Un sadhu davanti al tempio
Il tempio di Shiva dol
Vijay è un bambino grasso, come del resto lo è il padre, la madre e la zia, diciamo una famiglia tendente all'obesità, cosa non del tutto infrequente tra gli indiani ricchi e la famiglia Singh si può tranquillamente definire almeno benestante, vista la bella macchina giapponese nuova nuova che sfoggiano in questa loro devota visita al tempio. Una bella famiglia di Sikh molto osservanti, il padre con la gran barba nera ben curata e trattenuta assieme ai capelli nascosti dal turbante altrettanto nero, la moglie in un magnifico salwar camiz rosa con piccoli motivi dorati coi bordi verdi e la zia anche lei elegante, con la dupatta in tinta mollemente appoggiata alla spalla. Ma il più bello è certamente lui Vijay, un bel pacioccone con la crocchia raccolta sotto il turbantino leggero che riesce a mantenere uno sguardo serissimo e tutto compreso per la cerimonia a cui ha appena partecipato, con il segno rosso e giallo sulla fronte ben marcato che i vari santoni fuori dal tempio ti appongono accompagnandolo con una preghiera di benedizione in cambio di una piccola offerta. Si mettono in posa per una foto con compunta serietà. Finita la visita al tempio di Shiva Dal a cui hanno reso omaggio pur appartenendo alla religione del guru Nanak, ma in India le religioni sono molto sincretistiche e nell'affollamento dei vari dei c'è un fitto interscambio, se ne stanno uscendo per tornare a casa ed un contatto con stranieri, che raramente capitano da queste parti, è occasione gradita, forse per innato senso di accoglienza, forse per profittare dell'occasione per fare esercitare il ragazzo nell'inglese.Con la famiglia Singh
Ma Vijay appare subito timidissimo e non spiaccica parola, salvo porgere subito qualcuno dei dolcetti di cocco che ha avuto in regalo all'uscita dalla funzione. Solo alla fine gli scappa un welcome in Assam, tra i segni di approvazione della mamma, prima di risalire sull'auto tirata a lucido per l'occasione, mentre il padre gigioneggia, sistemando gli specchietti retrovisori lucidissimi. Il tempio è subito dietro, con la sua cupola centrale altissima, un missile puntato verso il cielo, almeno così lo interpretano gli amanti dietrologici che cercano presenze ufologiche nei vimana, i carri volanti raccontati nei testi sacri delle Upanishad. Davanti all'ingresso, una corte dei miracoli di mendicanti che esibiscono le loro deformità cantando e santoni con lunghe barbe bianche che cercano clienti a cui imporre il segno rosso sulla fronte ed un filo di stoffa da legare al polso e quantomeno da benedire. Dall'interno arrivano i canti dei sacerdoti che, al ritmo di cembali, tamburi e tamburelli, accompagnano i fedeli all'interno a versare latte ed altre offerte nel buco centrale, perché arrivino fino a Shiva il creatore/distruttore dell'universo, colui che spazza via ogni cosa per poter ricominciare da capo, ciclicamente, con un mondo nuovo e migliore di quello che lo ha preceduto. Un Dio grillino insomma, molto amato e temuto al tempo stesso, noto soprattutto per la sua furia periodica e per il suo lingam smisurato, oggetto di venerazione assoluta da parte delle donne di ogni età, simbolico com'è di una fertilità così desiderata e fondamentale in questo paese.Raccoglitrici di thé
Forse semplifico un po' troppo, ma i punti che ho sottolineato hanno comunque una certa importanza da queste parti. Usciamo dal tempio sufficientemente benedetti per questo tratto di strada e di vita che ancora ci rimane da percorrere, almeno, speriamo che sia così, perché la via che abbiamo davanti è ancora piuttosto difficile e complicata. Comunque appena fuori del giardino che circonda lo Shiva Dal, un mendicante steso su una carriola sventola la sua gamba deforme ridendo come un pazzo, in una sorta di saluto beneaugurante. Rimane però ancora un tratto di pianura prima di arrivare al confine con il Nagaland e man mano che ci si allontana dal Bramaputra il terreno si ondula un poco ricoprendosi all'infinito di piantagioni di thé, una distesa a perdita d'occhio di cespi fitti di questi alberelli alti all'incirca un metro, gonfi di foglie verde scuro, ben disposti in file regolari. A distanze fisse di una decina di metri spuntano altrettante file di alberi di acacia necessari a diminuire l'impatto del sole diretto e ad arricchire il terreno con i loro residui organici. Il tutto conferisce al paesaggio una sensazione di grande ordine e di una agricoltura particolarmente curata. Ogni tanto vedi spiccare tra il verde, le macchie vive di colore dei sari di schiere di donne piccole e di carnagione scura che circondano i cespi raccogliendo a due mani, le fogliolina apicali più chiare, che vengono gettate nel sacco di stoffa che portano appeso alla testa sulle spalle.Raccoglitrici di thé
La raccolta procede veloce; le mani si muovono con rapidità mirabile strappando qua e là i germogli, mentre per ogni gruppo un capo rimane in disparte a controllare che il ritmo del lavoro non vada scemando e richiamando di tanto in tanto le più pigre a chiacchierare di meno e ad alzare il ritmo di raccolta. Ma basta che lasci la strada per fare qualche passo tra le piante e subito tutte smettono il lavoro per venirti attorno, circondandoti per chiedere da dove vieni, dov'è tua moglie e quanti figli hai e mettendosi in posa per essere fotografate. Chi tra di loro ha uno smartphone (quasi tutte), provvede a sua volta ai selfies del caso, insensibili ai richiami del kapò, intanto la paga è a cottimo, almeno dieci chili di foglie raccolte al giorno per 8 dollari, salvo surplus, quindi chi non raccoglie non porta a casa i dindini, niente job act a tutele crescenti e tutti felici. Ma il tempo passa e la strada che rimane da fare è corta ma pessima e servono ancora diverse ore, quindi gambe in spalla e andare. Tutto bene, non fosse che forse, la benedizione ricevuta al mattino non funziona tanto. C'era stato un difetto di comunicazione, infatti il dio a cui rivolgersi per avere un viaggio sereno e senza intoppi sarebbe Ganesha, quello con la testa di elefante, figlio del predetto Shiva che essendo, come già vi ho raccontato, appunto piuttosto bizzoso, gliela staccò di netto perché faceva troppi capricci.Il negozio dell'elettrauto
Educazione tradizionale, direte voi, quando ci vuole ci vuole, dura ma efficace, salvo che quando la sposa Parvati, con tratto tipico di tutte le madri sempre troppo tenere nei confronti dei figli, lo pregò di rimediare, in fondo è solo un bambino, il buono Shiva, forse conscio di avere esagerato un po', gli rimise in capo la testa del primo che passava davanti a casa. In quel caso fu un elefante e così il piccolo Ganesha, dio della fortuna, simpatico e sempre allegro, si beccò quella testa lì, facendosene una ragione. Fatto sta che, senza la benedizione giusta, la dinamo se n'è andata e la macchina parte solo a spinta. Per un po' si va avanti così, parcheggiandola magari in discesa per essere un po' agevolati, ma poi in qualche modo bisogna provvedere. Così in un paesotto sembra che ci sia un elettrauto di valore che, ficcata la testa nel cofano, la ciondola un po', fa la diagnosi, poi parte con il nostro Emontonath in motorino per andare a procurarsi il pezzo o quantomeno uno abbastanza simile. Una sosta imprevista di circa tre ore. Per fortuna c'è un localino che serve chapatti e thali vegetariano, proprio lì davanti con tavole e sedie di plastica sulla terra battuta. Ci si può anche lavare le mani da una fontanella nel giardino retrostante, davanti alle latrine. Dopo pochi bocconi, la lingua e le papille sono completamente cotte e quindi non senti più nessun gusto, evitando di decidere se ti piace o no. Quando si riparte, la frontiera con il Nagaland è ormai a pochi chilometri.Una raccoglitrice
SURVIVAL KIT
Un sadhu
La strada tra Sivasagat e Mon, la capitale del Nagaland, passando per Tizit, è soltanto di un centinaio di chilometri, ma considerando che per gli ultimi 50 dopo il confine, in uno stato terribile, occorrono anche quattro ore buone, alla fine ci si mette quasi tutto un giorno, considerate le soste. Lungo la strada piantagioni di thé.
Da Sivasagar a Mon
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