Atelier Escha & Logy: Alchemists of the Dusk Sky – Recensione
Recensione del 24/03/2014
PS3
TESTATO SU
PS3
Genere: Gioco di Ruolo Giapponese
Sviluppatore: Gust
Produttore: Tecmo Koei
Distributore: Halifax
Lingua: Inglese
Giocatori: 1
Data di uscita: 07/03/2014
PS3 |
Una volta affondati i denti nelle meccaniche è difficile spegnere la console Impatto iniziale rovinato dalle prime ore di gioco, noiose e dal ritmo smorzato
Accessibile ed intuitivo, senza trascurare qualità e quantità dei contenuti Sulle lunghe i combattimenti perdono mordente
Tecnicamente ottimo
Quinta installazione del decennale brand Atelier su PlayStation 3, Atelier Escha & Logy: Alchemists of the Dusk Sky è il seguito di Atelier Ayesha, uscito sempre per PS3 lo scorso anno. Il titolo Gust è ambientato quattro anni dopo le avventure dell’alchimista del crepuscolo, di cui sono ravvisabili alcuni elementi, tra cui diversi personaggi del cast, ciononostante la narrazione limpida e la quasi totale assenza di riferimenti diretti permette a chiunque di approcciare il nuovo duo di eroi, senza il timore di perdersi lungo l’intreccio, anche se questa è la loro prima esperienza. JRPG a turni vecchia scuola con una particolare enfasi sul crafting, Atelier Escha & Logy punta a perfezionare una saga legata saldamente alle sue origini, nessuno stravolgimento all’orizzonte, dimostrandosi tuttavia una delle varianti sul tema più fresche e godibili degli ultimi tempi nel panorama dei giochi di ruolo orientali, e dopo decine di ore passate davanti ad un pentolone ne siamo fermamente convinti. A voi la recensione completa.
35LT DI ACQUA, 20KG DI CARBONIO, 4 DI AMMONIACA…
Seguendo la filosofia dei precedenti capitoli, l’incipit di Atelier Escha & Logy devia dal filone classico dell’epica fantasy, proponendo una storyline lineare e pacata, in stile “slice of life”, che si concentra sulla quotidianità dei protagonisti e le loro mansioni come funzionari, focalizzando l’attenzione dello spettatore su attività di poco conto ed aneddoti solitamente relegati a brevi siparietti, ma che in questo caso costituiscono gran parte dell’ossatura della trama, nessun conflitto tra bene e male dunque, né colpi di scena assortiti, in un crescendo impercettibile che si riflette sul gameplay, ampliandosi progressivamente senza mai sorprendere, emozionare o coinvolgere come un Final Fantasy VI o uno Xenoblade Chronicles a caso. Potrà sembrare un’esperienza fiacca, apatica quasi, ma non è affatto così, al contrario; tuttavia, per apprezzare appieno il canovaccio è necessario abbandonare i preconcetti che accompagnano il tipico gioco di ruolo di stampo orientale ed entrare in un’ottica in cui non saremo chiamati a salvare il mondo dalla distruzione, anzi neanche saremo pienamente padroni di noi stessi, avremo delle tempistiche da rispettare, doveri a cui fare riferimento, ed in linea generale una tabella di marcia perennemente scandita da compiti necessari per proseguire nella storia, almeno fino alle fasi più avanzate (late game praticamente). Per quanto insolita, una tale impostazione ha un suo perché, funziona e riesce tranquillamente a regalare grandi soddisfazioni a coloro che abbracceranno l’approccio atipico offerto dal titolo, merito dell’eccellente caratterizzazione dei personaggi e di una formula di gioco altamente calamitante, ma andiamo con ordine.
La principale novità in questo capitolo è la possibilità di selezionare, all’avvio di una nuova partita, intorno a quale dei due protagonisti graviteranno gli eventi, Escha o Logy per l’appunto, mentre l’altro si limiterà a fargli da assistente e avrà un ruolo minore. In base alla premessa, questa scelta avrebbe profonde ripercussioni sul tipo di esperienza offerta, con Escha che seguirebbe i canoni tradizionali della serie, sia a livello di trama che di meccaniche, mentre Logy dovrebbe avere un piglio più dark e serioso, con una maggior quantità di combattimenti in stile JRPG, ma a conti fatti le differenze tra i due si limitano ad alcuni dialoghi esclusivi ed un finale ad hoc, oltre all’ovvio cambio di punto di vista e gli achievement che ne derivano, per il resto siamo di fronte a due scenari analoghi, pressoché identici. La storia ci porta nel piccolo borgo di Colseit, in cui troviamo i nostri due eroi al loro primo giorno di lavoro nei panni di novelli alchimisti di stato (ogni riferimento a Fullmetal Alchemist è puramente casuale), il cui obiettivo sarà completare gli incarichi assegnati entro la scadenza del termine imposto (che si aggiorna ogni quadrimestre, a partire da aprile) in modo da far prosperare nuovamente il villaggio dopo un periodo di magra, dovuto alla carenza di personale nella sezione R&D: esplorare complessi di rovine, controllare lo squilibrio ambientale nelle regioni limitrofe, cacciare mostri e venire incontro alle richieste dei paesani saranno solo alcune delle mansioni a cui adempiere, e per farlo dovremo alternare frequentemente viaggi alla ricerca di materie prime e nottate insonni trascorse nell’atelier (la “base operativa” degli alchimisti, in cui possono creare di tutto, dall’equipaggiamento come armi e corazze, a esplosivi, utensili, abiti, accessori, parti di ricambio, persino cibo), tenendo sempre un occhio vigile sul calendario, prima che il fatidico giorno del resoconto ci sfugga di mano portandosi via le ricompense ancora da intascare.
Il ritmo di piuttosto lento denota una progressione altrettanto flemmatica, soprattutto durante le prime ore, a tratti soporifere, ma grazie all’atmosfera placida e al tono allegro e spensierato entrare nello spirito del gioco è questione di poco, giusto il tempo di essere andati oltre il prologo e avere un maggior controllo della situazione, merito di un’interfaccia pulita ed estremamente intuitiva, che ci agevola non poco nella gestione delle risorse, nonostante la mole di informazioni da metabolizzare, e di un cast ben curato che non tarderemo a conoscere e ad amare. Il profilo dei due protagonisti è dettagliato e convincente e la loro alchimia quasi perfetta, dando vita a conversazioni ora piacevoli nella loro spontaneità, ora esilaranti, ma il resto dei comprimari non è certo da meno, sebbene la loro personalità sia stata piegata in favore del loro contributo all’interno del party; comprensibile, considerato il tempo risicato che possono concedersi a schermo. L’utilizzo di stereotipi è contenuto, salvo un paio di luoghi comuni riciclati per le gag, e come consuetudine vuole la trama è infarcita di sketch che approfondiscono di volta in volta lati del carattere di un personaggio che normalmente non potrebbero emergere, curiosità sul loro passato o i loro gusti, spesso votati alla comicità, è vero, ma conosciamo bene le tendenze del popolo nipponico in materia…
ZUCCHERO, CANNELLA E UNA SCAGLIA DI DRAGO
Il primo concetto che balena alla mente quando si vuole inquadrare la formula di gioco di Atelier Escha & Logy: Alchemists of the Dusk Sky è quello di routine. L’intera infrastruttura della produzione Gust può essere infatti racchiusa in un pattern di natura ciclica, che si ripete per tutta la durata dell’avventura e diventa ben presto un’abitudine a cui è difficile scampare (da non prendere come una forzatura, sia inteso): da Colseit, centro nevralgico dell’esperienza (che approfondiremo a breve) il giocatore può muoversi tramite una comoda mappa punta e clicca verso una delle aree sbloccate, a loro volta suddivise in “stanze”, ognuna con caratteristiche proprie in termini di fauna e risorse; giunti a destinazione si collezionano oggetti dai punti di raccolta evidenziati, si sconfiggono i mostri in zona, ed una volta caricato un gauge a sinistra dello schermo sarà possibile attivare i Field Events per fare incetta di materie prime aggiuntive, scovare reliquie, che potranno essere usate immediatamente o conservate per essere successivamente scomposte, influenzare la generazione casuale di mob e materiali, o imporsi un po’ di sana sfida con i mini-boss, la cui difficoltà varia dal rincuorante “though” a “hopeless”, con gruppi di nemici fino a 20 livelli più forti rispetto al gruppo (le ricompense non sono male in compenso). Terminato il tour, o come accade di solito, riempita la borsa fino all’orlo, si fa ritorno al campo base per mettere al sicuro il bottino, e il ciclo ricomincia. Detto ciò, è bene passare del tempo in città prima di intraprendere un nuovo viaggio: lungi dal fungere esclusivamente da HUB, le feature di Colseit saranno di vitale importanza per giostrarsi senza troppi problemi nella campagna. Oltre ai già citati dialoghi extra, frequenti e spesso concatenati in piccole side-story (non temete di mancarne qualcuno, saranno sempre segnalati nel menù di spostamento rapido), i negozi forniranno una vasta selezione di oggetti per le trasmutazioni, nonché libri di alchimia per apprendere nuove ricette, mentre nella sede della sezione R&D, facendo rapporto sui propri successi, verranno assegnati punti per salire di rango e succosi bonus in caso di obiettivi completati in sequenza, inoltre, terminando le quest di consegna otterremo dei dolcetti, che potremo rifilare agli Homunculi in cambio della produzione in serie di alcuni materiali; finanziando le ricerche sarà infine possibile sviluppare le abilità dei due alchimisti, ottimizzando le fasi logistiche, riducendo il tempo di farming, aumentando i punti esperienza guadagnati e altro ancora.
Ogni nostra attività è però in funzione dell’atelier, vero fulcro del gameplay, in cui sbizzarrirsi con la fantasia per plasmare qualunque cosa ci aggradi, a patto di conoscerne la composizione. Il processo alchemico per il pentolone magico di Escha e la fucina di Logy è il medesimo, ma si tratta di una pratica lunga ed abbastanza complessa, fortunatamente viene introdotta per gradi e resa estremamente semplice grazie all’interfaccia funzionale e ai numerosi tutorial, invadenti alle volte, ma indubbiamente utili. Il primo passo è selezionare gli oggetti che andranno a costituire la base della sintesi, come minerali, piante o liquidi, di cui valutare il costo in CP, l’affinità elementale, le proprietà ereditarie e i tratti distintivi; fatto ciò si va ad assemblare la nostra creazione, miscelando uno ad uno i componenti, ed utilizzando le skill acquisite quando se ne presenta l’occasione per perfezionare il risultato, migliorandone l’effetto o aumentandone la quantità, ridurre il costo dei materiali o potenziarne gli attributi, fino a che non saremo soddisfatti; a questo punto si applicano gli ultimi ritocchi assegnando ulteriori abilità passive tra quelle disponibili, et voilà, il gioco è fatto. Inizialmente le opzioni sono limitate, tanto che l’enfasi sul crafting tende a risultare tediosa, ma non appena si acquista dimestichezza e si sale di livello si scopre una profondità impressionante, merito delle centinaia di materie prime tra cui scegliere e conseguentemente della mole di combinazioni realizzabili, consentendo di diminuire sensibilmente il tasso di sfida nelle mani giuste; stessi pezzi di equipaggiamento possono avere parametri diversi, ma soprattutto skill diverse, come danni e resistenze bonus, critici e statistiche incrementate, riduzione dei costi in MP, rigenerazione della salute, efficacia e area d’impatto maggiorate, minor numero di slot richiesto per l’uso, la sperimentazione non sembra avere confini, e regala grandi soddisfazioni. Nei JRPG un buon arsenale equivale da sé ad una mezza vittoria, ma in Atelier Escha & Logy assume un nuovo significato considerate le mostruosità che potremo sfoderare, e senza controindicazioni, specie nelle fasi conclusive.
Meno sviluppato rispetto alla componente gestionale, il battle system a turni si presenta snello e dinamico, concentrandosi sulle sinergie tra i membri attivi del party e sul controllo del terreno, anziché strategie legate alle abilità dei singoli, contenute rispetto alla media del genere: appena 2-3 skill per personaggio, inventario riservato ai soli protagonisti, niente healer o supporter di sorta, le battaglie si vincono alternando la prima linea con la retroguardia (la “panchina” infatti si curerà gradualmente turno dopo turno), sfruttando la posizione sul campo per attacchi in combo e guardie di coppia, distribuendo così equamente il “carico di lavoro”; l’asso nella manica di Escha e Logy sono ovviamente gli oggetti creati nell’atelier, come granate, partner robotici, martelli divini, porzioni extra large di frittelle ed altre amenità, mentre i comprimari potranno ricorrere alla classica mossa finale, con tanto di animazione altamente spettacolare e sottofondo personalizzato. Nel complesso si combatte relativamente poco e la difficoltà generale (grindando e gestendo al meglio l’equip) è bassina, ma dato il ritmo frenetico e la buona caratterizzazione dei mostri (boss in particolar modo) non possiamo lamentarci, anche perché i combattimenti a loro volta non sono che un mezzo per arraffare materiali da sintetizzare, troppe dinamiche avrebbero sicuramente appesantito la struttura portante del gioco, incrinandone il sottile equilibrio… Meglio così, insomma.
POTREBBERO FARNE UN ANIME QUASI… AH, GIUSTO…
Dal punto di vista tecnico, il motore grafico in cel-shading sprizza radiosità da ogni pixel, il salto rispetto ai capitoli passati è evidente, sfoggiando una palette di colori vivacissima e modelli poligonali ricchi di dettagli, supportati da un comparto di animazioni ed effetti speciali sul medesimo piano; meno convincenti le location, penalizzate da un level design spoglio e in bassa risoluzione, sebbene compensate parzialmente da una discreta varietà, tra foreste, fiumi di lava, fortezze volanti, regioni desertiche e montagne a strapiombo; splendidi invece i filmati in stile anime (purtroppo senza sottotitoli), che ipotizziamo faranno capolino nella serie animata ispirata al titolo, annunciata poco tempo dopo la sua release. Ottima la corposa colonna sonora, che alterna melodie dolci ed orecchiabili a brani più carichi, fino a vere e proprie canzoni, ed asseconda perfettamente l’atmosfera, infondendo tranquillità e buonumore nei momenti di calma, accendendo gli scontri, privilegiando ancora una volta le boss fight, magistrali. Ineccepibile infine il doppiaggio giapponese, puntuale e limpido, alla cui realizzazione hanno preso parte parecchie voci note; per questioni di principio non abbiamo approfondito molto l’adattamento in lingua inglese, ma da quel poco che abbiamo potuto udire non ci è sembrato alla pari con quello originale, comunque se proprio non digerite il giapponese si difende piuttosto bene. Ah, un’ultima nota: il gioco non è stato localizzato in italiano, ma lo sapevate già, no?
IN CONCLUSIONEPur non imponendosi in un mercato prossimo alla saturazione e non rivoluzionando una struttura vecchia di quasi venti anni, Atelier Escha & Logy: Alchemists of the Dusk Sky rappresenta un ottimo passo in avanti per il brand targato Gust. La formula di gioco basata su combattimenti lampo e crafting sfrenato funziona alla grande, e conquisterà qualunque fan dei JRPG, oltre ai veterani della serie, con una campagna che oscilla tra le 30 e le 40 ore di gioco (da raddoppiare se si desidera affrontarla con entrambi i protagonisti), a cui sommare una realizzazione tecnica di prim'ordine, una colonna sonora avvolgente ed un cast ben caratterizzato che riesce a nascondere una storyline non esattamente memorabile. Non sarà il massimo se si cercano immagini forti ed epicità condensata, ma se collezionare e grindare sono il vostro forte, e volete rilassarvi con un buon gioco di ruolo senza spegnere il cervello, Escha e Logy sono la coppia di eroi che fa per voi, solo non perdete tempo ad oziare, il calendario corre! ZVOTO 8.5