Il secondo capitolo si apre con la descrizione di una grande discarica fuori da Ciudad de Guatemala, dove uomini, donne e bambini sgarfano tra i rifiuti per trovare qualcosa da rivendere: una storia comune nelle periferie delle grandi metropoli dei paesi poveri. Poi Hervé Kempf snocciola una serie di dati sulla povertà nel mondo. Quanti sono i poveri nei paesi ricchi? Ovviamente dipende da come li si definisce e da chi li conta, comunque, usando cifre di pochi anni fa: 12,4% in Francia, secondo i criteri europei (poveri sono quelli che guadagnano meno di metà dello stipendo medio); 14% in Svizzera secondo la Caritas, 13,5% in Germania, 22 e 23% in Gran Bretagna e Stati Uniti rispettivamente. Probabilmente le cifre sono aumentate con la crisi. E questi non sono necessariamente disoccupati e fannulloni: i bassi salari e il costo della vita fanno sì che anche i lavoratori possano essere poveri. Un terzo dei senza fissa dimora a Parigi dichiarano di avere un lavoro. Ci stiamo ormai accorgendo che scivolare nella povertà è sempre più facile, anche per chi si credeva al sicuro.
Un miliardo di persone nel mondo vive con meno di un dollaro al giorno (dati ONU), un altro miliardo con meno di due dollari al giorno (sarebbe da aprire una parentesi sul senso di questa misurazione, ma lascio stare. Comunque ripeto: due miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno). Un miliardo di esseri umani non dispongono di acqua potabile. Un miliardo. Le statistiche poi si fanno più complesse, e non vi tedio. Il succo è che la poverà estrema, in percentuale, è regredita negli ultimi vent’anni, soprattutto grazie alla Cina che “ha saputo diminuire di 58 milioni il numero dei suoi cittadini che soffrono la fame”. Qui mi fermerei un attimo. Perché quando vedo gli operai dei paesi ricchi che protestano contro la delocalizzazione mi sento sgomenta. Invece di chiedere redistribuzione delle risorse a livello nazionale, se la prendono con i poveracci più poveracci di loro, che grazie ad una nuova fabbrica in Cina non fanno più la fame -perché spesso è così. Saranno fabbriche che danneggiano l’ambiente (molto più delle nostre??), saranno lavoratori sfruttati (e qui?), ma è pur sempre gente che esce dalla miseria, e nessuno ha le palle di andare su un palco e dirlo agli operai in sciopero. Con i ricchi, dovremmo prendercela, non con i miserabili.
Altre statistiche: la fame ha smesso di arretrare, due miliardi di esseri umani soffrono di carenze alimentari (nonostante in teoria il cibo sia sufficente per tutti), e un miliardo di cittadini vive nelle bidonville. Pensate se una persona su tre tra quelle che conoscete vivesse tra i rifiuti e non mangiasse abbastanza. Segue un’altra sfilza di dati, che non elenco, per dimostrare che “la forbice”, la disparità di reddito tra ricchi e poveri anche nei paesi occidentali, si è allargata negli ultimi decenni. Dati simili erano recentemente emersi anche per l’Italia (nessun paese dell’OCSE ha sperimentato un simile aumento delle disuguaglianze negli ultimi vent’anni, nonostante l’Italia si distingua per un livello considerevole di spesa pubblica, analisi OCSE . La situazione peggiora se si guarda il patrimonio e non solo il reddito). Inoltre, sottolinea Kempf, i poveri di oggi sono soprattutto i giovani, fatto inedito.
Ora iniziamo a spiegare perché i ricchi di per sè sono un problema. Innanzitutto, la povertà è sia assoluta che relativa. Non c’è solo il morire di fame, ma anche il guadagnare talmente poco da trovarsi esclusi dal modello di vita minimo accettato nello stato o nella società in cui viviamo. Facciamo un esempio: se io ho soldi per il cibo e le bollette, appena appena, ma non posso frequentare i miei amici perché loro vanno al bar o si spostano in macchina, e io queste cose non me le posso permettere, o se mi vergogno dei miei vestiti laceri, o se non posso pagarmi le vacanze come gli altri e resto a casa, e così via, vivrò male. Io personalmente vado fiera delle mie scarpe scassate, anche perché scelgo di indossarle perché credo nella decrescita, ma quante persone si sentono a proprio agio vivendo palesemente al di sotto della media dei propri amici o familiari, trovandosi in difficoltà quando si raccolgono soldi per un regalo di compleanno, quando si sceglie di cenare in un buon ristorante? E quanti genitori con basso reddito fanno sacrifici per comprare ai figli vestiti firmati, per paura che non si sentano da meno dei compagni? Inoltre, le palesi e spesso ingiustificate differenze di reddito suscitano rancori potenzialmente molto destabilizzanti per una società.
Quindi, diminuire il numero e la ricchezza dei ricchi, per definizione, farebbe automaticamente diminuire la povertà relativa, abbassando la media generale e riequilibrando la distribuzione dei redditi. Per quanto riguarda la povertà assoluta, tassare maggiormente i ricchi o imporre tetti ai loro redditi liberebbe risorse da investire nei servizi collettivi.
E ora veniamo all’ultimo punto del capitolo: i poveri subiscono maggiormente il degrado ambientale. “I poveri vivono nei luoghi più inquinati, in prossimità delle zone industriali, accanto alle arterie di comunicazione, in quartieri dove c’è carenza d’acqua o dove ci sono discariche.” E “sono proprio i poveri a soffrire in primo luogo per gli effetti della crisi ecologica”: Kempf cita i “villaggi del cancro” in Cina, circondati da industrie inquinanti (io pensavo parlasse del Sud Italia…), i contadini del Sahel minacciati dalla desertificazione, gli indigeni dell’Indonesia e dell’Amazzonia che dipendono dalle foreste che invece vengono abbattute per produrre carta, legno, olio di palma, quelli cacciati per fare posto a enormi dighe… Sono i contadini due terzi dei poverissimi del mondo, e sono proprio loro a dipendere dall’ambiente (e da politiche agricole eque) per la propria sopravvivenza. Quindi non è vero che l’ecologia è un lusso che si possono permettere solo quelli che hanno la pancia piena. Anzi.
E ora dedico una canzone a chi è riuscito a leggere fin qui: canzone