La tomba invasa dall'acqua
Circola, nei palazzi delle soprintendenze archeologiche sarde e in quelli della direzione sarda dei beni culturali, l'auto assolutoria voce che l'intero corpo degli archeologi sardi, dentro e fuori le soprintendenze e le università, siano oggetto di attacchi da parte di gruppi di sedicenti studiosi sardi. Gente che non ha alcun titolo accademico riconosciuto per parlare di cose riguardanti le antiche civiltà, pronta a fabbricare moderne e false Carte d'Arborea. Niente di nuovo sotto il sole. Giusto sei anni fa, la presidentessa dell'Istituto di preistoria e protostoria, Anna Maria Bietti Sestieri, rimproverò Sergio Frau di “fornire il pretesto per rivendicazioni di superiorità culturale ed etnica e per aspirazioni autonomiste che sarebbe difficile giustificare altrimenti”. Fabbricatore, anch'egli, di nuove Carte d'Arborea, insomma, e di antistoriche invenzioni per ricavare alla Sardegna un ruolo dominante nel Mediterraneo. Con questo di diverso: la dr Bietti Sestieri ebbe il coraggio di sfidare il ridicolo, mettendoci (e rimettendoci) la faccia, le sciocchezze sull'assedio del mondo archeologico sono sussurrate e anonime.L'assedio naturalmente non c'è e c'è, invece, un grande rispetto, a volte critico a volte partecipe, per quanto gli archeologi dicono e fanno, indipendentemente dal fatto che siano inquadrati nelle università o nelle soprintendenze. Ma c'è nei confronti delle strutture universitarie e soprintendenziali lo stesso rispetto che esse hanno per il diritto dei contribuenti ad avere risposte a legittime domande. Praticamente nullo. Ieri, questo blog ed altri siti, fra i quali Gente di Sardegna, hanno parlato dell'ennesimo scandaloso disinteresse delle soprintendenze nei confronti dello straordinario complesso archeologico di Sa Pala Larga. Parlo di soprintendenze e non dell'intero loro corpo archeologico perché chi decide come e dove investire risorse non sono i dipendenti, sono i capi. Loro è la responsabilità di fare scelte politiche, loro è la decisione di ottemperare o di violare la Convenzione di La Valletta per la salvaguardia del patrimonio archeologico, imposta dall'Unione europea a tutti gli stati membri, quello italiano compreso. Nell'articolo, firmato da un'autorità come George Nash, sono contenute denunce di gravi responsabilità e le foto di accompagnamento danno conto dei danni che cominciano ad essere visibili e chi sa per quanto tempo ancora riparabili. Il pretesto, sempre avanzato, è che non ci sono soldi per star dietro a tutto. E chi potrebbe negare che lo Stato sia il principale evasore degli impegni internazionali e costituzionali? Parlo di Stato e non di Governo poiché ho un interesse pari a zero nel dire che l'attuale governo è peggio o meglio di altri del passato. Ma il problema è un altro. Chi decide, e perché, che sia meglio fare l'ennesimo scavo a Sirai, come si è deciso la scorsa estate, anziché salvare il complesso di Sa Pala Larga? Chi e perché ha stabilito la priorità? È stato sentito il Governo sardo, nel clima di leale collaborazione imposto dalla Costituzione, per concordare le priorità anche economiche? Per quel che ne so, no. Si è trattato di una scelta politica (di politica culturale ed economica) autoreferenziale, rispondente ad interessi diversi da quelli collettivi. Scelta legittima? Forse sì, se rispettosa degli impegni presi dallo Stato a La Valletta. In realtà, sigillando alla bella meglio la tomba appena esplorata, la Soprintendenza di Sassari non è certo rispettosa dell'impegno dello Stato “a promuovere l’accesso del pubblico agli elementi importanti del suo patrimonio archeologico”. E ritorniamo alla questione delle scelte: Sirai, di cui si sa quasi tutto, è importante e Sa Pala Larga no. Questo pensa la Soprintendenza? Padronissima, salvo che la magistratura non ravvisi reato nella trasformazione della tomba in un bunker di cemento armato, e salve le critiche che si deve attendere. Ma smetta il suo atteggiarsi a vittima di un'orda di sedicenti studiosi che sono fin troppo comprensivi, non avendola ancora trascinata davanti alla Magistratura contabile e a quella ordinaria. Perché risponda, per dire, a semplici domande come questa: “Dove è andato a finire il frammento per un certo periodo ospitato nel museo di Senorbì?”. Mica un fondo di tazzina qualsiasi: un coccio che, secondo l'assiriologo Giovanni Pettinato, portava segni di scrittura cuneiforme.Se un uomo buono e riflessivo come Efisio Loi commenta in questo blog “At a èssir'ora de s'incatzari, una borta e bona”, vuol dire che la pazienza è davvero al limite.Magazine Informazione regionale
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