Magazine I nostri amici animali

Atopia e ipotiroidismo in un cane Beagle.

Da Olikos

Il sottotitolo di questo caso è: quando i farmaci creano le patologie e quando l’omeopatia è l’ultima risorsa.

-”Dottore, lei è l’ultima spiaggia. Se non funziona la sua cura, lo faremo sopprimere”.

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Questo è il caso di Snoopy. E’ un interessante caso clinico dermatologico. Ma più che un caso clinico è una storia. Ogni caso racchiude in se una propria storia, che va analizzata nella sua interezza e complessità, perchè così è l’unico modo per poter mettere assieme i pezzi di un puzzle complicato , anche se si tratta della semplice vita di un cane. Questo è il primo insegnamento dell’Omeopatia: ogni persona, ogni animale, ogni paziente esprime dei sintomi che non sono solamente in relazione con il nome che cerchiamo di dare alla malattia (diagnosi), ma sono una espressione di un insieme di variabili e di dinamiche relative e proprie di ogni singolo paziente, dinamiche fisiche, comportamentali, emotive e biografiche. Senza questo insegnamento non c’è cura, ma palliazione.

E’ per questo che credo che la Medicina dovrebbe essere una materia umanistico-scientifica e non solo scientifica. Perchè da sola, la scienza, anche la più progredita e illuminata, si perde nel dettaglio – pur utile – e lambisce in modo tangenziale e superficiale le cause più profonde dell’insorgere della malattia.

Snoopy è un beagle maschio di 7 anni, che arriva nel mio Centro in modo disperato. Le sue condizioni di salute sono molto compromesse e i proprietari sono esasperati. L’omeopatia è davvero l’ultima spiaggia prima dell’eutanasia.

A Snoopy è stata diagnosticata una Dermatite Atopica e un Ipotiroidismo. E’ un cane apatico, senza voglia di relazionarsi, ne con i suoi simili ne con le persone. Le mucose sono congeste, la cute icorosa con una infezione profonda, maleodorante che causa forte prurito. I proprietari hanno eseguito delle terapie con farmaci convenzionali per 4 anni, senza alcun risultato. Hanno somministrato cicli di antibiotici e corticosteroidi, trattamento per via generale e trattamenti topici. Hanno fatto una serie di esami diagnostici da dermatologi specializzati, seguito cambi alimentari con diverse diete privative industriali e crocchette ipoallergizzanti.

Sono state eseguite le vaccinazioni annuali e semestrali nonostante fosse in atto una patologia cronica.

ANAMNESI:  Fin da piccolo con prurito, da subito diagnosi di dermatite atopica, con lesioni soprattutto alle orecchie e alle zampe. DA subito trattato con cortisone. Ha avuto due proprietari prima di noi. E’ la bontà in persona, va a baciare le persone che vengono in casa. La veterinaria lo medicava e lui la baciava. Sempre stato vivace, sveglio. Quando era piccolo non aveva paura di botti e tuoni, adesso invece ne ha paura, anche quando piove forte adesso trema e sta vicino a noi. Si sottomette agli altri cani. Non è aggressivo, non si azzuffa, socializza anche con i gatti. Cerca sempre di socializzare. La sua giornata tipo: si alza alla mattina e va dietro casa in giardino a fare i suoi bisogni. Si mette sul divano e dorme tranquillo finchè non torniamo dal lavoro verso l’una. Poi esce per un giretto, mangia e sta in casa. In questo periodo dorme molto, è apatico.  Ha fatto cicli di cortisone, veterabol, poi interceptor, deltacortene, augmentin, edren, medrol vet, leniderm, otogent, ATOPLUS, NEXIUM, CIPROXIN. E’ negativo alla Leishmaniosi canina. Nel 2009 fu tolto un nodulo cutaneo che risultò essere una istiocitosi cutanea. Da Dicembre 2013 prende Eutirox per diagnosi di IPOTIROIDISMO.

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PRESCRIZIONE: 

- calcarea carbonica 1 LM 10 gocce sid, - fitocurcuma 2 cps, - stop vaccini, - dieta casalinga

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Dopo la terapia omeopatica, Snoopy sta benissimo. La dermatite è pressoché guarita e il problema alla tiroide è scomparso. E’ tornato vitale come era pochi anni fa. 

La scienza è un peculiare sistema di persuasione.
[B. Latour]

Nessuno dei medici oggi viventi è mai stato educato ad una riflessione libera sul suo operato. Negli ultimi cinquant’anni, una significativa riflessione di fondo sulla Medicina non si è mai diffusa fra gli addetti ai lavori, cioè tra i medici.
Una riflessione in merito l’hanno fatta i filosofi, e i medici l’hanno subita o, più frequentemente, del tutto ignorata. Infatti, dalla filosofia della scienza, dall’epistemologia, non è venuta fuori alcuna materia d’insegnamento universitaria, nè alcun programma professionale di società scientifica. E’ invece venuto fuori uno sfondo concettuale superimposto.Vi è, infatti, un grande sfondo concettuale dell’agire medico, un cielo sulla testa, che i più non percepiscono neanche o considerano un fatto naturale. Un’ideologia silenziosa che si appalesa soltanto quando qualche temerario osa pensare qualcosa di diverso da quello che ci si aspetta che tutti pensino.
In questo caso, e solo in questo caso, emerge il fatto che quell’essere pensante è, appunto, un temerario ed il suo è un pensiero deviante. Alcuni di pensieri devianti hanno dato luogo, in questo secolo, ad esempio, alle psicoterapie, alla psichiatria umanistica, alla chiusura dei manicomi, ai diritti dei malati. Nessuna di queste cose, tuttavia, è stata in grado di cambiare lo sfondo concettuale della Medicina moderna.
Il caso più interessante è quello delle cosiddette Medicine Non Convenzionali, che sono ferite aperte nel corpo ideologico della concezione unica della scienza e della Medicina. Infatti, fa tuttora meno scalpore che, ad esempio, uno psichiatra inventi per i suoi malati un cerchio sciamanico, piuttosto che un oncologo curi in un servizio pubblico con l’Omeopatia.

CHE COS’È UN’IDEOLOGIA SCIENTIFICA
L’Epistemologia cominciò ad essere costruita agli inizi del ‘900 quando dalla Scienza e dalla Medicina moderna fu espunta ogni riflessione concettuale di fondo ed ogni discorso che non fosse soltanto tecnico.
Nacque così, nell’ultimo secolo, questa epistemologia “canonica”, che giungeva ai medici (che, peraltro, nulla son tenuti a sapere di filosofia) come un cibo pronto, un pacchetto preconfezionato di riflessioni per quelli che avrebbero voluto sviluppare una riflessione.
Una trappola ideologica in realtà, ma lo si capì soltanto negli ultimi decenni. Ancora adesso, la maggioranza dei medici e dei pazienti non lo sa.
Per tutto questo secolo, abbiamo dovuto subirla tutti (medici e non) l’epistemologia neopositivista, come “pensiero scientifico vincente” della nostra epoca, che trova nella Biomedicina una sua conferma di validità come, reciprocamente, la Biomedicina è giustificata perfettamente dal neopositivismo.
Ancora adesso, il pensiero positivistico (relativizzato e superato nella Fisica e persino nelle scienze esatte) è tuttora indiscusso in campo medico, dove raggiunge il trionfo: una sola concezione della scienza, una sola concezione della Medicina.
Questo è quanto viene tuttora insegnato assiomaticamente, in implicito, in tutte le università di Medicina e di Biologia e sostenuto dalle Istituzioni che tutelano le scelte statali in tema di scienza e di salute.
E questo è quanto sostenuto, in esplicito, quando si vuole difendere questo monopolio ideologico dall’”attacco” di altre scienze ed altre Medicine, che hanno fondamentalmente il torto di continuare ancora ad esistere.
Negli ultimi decenni, dicevo, la cultura moderna ormai ha svelato, da un punto di vista teorico, le pecche di questa “ideologia della scienza”.
Malgrado le migliori considerazioni epistemologiche (Popper, Khun, Lakatos, Feyerabend), nell’ultimo secolo la Medicina è rimasta culturalmente arretrata ed isolata rispetto ogni riflessione sul suo significato come scienza moderna.
Il motivo teorico, fondamentalmente, è stata la “demarcazione fra scienze e pseudo-scienze” che l’Epistemologia degli ultimi decenni aveva imposto come un dogma a tutte le altre scienze.
E’ soltanto di recente che la Sociologia della Scienza ha superato questo dogma.
Attualmente, la Sociologia della Scienza, a metà tra Antropologia ed Epistemologia, ci fornisce una visione della Scienza e della Medicina contemporanee più realistica di quella a cui si perviene per la sola via di speculazione filosofica.
Nella visione sociologica, l’attuale mito della scienza appare come un re nudo, una costruzione culturale, una credenza funzionale al controllo delle menti ed alla vendita di merci.

Di seguito delle citazioni da Bruno Latour (“La scienza in azione”, 1987, Edizioni Comunità 1998).
La letteratura scientifica presenta un tipo di “oggettività” acontestuale, addomesticata.
Le associazioni utilizzate dallo scienziato per indurre ad accettare una tesi come un fatto sono: retorica, argomento d’autorità, citazione dei testi precedenti, citazione di quelli successivi; stratificazione, tattiche di posizionamento delle argomentazioni.
La letteratura scientifica e per estensione, l’attività dello scienziato, produce enunciati, fatti (in realtà, “fatti costruiti”, scatole nere).
Gli enunciati, sono solo prodotti, costruiti.
Per accettare i “fatti costruiti” come se fossero “fatti”, cioè fatti veri, fatti naturali, si utilizza l’argomento di autorità, le citazioni, si fa riferimento ad un paradigma come certezza solida. Si cerca in tal modo il fondamento e la costruzione di fatti solidi. Un paradigma non è una certezza solida, è un paradigma.
Vi sono costruttori di fatti (duri e morbidi), e tali fatti non sono per forza i migliori che abbiamo ma sono le uniche soluzioni che forniamo perchè altri credano a qualcosa… I fatti duri sono l’eccezione.
Possono alcune migliaia di scienziati ed industriali al mondo far sì che centinaia di milioni di altre persone credano ed accettino i cosiddetti fatti duri della tecno-scienza?
Si, se è prevalente la diffusione: ai miliardi di persone non resterebbe che acquisire le tesi in forma di scatole nere, oppure rimanere nella loro “ignoranza.”
Questa tecno-scienza è per metà una cosa americana.
Per 2/3 si occupa dello sviluppo delle applicazioni in atto, per una percentuale molto minore di cercare altre applicazioni di ciò che conosce, e soltanto per 1/10 si occupa di allargare la ricerca (ed anche in questa “ricerca di base” l’obbiettivo è cercare il proprio interesse).
Si tratta di inventare la scienza e renderla indispensabile, allo specialista come al contro-specialista, si tratta di gestire denaro.
Per sostenere questa scienza, 700 milioni di persone al mondo versano il 2,5% del loro pil nazionale, 250 milioni la sostengono indirettamente.
In tutto il mondo, 3,3 milioni di persone conoscono un fatto scientifico, una scatola nera (soltanto 3,3 milioni contro 5 miliardi di persone), soltanto 900.000 persone lavorano nel settore della scienza e della ricerca e, di questi, soltanto 50.000 sono scienziati.
Gli alleati e le risorse interne alla rete della tecnoscienza sono la parte sommersa dell’iceberg, la cui punta è rappresentata dagli scienziati: le professioni della sanità (come, in altri campi, quelle militari) sono gruppi che sanno come coinvolgere tutti su alcuni problemi, come tenerli allineati e renderli disciplinati e fedeli; sono gruppi per i quali il denaro non è un problema.
Gli scienziati innalzano barriere tra loro e noi, tra credenze (dei non scienziati) e conoscenze (degli scienziati), tra menti irrazionali e menti razionali. Si tratta invece di una questione sociologica: i possessori di una conoscenza estendono reti di significato che arruolino e controllino.
La scienza è un peculiare sistema di persuasione.
La scienza utilizza un suo stile logico per invertire il ragionamento comune, abbisogna pertanto di molti alleati, e di nuovi alleati creati dagli scienziati.
Il suo compito è sostituire una visione del mondo costruita a quella naturale negli occhi di chi guarda.
Occorrono strumenti, laboratori. Discutere ha un costo, interamente stabilito dagli autori, e che è inversamente proporzionale al numero di persone che lo tengono vivo (bisognerebbe pertanto guardare con molta attenzione le scienze minoritarie che sopravvivono con poco).
Gli scienziati sono i portavoci delle iscrizioni dei fatti della scienza. Essi sono autorizzati a fare il loro lavoro così come lo fanno. Si può sempre sottoporli a prove di forza se trovano qualcosa di diverso da quello che dovrebbero limitarsi a trovare.
Un dato non è univoco, può voler dire altrettanto bene altre cose che quelle in cui è incastonato.
Si può prendere in prestito qualsiasi scatola nera per servirsene altrove. Il dato, in sè, è soltanto in quanto leggibile nel laboratorio in cui è costruito.
La scienza è una retorica debole che diventa sempre più forte
Tutti seguiranno questa scienza che viene loro proposta se la loro via è ostruita, se il nuovo percorso è segnato, se una via migliore è impossibile da valutare.
Si dovranno reclutare nuove persone non ostruite, sarà impossibile distinguere arruolante ed arruolato, e la scienza sarà l’unica forza trainante.
Produrre fatti credibili ed artefatti è un attività costosa, che avviene in luoghi rari che estendono le loro reti, che i costruttori presumono linee razionali deviate da forze irrazionali esterne, in una “spiegazione” asimmetrica, accusatrice, senza storia, acontestuale, senza oltre, dove il diverso è illogico poichè si tace il suo implicito.
Invece tutti siamo e viviamo in un mondo abbastanza logico, dove qualcuno impianta i tribunali della ragione, che tracciano per loro e per noi la mappa delle associazioni che costituiscono la rispettiva socio-logica e condannano le menti selvagge con schemi-verdetti come assurdo-accurato, logico-illogico.
In realtà, le maglie delle reti scientifiche sono attraversate.
Ogni teoria tiene insieme elementi, non è un oggetto astratto da culto. Eppure molti credono che lo sia e credono nella sua applicazione come fosse davvero universale, come se gli scienziati guidassero il mondo, come se la tecnoscienza fosse universale e si diffondesse senza costo.

Perché questo potrebbe considerarsi un caso di patologia indotta da trattamenti farmacologici: 

L’esempio che porto sempre è quello della chimica perchè molti colleghi si stupiscono quando si parla di chimica, in fondo, dicono, noi siamo chimica. Certo dico io, ma quale chimica? Quella che ha impiegato millenni di evoluzione, anzi di CO-EVOLUZIONE e quindi si ‘integra’, viene ‘riconosciuta’ e ‘metabolizzata’ , quella che ha subito la pressione evolutiva in senso adattativo o la chimica sintetica? C’è bisogno di tempo anche per la chimica, essa non è esente dai processi evolutivi… i risultati li vediamo tutti i giorni, la chimica sintetica che sembra risolvere probelmi nell’immediato poi ci da problemi nel lungo periodo: l’ambiente non riesce a ‘riconoscere’ la sintesi, non la ‘metabolizza’, non la ‘integra’, quindi la accumula e non la trasforma e noi ce la ritroviamo nel piatto o nei polmoni e ,da li , nei cromosomi… così anche i farmaci chimici: sembrano risolvere molti problemi nell’immediato perchè rispondo all’adattamento della curva di selye, ma poi i propri si ripresentano o si cronicizzano. Questo ce l’ha insegnato bene il nostro Hahnemann. Selye studiò il comportamento degli essere viventi sottosti a stress , individuando la natura bifasica (Curva di Selye) di fenomeni biologici come risposta adattativa/non adattativa ad alcuni eventi. La curva di Seyle venne poi applicata da Hamer per descrivere la natura bifasica delle malattie. La risposta adattativa (resilienza)/non adattativa (alessitimia) (solving problem) identificata da Selye si compone di tre elementi: stressors, individuo, ambiente nel quale essi interagiscono. a. Stressors: ogni evento emotivo, fisico (freddo), biologico, metabolico, psicologico (suocera), sociale (lutto) induce una generale attivazione di meccanismo di risposta. b. Individuo: è il terreno su cui gli stressors agiscono ed è il risultato sia del patrimonio genetico dell’individuo, sia delle sue capacità psico-emotive, sia delle sue mappe cognitive, caratteristiche temperamentali e di personalità, condizioni socio-economiche e risonanza soggettiva all’evento. c. Ambiente: è la mappa che stressors e individuo condividono e nella quale sviluppano , consolidano il loro rapporto (accoppiamento strutturale) e ne danno significato. Ogni stressors che perturba l’omeostasi dell’organismo richiama immediatamente delle relazioni regolative neuropsichiche, emotive, locomotorie, ormonali e immunologiche (psiconeuroendocrinoimmunologia – Pnei). Tutti questi sistemi operano in stretta interdipendenza sia in modo vegetativo che in modo cosciente. La risposta che segue agli stressors non è legata da un rapporto di linearità, data la complessità della rete e l’individualità biochimica e cognitiva dell’organismo. L’adattamento è una complessa attività che si articola con la messa in atto di azioni finalistiche destinate alla gestione o soluzione del problema, alla luce della risposta soggettiva suscitata dagli eventi. La capacità di indirizzare la azioni adattative implica sia la possibilità di azioni finalizzate a modificare l’ambiente in funzione delle necessità del soggetto, sia l’eventualità di intraprendere modificazioni di caratteristiche soggettive per ottenere un adattamento all’ambiente circostante (epigenetica). Quindi una risposta adattativa (resilienza) / non adattativa (alessitimia) ad un evento stressante può determinare l’insorgenza di un quadro patologico di interesse clinico con alterazioni permanenti che hanno un significato adattativo, mantenendo una risposta inadeguata cronica che noi identifichiamo nosologicamente come malattia. Nei nostri animali gli stessors possono essere tantissimi: tipico esempio sono le condizioni negli allevamenti industriali, ma anche la coercizione nell’addestramento dei cavalli o semplicemente nel lasciarli in box 23 ore al giorno e 1 ora di passeggiata privandoli delle loro caratteristiche sociali e fisiche, oppure cani e gatti confinati in ambienti con stimoli inadeguati, oppure diete industriali prive di ogni senso nutrizionale e etologico, stress biologici come continue ed inutili vaccinazioni che orientano il sistema immunitario verso forme di adattamento / non adattamento secondo le osservazioni di Selye (patologie allergiche, autoimmuni, tumorali) o trattamenti sanitari con antibiotici e sverminanti, antinfiammatori etc .Ed è così che possiamo avere delle letture funzionali di sintomi adattativi / non adattativi che noi definiamo (erroneamente) patologia.


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