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Attacchi di panico e trattamento cognitivo comportamentale

Da Silvestro

A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma

Abbiamo visto l’enorme incidenza e prevalenza degli attacchi di panico nella società moderna ed abbiamo anche potuto costatare le molteplici cause responsabili del panico e dei meccanismi conseguenti ( evitamento, rinforzo etc..): dall’ impossibilità di elaborare sicurezza per il  bambino nei confronti della figura di accudimento,secondo la teoria dell’attaccamento,  alla teoria comportamentista secondo cui gli attacchi di panico costituiscono uno stimolo incondizionato che , presentandosi in relazione temporale o spaziale con altro stimolo (luoghi e situazioni in cui gli attacchi si manifestano), fanno si che quest’ultimo inneschi una risposta condizionata che si manifesta attraverso le condotte di evitamento ( es. al solo pensiero dell’ascensore inizio ad avere le palpitazioni ed evito di salirci). Ma quali sono i fattori cognitivi, ovvero quali pensieri sono coinvolti  nell’eziologia e nel mantenimento degli attacchi di panico e quindi successivamente del disturbo di panico?

Attacchi di panico e trattamento cognitivo comportamentale

Gli attacchi di panico sono spesso il risultato di “catastrofiche interpretazioni” di eventi fisici e mentali  considerati erroneamente come segni di un imminente disastro: ad esempio la sensazione di capogiro può venire interpretata come un indicatore di un imminente svenimento, mentre quella dell’aumento del battito cardiaco come attacco di cuore. Molte normali sensazioni fisiche o cambiamenti delle funzioni fisiologiche possono quindi diventare oggetto di interpretazioni erronee ( Clark, 1986; Wells, 1990). In questo modello ogni stimolo interno o esterno, che è giudicato minaccioso, produce un aumento del livello di ansia e i relativi sintomi somatici associati, che se sono interpretati in modo catastrofico, producono un ulteriore aumento della quota d’ansia, intrappolando l’individuo in un circolo vizioso, culminante nell’attacco di panico ( come nel caso dell’iperventilazione). Una volta che l’attacco è avvenuto intervengono almeno tre fattori per mantenere tale situazione: attenzione selettiva riguardo alle sensazioni corporee, comportamenti protettivi associati alla situazione, evitamento . La persona, infatti, presta  selettivamente attenzione ai fenomeni del proprio corpo e  si focalizza su esso a tal punto da aumentare la soglia d’intensità soggettivamente percepita, arrivando così a catastrofizzare qualsiasi minimo cambiamento fisiologico. Inoltre l’individuo sviluppa poi comportamenti protettivi legati al contesto della situazione allo scopo di evitare le conseguenze temute. Tali comportamenti contribuiscono a mantenere l’attacco di panico in due modi: anzitutto impediscono la possibilità di una disconferma dell’interpretazione erronea, secondariamente, in certi casi, alcuni comportamenti protettivi (maldestri tentativi di controllo del respiro) possono peggiorare direttamente i sintomi somatici e cognitivi e, di conseguenza, rendere più probabile l’avverarsi della situazione temuta.Infine l’evitamento, come detto,  è un fattore di mantenimento dell’attacco di panico perché nel caso di situazioni critiche, limita la possibilità del soggetto di provare ansia e di scoprire che questa non porta alla catastrofe. Dunque la sindrome prende la forma di un meccanismo ben definito in cui è possibile intervenire su ciascuno dei suoi aspetti.

Come agire dunque sull’attacco di panico, sui suoi meccanismi comportamentali e cognitivi?

La terapia cognitivo comportamentale è a tutt’oggi la più accreditata ed efficace nella risoluzione delle problematiche di tipo ansioso ed in particolare per il trattamento del disturbo di panico

Il razionale di questo approccio va ricercato nel ruolo che le distorsioni cognitive sembrano svolgere nella genesi e nel mantenimento del disturbo di panico. I pazienti mostrano, infatti, una spiccata ipersensibilità ai vari sintomi somatici e soggettivi d’ansia che, come detto,  esperiscono ed interpretano in maniera catastrofica.

Lo scopo fondamentale della terapia consiste, dunque, nella riduzione delle credenze relative alle interpretazioni erronee e nella soppressione dell’evitamento. Ciò può essere ottenuto da un lato, rompendo il circolo vizioso che impedisce al paziente la disconferma e dall’altro, mettendo in discussione la credenza stessa tramite, strategie e tecniche apposite.

Sostanzialmente il trattamento cognitivo comportamentale del disturbo di panico si realizza su 4 livelli:

1. interventi psicoeducativi, in cui si forniscono  informazioni sull’attacco di Panico,  sulla metodologia della terapia cognitivo-comportamentale e sul trattamento; si spiegano al paziente la natura del disturbo e il ruolo delle paure e delle interpretazioni catastrofiche dei sintomi e dell’evitamento, nel consolidamento delle manifestazioni ansiose e fobiche.

2. insegnare al paziente alcune tecniche che consentano un miglior controllo sui sintomi somatici dell’ansia. La respirazione diaframmatica, ad esempio, con atti respiratori poco frequenti, così come l’apprendimento di tecniche di rilassamento muscolare ( training autogeno, rilassamento muscolare progressivo di Jacobson), possono ridurre l’intensità delle sensazioni somatiche che svolgono un ruolo determinante nell’insorgenza degli attacchi di panico

3. utilizzare strategie di esposizione, in cui il paziente svolge esercizi di esposizione sia enterocettiva ( le sensazioni vengono riprodotte artificialmente in seduta cosicchè il paziente si può rendere conto che la catastrofizzazione non ha ragione di esistere) che situazionale, che possono essere svolti sia in seduta o assegnati come compiti a casa per studiare le proprie sensazioni corporee legate agli eventi temuti;

4. effettuare parallelamente una riorganizzazione cognitiva del paziente, che miri a ridimensionare l’interpretazione allarmistica dei vari sintomi ansiosi. Si mettono quindi in atto interventi di ristrutturazione cognitiva, che mirano ad individuare e a modificare le cause scatenanti portando il paziente a sostituirle con cognizioni più realistiche e non catastrofiche.

Cosa fa dunque lo psicoterapeuta cognitivo comportamentale?

Anzitutto vengono  valutati i rapporti fra i pensieri, emozioni e comportamenti, così

come l’adozione di strategie dirette per diminuire i sintomi e ridurre l’elemento critico del comportamento di evitamento. E’ necessario, quindi,  che il terapeuta aumenti l’esposizione agli stimoli o alle situazioni che provocano l’ansia: senza tale aiuto il paziente si ritirerebbe dalle situazioni che provocano ansia, involontariamente rinforzando l’evitamento e il comportamento di fuga. Il terapeuta rassicura circa la situazione temuta e introduce tecniche atte ad aumentare la padronanza: questo programma può includere graduale avvicinamento della situazione temuta o gerarchie terapeutiche graduali o insegnare al paziente a usare risposte che smorzano l’ansia o a rilassarsi profondamente. Per il Disturbo di Panico, l’addestramento enterocettivo e la respirazione possono aiutare il paziente a riconoscere in anticipo i segnali dell’ Attacco di Panico e neutralizzare pensieri esagerati o catastrofici. Il fulcro della terapia è dunque rappresentato dalle varie tecniche di esposizione, che si fondano sul principio dell’estinzione in una serie di esercizi, volti a provocare i sintomi che solitamente vengono esperiti durante l’attacco di panico. La sedia girevole, lo scuotimento della testa, il trattenimento del respiro, il guardar fisso uno specchio, la rapida salita di scalini, rappresentano situazioni in grado di indurre vertigini, tachicardia, tachipnea, sentimenti di irrealtà. La familiarizzazione con questi sintomi ridurrebbe la risposta ansiosa alla loro esperienza. Per quanto riguarda invece l’esposizione “in vivo”, quest’ultima  consente risultati migliori e più rapidi rispetto a tecniche che si basano sul confronto “in immaginazione”. Durante il confronto con le situazioni temute non è indispensabile scatenare manifestazioni ansiose acute; il metodo maggiormente impiegato è, pertanto, l’esposizione graduale, che fornisce risultati analoghi a quella massiva. L’efficacia del trattamento non differisce sia che venga effettuato in gruppo sia individualmente; risultati equivalenti a quelli ottenuti sotto il controllo di un terapeuta sono conseguiti anche quando la terapia è praticata direttamente dal paziente a domicilio, seguendo istruzioni precise.

La terapia cognitivo comportamentale nel trattamento del disturbo di panico risulta quindi essere un approccio più che valido poiché permette di lavorare sia a livello comportamentale, attraverso le esposizioni, sia a livello cognitivo, tramite l’individuazione degli errori di pensiero e la ristrutturazione cognitiva, arrivando così ad ottenere un modo di pensare e leggere le situazioni più semplice, proficuo.

La persona sarà così coinvolta attivamente nel processo che la condurrà fuori dal panico, sperimenterà direttamente la non veridicità dei propri pensieri e per prima prenderà atto della possibilità di ricominciare a vivere con una consapevolezza diversa di sé, degli altri, del mondo.  

(Ultimo articolo pubblicato “Essere single.. ma per scelta di chi?” )

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