Ormai ci si imbatte sempre più spesso nell’abominevole “Assolutamente”. Donde sia spuntato questo mantra e perché si sia diffuso a macchia d’olio è difficile da comprendere. Fatto sta che l’avverbio ormai impazza e non ce ne liberiamo più: “giornalisti”, “politici”, “esperti”, persone comuni a qualsiasi domanda rispondono con “assolutamente” oppure per giunta con “assolutamente sì” o “assolutamente no”. Il lessema è usato come sinonimo di “certo”, “senza dubbio”, “affatto”, ma ormai è anche fine a sé stesso. Il vaniloquio degli hollow men alla fine ruota attorno a due o tre luoghi comuni, infarciti di codesta parola-intercalare che, con la sua lunghezza e la s geminata, forse aiuta a colmare il vuoto da cui è fagocitato il nostro decadente corpo sociale. Non abbiamo più alcunché da dire: possiamo dichiarare soltanto la nostra assoluta relatività, anzi trascurabilità.
Anche “assolutamente” è un segno dei tempi, come gli ormai quasi estinti “cioè”, “ovviamente”, “voglio dire”…: sono tempi in cui l’incommensurabile numero di parole che invadono lo spazio della “comunicazione” è poco più di un borborigmo.
Si racconta che Diogene andasse in giro con una lanterna per cercare l’”uomo”: il filosofo cinico intendeva in quel modo irridere i pensatori secondo cui esiste un archetipo “uomo” di cui i singoli sono accidenti.
Oggi qualcuno ancora si ostina a cercare un’ombra di humanitas tra la gente, ma è impresa vana. La maggioranza degli uomini non è formata da individui malvagi, bensì da ignavi. Basta camminare per strada: si incrociano non esseri coscienti, ma quasi sempre sagome senza identità. I volti sono vuoti, piatti, inespressivi. Oltre quelle superfici il niente. Le silhouettes si muovono sotto un cielo d’asfalto, percorrendo strade senza direzione, con la testa incollata al cellulare. Si ha il sentore che siano esistenze abortite nel cimitero della storia.
Articolo correlato: Umanità?, 2015
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