L’ex agente del Fsb morì a 43 anni nel settembre 2006, pochi giorni dopo aver bevuto un tè nel quale era stato versato del polonio-210. Era stato critico verso Vladimir Putin, e aveva cercato di raccontatre quelli che lui stesso chiamava “gli illeciti del FSB”. Poco prima di morire, dal letto dell’ospedale dove era ricoverato, aveva esplicitamente accusato il presidente russo di aver ordinato il suo avvelenamento.
Per i giudici di Londra, gli “esecutori” sarebbero i due cittadini russi, che avrebbero somministrato a Litvinenko la dose fatale di polonio: Andreij Lugovoj e Dmitrij Kovtun, che dietro le loro rispettabili immagini di uomini d’affari nascondevano le loro vere professioni di killer del FSB. Entrambi hanno sempre negato ogni coinvolgimento, e Lugovoj, che oggi è un membro della Duma, ha accusato a sua volta il MI6 di aver ucciso Litvinenko e di aver scaricato la colpa su di lui. Mosca ovviamente sostiene la versione di Lugovoj e perciò ha ripetutamente rifiutato di concedere l’estradizione dei suoi due cittadini: una posizione non ha fatto altro che peggiorare le relazioni tra il Cremlino e Downing Street.
Secondo uno dei consulenti della famiglia Litvinenko, i risultati dell’inchiesta mostrano inequivocabili prove di un coinvolgimento della Russia nell’assassinio dell’ex membro dei suoi servizi, divenuto troppo pericoloso per i compromettenti segreti di cui era in possesso.