Licia Satirico per il Simplicissimus
In una Spagna sofferente, in cui è sin troppo facile intravedere il nostro futuro, i ginecologi sono in rivolta contro la legge che vuole vietare l’aborto in caso di malformazioni fetali. La modifica normativa, riportata in Italia solo dal quotidiano “Avvenire”, era stata annunciata lo scorso luglio dal ministro della giustizia Alberto Ruiz Gallardón, che ha ricondotto l’interruzione terapeutica di gravidanza all’inquietante categoria degli interventi eugenetici. Impedire al feto con gravi malformazioni di venire al mondo sarebbe dunque «eticamente inconcepibile».
La penisola iberica è pronta alla rivoluzione: quella restauratrice dei movimenti integralisti cattolici e di alcune associazioni di disabili, e quella indignata di centinaia di ginecologi, ostetrici ed esperti di diagnostica prenatale, riferita oggi dal Pais. Un appello accorato e polemico a Gallardón, diffuso in queste ore, ha già raccolto tra i medici più di 645 adesioni. La società civile, annichilita dalla crisi, dai tagli alle tredicesime, dal male di vivere, incassa di malavoglia l’ultimo affronto alla laicità dello Stato e annuncia battaglia. Per i ginecologi la nuova norma aggiungerà sofferenza a situazioni già tragiche, in spregio alle condizioni psicologiche della madre e alla qualità di vita del nascituro: è una considerazione talmente lineare e, per alcuni aspetti, talmente evidente da essere stata ingenuamente considerata per decenni una conquista irrinunciabile. La Spagna laica si oppone a ogni forma di arretramento socio-culturale delle donne, paventando anche i gravi problemi di salute pubblica correlati a un eventuale divieto di aborto terapeutico.
Non si sa se essere sconfortati dalla notizia del tentativo di restaurazione bioetica o consolati dallo spirito battagliero degli spagnoli. Il nostro Paese vive infatti vicende molto simili, in un momento storico contraddistinto dallo stravolgimento occulto e graduale dei contenuti della legge 194 del 1978. Lo scorso 17 ottobre l’Associazione italiana dei ginecologi non obiettori ha scritto una lettera aperta al ministro Balduzzi, in occasione della relazione annuale sullo stato attuativo della legge 194: è una lettera amara, una pesante denuncia dello stato di abbandono dello spirito originario della legge e dei suoi innumerevoli ostacoli applicativi.
La relazione del ministro della Salute in carica, in netta controtendenza rispetto alle precedenti, afferma che l’obiettivo politico della legge 194 è la prevenzione dell’aborto, scelta dolorosa che riguarderebbe soggetti tendenzialmente deboli, emotivamente sensibili e tendenti alla depressione: la fragilità esistenziale delle donne si accentuerebbe in modo speciale in gravidanza e potrebbe essere efficacemente contrastata dai medici obiettori, i quali – spinti da elevati principi etici – dovrebbero convincere le donne a non abortire.
I ginecologi non obiettori ricordano al ministro (il nostro, ma potrebbe essere Gallardón) che le leggi sull’aborto e sui consultori familiari sono nate proprio grazie alla determinazione, alla tenacia, all’impegno civile di quelle donne ora dipinte come la moderna versione della piccola fiammiferaia. Che i pregiudizi sull’aborto fatti propri anche dal Consiglio superiore di sanità hanno reso complicatissimo l’aborto farmacologico infliggendogli tre giorni di degenza ospedaliera, in barba a ogni regola di spending review. Che, in più di trent’anni, la legge 194 ha comportato un dimezzamento sostanziale degli aborti, la scomparsa di quelli clandestini e una più consapevole programmazione delle nascite: un risultato che ora può essere vanificato dalla percentuale abnorme di obiettori di coscienza (il 69 per cento in tutto il territorio nazionale secondo il ministero, il 91 per cento nel solo Lazio in base ai ginecologi di Laiga).
La revisione strutturale della 194, accompagnata dalla comparsa di esponenti del Movimento per la vita o di altre associazioni ossessivo-compulsive nei consultori e nelle strutture sanitarie di alcune nostre regioni, collega la crisi della laicità alle aberrazioni della spending review sanitaria. Abortire nelle strutture pubbliche diventa una scelta accompagnata da interferenze esterne, lentezze indicibili, condanne etiche e spaventosi sensi di colpa, mentre aumentano gli attacchi alla ratio stessa di una legge che consacra il diritto di autodeterminazione della donna e non la sua supposta fragilità emotiva.
E tuttavia ammettiamo, solo per un attimo, che la scelta di interrompere la gravidanza possa essere motivata anche da fragilità, debolezza, difficoltà economiche e precarietà lavorativa: come garantire a una madre lavoro, assistenza, futuro nell’epoca della spending review?
A Renato Balduzzi vorremmo ricordare che un governo che taglia i fondi alle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, inviando loro una Fornero lacrimevole che invita i malati a mettersi nei suoi difficili panni di ministro, non può permettersi nemmeno il lusso di dare consigli alle donne in gravidanza. Un figlio richiede amore e mezzi e assistenza ritenuti superflui dal welfare rachitico della professorElsa. La visione della vita ai tempi della crisi è leopardiana: «nasce l’uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento (Leopardi non aveva previsto il rischio di morte legato alla malasanità). Prova pena e tormento per prima cosa; e in sul principio stesso la madre e il genitore il prende a consolar dell’esser nato». Nell’era dei tecnici occorre consolare anche la madre e il genitore: è un circolo vizioso di speranze ottusamente distrutte dalla perdita di umanità, laica o cristiana che sia.
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