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Atatürk ieri. Per capire la Turchia oggi

Creato il 19 ottobre 2011 da Istanbulavrupa

Atatürk ieri. Per capire la Turchia oggi(intervista di Raffaele Morani a Fabio Grassi, pubblicata su Il Fondo Magazine: così da poterla mettere a confronto con quella di Francesco Martino)

Dove va la Turchia? Il Paese ponte ideale tra Oriente ed Occidente, musulmano ma laico, che ha intrapreso da anni un percorso alla cui fine vi è l’ingresso nell’Unione Europea è in piena campagna elettorale. Domenica 12 giugno si terranno, infatti, le elezioni politiche e i turchi sceglieranno il proprio futuro.Tutti i sondaggi diano per favorito il partito islamico-moderato AKP di Recep Tayyip Erdogan, le cui riforme stanno cambiando il Paese. Cos’è la Turchia, così lontana eppure così vicina? Un Paese dalle mille contraddizioni, secondo i suoi detrattori contrari al suo ingresso nella UE, ma dalla grande vitalità e dai mille colori secondo chi invece la pensa diversamente? Noi de Il Fondo cercheremo, con questo e altri articoli, di far conoscere meglio questa grande nazione alle porte dell’Occidente in tutti i sensi e, per cominciare, possiamo affermare con sicurezza che è impossibile scindere la Turchia dalla figura del suo primo presidente Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938). Grande statista e fondatore della repubblica turca, nonché autore delle profonde riforme che cambiarono profondamente il paese, sul piano politico (abolizione del califfato, laicizzazione dello Stato, riconoscimento legislativo della parità dei sessi, suffragio universale, sebbene con l’istituzione di un regime autoritario fondato sul partito unico), ma anche sul piano dei costumi (basti pensare all’adozione dell’alfabeto latino e del calendario gregoriano, alla proibizione del fez per gli uomini e alla politica dissuasiva verso il velo per le donne), Ataturk è figura imprescindibile per comprendere la contemporaneità turca. Abbiamo intervistato in esclusiva per Il Fondo un profondo conoscitore della Turchia e di Ataturk, il professor Fabio L. Grassi, esperto di relazioni italo-turche e di storia contemporanea della Turchia. Il professor Grassi ha pubblicato numerosi lavori, tra cui L’Italia e la questione turca 1919-1923 (Zamorani, 1996), e Atatürk. Il fondatore della Turchia moderna (Salerno editrice, terza edizione 2010) la più completa ed aggiornata biografia in italiano di Mustafa Kemal Ataturk,. Attualmente insegna (in turco) Storia del XX Secolo presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale Yıldız Teknik di Istanbul.

Professor Grassi, nel suo libro su Atatürk lo definisce “Un leader del XX secolo, fondatore della Turchia moderna. Abilissimo diplomatico, audace e astuto uomo politico, grande capo militare, occidentalista convinto”. Può brevemente dirci perché la figura di Ataturk è stata così importante nella storia della Turchia del ‘900?

Perché poche volte nella storia un uomo ha così fortemente improntato delle proprie convinzioni e della propria personalità un paese e più precisamente una nazione. Tante cose che oggi ci appaiono del tutto ovvie sono il frutto di scelte nette e definitive di questo leader. Per esempio, osservando la politica da lui seguita nel quindicennio in cui fu a capo della repubblica da lui creata, ossia dal 1923 al 1938, è molto facile dimenticare che lui era nato a Salonicco, che Salonicco era appartenuta fino al 1912 all’Impero Ottomano e che Salonicco era stata la “capitale” dei “giovani turchi”, ossia gli autori della rivoluzione del 1908. La dimensione dello Stato nazionale territorialmente compatto, quale realizzato dalla Repubblica kemaliana, “traduce” un’idea occidentale in un contesto in cui fino a un decennio prima esso poteva a ragione apparire del tutto privo di senso. E’ chiaro che Atatürk non agì da solo e che la sua azione ha ben precise radici culturali, ma è altrettanto vero che quasi sempre egli operò la scelta più drastica, che non era affatto scontata. Prendiamo il passaggio dall’alfabeto in caratteri arabi (inadattissimo alla lingua turca) a quello attuale basato sui caratteri latini: sì, certo, la questione era stata posta, se ne parlava, si ipotizzavano soluzioni, ma senza un Atatürk e la sua azione da rullo compressore forse, chissà, se ne starebbe ancora parlando, forse anzi non si sarebbe realizzato mai.

Nel suo libro descrive molto chiaramente i rapporti che Ataturk intrattenne con la diplomazia italiana durante la lotta per liberare il suo paese e assumerne la guida e, successivamente, i rapporti cordiali che il governo turco mantenne sia col governo fascista italiano sia col governo comunista sovietico. Come si può spiegare una politica estera così “pragmatica”?

Perché Atatürk univa in sé tutte le qualità che Machiavelli lodava, a iniziare dal pragmatismo. Questo pragmatismo fu talvolta annebbiato dal volontarismo nella sua azione di governo, mai nella sua politica estera. In effetti, se mi permette la correzione, i rapporti con il governo fascista non furono in generale molto cordiali, se non nel periodo 1928-32. La nuova Turchia temeva, e a ragione, l’espansionismo mussoliniano e in generale qualunque turbativa del quadro politico internazionale. In altre parole, la Turchia fu decisamente anti-revisionista (visto che la sua revisione l’aveva per prima realizzata lei, con la pace di Losanna). E’ invece vero che Atatürk e il suo entourage videro con rispetto al fascismo come modello moderno e vincente di nazionalizzazione delle masse. Altrettanto rispetto e altrettanta cautela suscitava l’Unione Sovietica.

A quasi 73 anni dalla morte l’immagine di Mustafa Kemal Atatürk è presente praticamente in ogni angolo della Turchia. Criticare la sua figura è considerato ancora quasi una bestemmia, se non addirittura un reato. Quali sono, secondo lei le ragioni di un tale successo così duraturo nel tempo?

Innanzitutto una precisazione: il reato vero e proprio previsto dalla legge esiste, è sempre quello dal 1951, ed è il reato di offesa verso la figura di Atatürk. Il reato è di offesa, non di critica. Precedo la domanda: chi decide dov’è il confine tra critica e offesa? Concretamente, per non sbagliare, gli intellettuali “revisionisti” turchi di solito si attengono, come ho scritto recentemente, all’abitudine di “dire il peccato senza dire il peccatore”, di solito in rapporto alle politiche autoritarie e assimilazioniste. Il successo di cui parla, e quindi la permanenza del culto di Atatürk, è che attorno alla sua figura e alla sua opera si è coagulato un blocco sociale e culturale dominante, architrave del quale sono state le forze armate, caratterizzato da una fortissimo sentimento di successo e di autolegittimazione: noi abbiamo salvato questa nazione, noi l’abbiamo condotta alla civiltà moderna, noi sappiamo cos’è bene e cos’è male per essa. Anche dopo il passaggio al pluripartitismo, questo blocco sociale ha talvolta accettato di cedere una parte del governo, ma si è sempre sentito legittimato a riprendere il completo potere “quando non se ne poteva più”. Il lettore comprenderà che queste righe costituiscono un’estrema semplificazione. Non si può per esempio sorvolare sul fatto che, al di là del culto ufficiale, vasti settori della società turca hanno storicamemente nutrito una grandissima ammirazione per Atatürk: dall’estrema sinistra (verso l’Atatürk rivoluzionario anti-imperialista) all’estrema destra (verso l’Atatürk nazionalista anti-comunista). Infine, va ricordato che Atatürk fu l’ammirato esempio di pressoché tutti i grandi leader progressisti e nazionalisti del terzo mondo, da Nehru a Nasser.

Il partito AKP governa la Turchia da oltre 9 anni ed è dato per favorito alle prossime elezioni del 12 giugno. Secondo i suoi avversari l’AKP, con la scusa di rendere più democratica la Turchia per favorirne l’ingresso nell’Unione Europea sta smantellando lentamente i principi del kemalismo (soprattutto il laicismo e lo statalismo), cosa pensa al riguardo?

Penso che in questi 9 anni la Turchia abbia fatto grandi passi avanti verso la verità, verso la libertà e verso il benessere. La lista delle cose che non mi piacciono di questo governo non è affatto corta, ma negare questa basilare verità è insostenibile. Chi come me ha conosciuto la Turchia del 1985, ma anche del 1999, provo quasi una vertigine di fronte all’aumento del tasso di sincerità e di maturità del dibattito politico-culturale attuale. Tutto ciò è una grandiosa macchinazione per poi far piombare al momento giusto questo paese nel più feroce fondamentalismo? Se anche fosse, lo dico come “ipotesi di scuola”, sarebbe una macchinazione assai mal concepita. Riguardo allo statalismo, a smantellarlo ha fatto benissimo. Ovviamente il blocco sociale che prosperava all’ombra di aziende di Stato protette e decotte, quello strilla al tradimento e alla rovina del paese. Poi ci sono quelli per cui a priori va sempre tutto male. Ma la gente lo sa se sta meglio o se sta peggio. E io mi fido dei miei occhi più che delle chiacchiere. Proprio pochi giorni fa ero in metropolitana, mi sono guardato intorno e, pensando, di nuovo, anche solo alla Turchia di 10 anni fa, mi sono detto: “Ma è la Turchia o una sfilata di moda?”. Riguardo al laicismo, è naturale che un processo di laicizzazione alla francese imposto dallo Stato produca reazioni. Certamente in Turchia ci sono settori religiosi oltranzisti e aggressivi. Purtroppo la gran parte dei laicisti turchi non ha mai voluto fare una seria analisi della vicenda storica della Turchia contemporanea. E così un oltranzismo tira l’altro.

Atatürk è ancora esaltato in patria nelle scuole e nella vita pubblica. Alla luce dei successi elettorali del partito islamico moderato AKP di Recep Tayyip Erdogan, e della profonda crisi degli “eredi” del Kemalismo del CHP, la figura di Kemal Atatürk ed il kemalismo come “religione civile” hanno ancora una loro attualità, e quale spazio possono conservare nella Turchia del XXI secolo?

La “religione civile” kemalista può sopravvivere ancora a lungo, perché lo stesso governo-AKP esita a fare la prima mossa, ossia smantellare apertamente un qualche segno del culto. (In generale, più l’economia continuerà ad andare bene, più si consolideranno i consensi verso l’AKP, più l’AKP sarà indotto a moroteizzarsi (penso ai governi-Moro degli anni ’60), cioè a pensare che non fare un bel niente sia la cosa migliore. Dovrebbero essere i laicisti turchi a muoversi, dovrebbero essere loro a dismettere la loro coperta di Linus, ad essere creativi e spregiudicati. Nel lascito ideale di Atatürk ci sono molte cose apprezzabilissime e da difendere a spada tratta. A mio modesto avviso, nel momento in cui i laicisti turchi àncorano certi valori assolutamente condivisibili al culto acritico di una vicenda storica commettono un suicidio dettato dall’abitudine e dalla paura.



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