erano poco più che a conoscenza della presenza di una guerra civile in Siria, organizzarono manifestazioni e scioperi della fame molto partecipati, da cui si lasciò coinvolgere pure Papa Francesco ─ che ignorante non è, ma facendo di mestiere il Papa, la difesa della “Pace” è una delle sue mansioni centrali. Tutti dicevano “No!” a un nuovo Afghanistan, “No!” a un nuovo Iraq (ora è bizzarro farglielo notare, ma un “nuovo-Iraq” c’è, e forse anche per colpa del fatto che non si è intervenuti bruscamente e in tempo contro Assad). C’era pure l’affare russo: in quel momento gli Stati Uniti obamiani erano in piena paranoia unipolarista, e così la proposta di Mosca (alleata storica del regime siriano, a cui fornisce tutt’ora armi per combattere i ribelli) di procedere ad uno smantellamento delle armi chimiche siriane, fu presa per buona. Un patto che prevedeva la distruzione dell’arsenale (e quindi ne avrebbe escluso nuovi usi) in cambio della non ingerenza (che in quella situazione si traduceva brutalmente in “no bombe in testa”). Si creò perfino una sorta di caso diplomatico con la Francia, che aveva da subito accettato di buon grado l’idea iniziale americana di bombardare Assad: non solo mentre Parigi aveva predisposto tutto per l’azione, Washington aveva deciso di accettare la proposta di mediazione di Putin, ma l’amministrazione si era pure dimenticata di avvisare i francesi che lo stava facendo.
Ora siamo di nuovo al punto: il governo dittatoriale di Damasco, ha tenuto segreti alcuni precursori che gli permetterebbero con relativa rapidità di riarmare le bombe con sarin (agente nervino che produce una morte orrenda in coloro che li inalano) e con la ricina ─ composti non solo non smaltiti con le oltre 1300 tonnellate di roba analoga distrutta dalla missione Opcw-Onu, e probabilmente nemmeno mai dichiarati nelle lista di disclosure che Damasco doveva fornire ai garanti del patto.
Non bastasse, i funzionari dell’Opcw che hanno parlato con la Reuters, hanno confermato anche un’altra questione, pure questa abbondantemente nota: in Siria c’è stato un uso sistematico e ripetuto del cloro. Opcw non ha ricevuto il mandato per identificare i colpevoli a causa del veto della Russia ─ che è il più potente alleato militare del regime siriano, e fa una grossa attività per garantirne una “possibile” difesa diplomatica ─, e dunque non può sbilanciarsi ulteriormente, ma considerando che il cloro viene messo in bombole che sono attaccate ai barili esplosivi (le famigerate barrel bomb) lanciati dagli elicotteri, solo le forze governative possono essere state, visto che i ribelli non dispongono di un’aviazione ─ questa scarna dimostrazione della tesi è puramente accademica, dato che tutti sanno, ed esistono video che lo testimoniano, che sono gli elicotteri del regime a sganciare quelle bombe.
Quando Assad usa le barrel bomb al cloro, lo fa con un fine più simbolico che militare. Il cloro non fornisce all’esercito lealista particolari vantaggi tattici, è dannoso per l’organismo umano (letale sono per chi ha difficoltà respiratorie, o per i bambini molto piccoli che non hanno ancora un apparato sufficientemente sviluppato), ma non è un composto proibito, visto che ha ampio uso anche nell’industria civile. Per Assad è la leva della sfida, del simbolo di un potere (il suo) che va oltre le prescrizioni internazionali, qualcosa come “la Siria è mia e qui faccio quel che voglio” e “sono più forte dei veti”.
Sfidare gli americani sull’uso di un composto chimico come armamento, dopo la vicenda dello smaltimento imposto sull’arsenale siriano, è anche un modo per fare propaganda e per mantenere una presa sul consenso fatto di noi (cioè i lealisti) e loro (cioè i takfiri, gli empi che si ribellano, amici dell’Occidente). Tutto avviene in un momento critico per il regime, con la base politica alawita (il “noi”) che non si sente più al sicuro, e i ribelli (“loro”) che si coalizzano in massicce joint ventur sponsorizzate dai paesi arabi e dalla Turchia. A Idlib, il capoluogo del nord finito questo mese sotto il controllo dei ribelli per la prima volta dall’inizio della guerra, le organizzazioni umanitarie segnalano continui attacchi al cloro.
Nel frattempo non si hanno notizie di un gruppo di 250 soldati governativi, che è da diverse settimane intrappolato nel complesso del National Hospital di Jisr al Shughour, proprio in provincia di Idlib. L’assedio stretto dai ribelli locali, sta diventando un caso nazionale, e ci sono state fortissime pressioni verso il governo sul “fare qualcosa” per salvarli: si teme un’altra strage, un’altra “ferita identitaria” come il massacro delle reclute a Cob Speicher. I generali hanno organizzato una rescue-mission, come andrà a finire non si sa: sullo sfondo la necessità del regime di nuova autorevolezza, che potrebbe portare a una reazione spietata di Assad ─ à la Goutha, per capirci.
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