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Attacco alle intercettazioni: Monti obbedisce a Silvio

Creato il 16 marzo 2012 da Albertocapece
Attacco alle intercettazioni: Monti obbedisce a Silvio

Cena ad alto livello con la regia di Francis Veber

Licia Satirico per il Simplicissimus

Pace fatta tra Angelino Alfano e Mario Monti: il segretario Pdl ha preso parte all’ultimo vertice di maggioranza con Bersani e Casini, dimenticando le sprezzanti affermazioni sul teatrino della politica. Di teatro, però, in un certo senso si è trattato: stralciata l’incurabile questione dei vertici Rai, l’accordo tra i partiti dell’attuale maggioranza di governo si è consumato sui temi dell’articolo 18 e della giustizia. Si è così deciso di destrutturare l’articolo 18 seguendo il modello tedesco, di emendare il disegno di legge anticorruzione, di ridiscutere la responsabilità civile dei giudici e di riproporre la riforma delle intercettazioni. Si potrebbe anche dire che si è deciso di emendare l’articolo 18 e di destrutturare la giustizia secondo il modello tedesco senza alterare in alcun modo il senso dell’incontro: a fondere i due principali temi di discussione manca solo una proposta di legge sul licenziamento dei magistrati, ma è meglio non fornire ulteriori idee al Pdl.

Dopo le esternazioni del garante della privacy sulla democrazia violata dagli strumenti di controllo sociale, torna quindi tempestivamente in auge la questione delle intercettazioni telefoniche. Il terreno era stato sondato, nei giorni scorsi, da un appello del presidente del Senato Schifani e dalle accorate raccomandazioni del vicepresidente del Csm Michele Vietti, che si è augurato il varo di nuove misure “prima del prossimo scandalo”. Dal canto suo, la Guardasigilli Severino si è già espressa in tempi non sospetti, in lunghi editoriali sul Messaggero, contro l’abuso di intercettazioni: una singolare convergenza di idee per un progetto antico e mai sganciato dalle vicende giudiziarie dell’ex premier.
Mentre si cerca una soluzione “equilibrata e condivisa” anche per la responsabilità civile dei giudici, il disegno di legge Alfano-Brunetta sulla corruzione (suona male a cominciare dal nome, vero?) viene arricchito dei reati di corruzione privata e di traffico di influenze e tuttavia depauperato della concussione: si tratta del più grave tra i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ma pare che l’Ocse ne abbia chiesto l’abrogazione. Strano destino quello dell’Ocse: inascoltata quando ammonisce l’Italia sull’inconsistenza dei finanziamenti a istruzione e ricerca, diventa opinion leader in materia di proposte legislative. È un’altra singolare convergenza di opinioni tra organismi internazionali e problemi giudiziari del presidente del Pdl, sullo sfondo del processo Ruby.

Sarebbe terribile dover dar ragione postuma ad Alfano sul teatrino della politica, ma la sensazione è che in materia di giustizia il governo Monti sia condannato a un’imbarazzante continuità demolitiva rispetto al suo predecessore: una continuità perpetrata attraverso le bandiere mistificatrici del potenziamento degli strumenti di tutela, dell’innovazione e dell’adeguamento alle sollecitazioni internazionali. È puro teatro rinnovare la disciplina della corruzione eliminando la concussione e paralizzando, per di più, le intercettazioni come strumento investigativo: un’operazione simbolica che uccide pretendendo di curare, in un momento storico in cui si registra uno scollamento drammatico tra legalità e gestione della cosa pubblica.
Decisamente non è il momento adatto per un restyling dei delitti contro la pubblica amministrazione, nonostante Lusi in the sky with diamonds, strane fondazioni dai nomi patologici, nipoti posticce in circolazione nelle questure e sindaci foraggiati con libagioni sontuose. Da anni gli studi criminologici denunciano una dissonanza tra opinione pubblica e percezione della gravità dei fenomeni corruttivi: un comportamento è considerato “corrotto” solo se particolarmente grave, mentre è tollerato se viene commesso per rimediare a lungaggini burocratiche, o ancora se la posta in gioco è ritenuta assai costosa o i tempi della giustizia troppo lenti. Questo dato spiega più di tanti altri perché la corruzione nel nostro Paese sia un fenomeno di gran lunga superiore al poco che emerge.

In un milieu apatico, lontano da un’etica (quella sì) condivisa dei beni comuni, una riforma maliziosa di passaggi cruciali della giustizia potrebbe segnare il punto di non ritorno. Per il momento possiamo solo confidare in vertici di maggioranza più sbarazzini, con tanto di foto e battute su Twitter: “non siamo cattivi, è solo che ci disegnano così”.


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