Magazine Bambini
È accaduto a Stoccolma un paio di settimane fa ed è stato riportato da diversi organi d’informazione: un 46enne, un consigliere comunale di Canosa di Puglia, è stato arrestato dalla polizia della capitale svedese, dove si trovava in vacanza con la famiglia, per aver rifilato uno schiaffo in pubblico al figlio di 12 anni. Il consigliere ha passato tre giorni in carcere perché in Svezia, hanno spiegato all’ambasciata italiana, i ceffoni ai minori non sono tollerati.
Lasciamo stare nello specifico se ha fatto bene o ha fatto male, se in Svezia sono scemi o sono più savi di noi (è stato il primo paese ad introdurre la legge che vieta anche la sculacciata leggera, un divieto dettato dalla necessità di ridurre i maltrattamenti di minori soprattutto tra le mura familiari. Figuriamoci quando hanno visto un papà dare un ceffone in pubblico...).
La questione che secondo me si pone è: abbiamo un metodo educativo in testa quando ci rapportiamo coi nostri figli, dalla nascita in poi?
Applichiamo metodologie e prassi vissute ed ereditate e dunque valide perché si è "sempre fatto così" oppure siamo disponibili a mettere in discussione le modalità con le quali ci rapportiamo con i nostri figli?
Siamo convinti di essere "nel giusto" per il semplice fatto che siamo i papà e dunque "sappiamo come si fa" per definizione?
Il discorso ovviamente si fa più ampio che la semplice valutazione di uno schiaffo a un figlio dodicenne, anche se è comunque meglio chiederci (per noi papà, per i nostri figli, per la società) come fare per migliorare il nostro ruolo genitoriale. Mi sembra una domanda di buon senso.
Come individuare una linea educativa che effettivamente si preoccupi del bene dei nostri figli e che metta al primo posto la nostra relazione con loro? Avere ragione noi, imporre la nostra volontà è così importante se poi nostro figlio si irrigidisce quando ci vede entrare nella stanza?
Dinuovopapà a 52 anni, mi sono ritrovato con una grandiosa opportunità di riaffrontarli questi temi. E di affrontarli da subito in modo rinnovato, con curiosità e disponibilità a mettere in gioco qualunque certezza o presunta tale.
Un approccio che mi affascina molto l'ho trovato nell'Attachment Parenting. Cos'è?
(Un tentativo di traduzione di Attachment Parenting potrebbe essere quello di "genitoriaggio affettivo" ma è atroce. Si avvicina più "affetto genitoriale" ma secondo me Attachment Parenting è intraducibile, sarebbe meglio lasciarlo così)
La visione a lungo termine dell'attachment parenting è quella di aiutare i bambini che diventeranno adulti a crescere con una capacità molto sviluppata di empatia e capacità di relazione. L'attachment parenting elimina la violenza come un mezzo per crescere i figli, e aiuta in ultima analisi, a prevenire la violenza nella società nel suo complesso.
L'essenza dell'Attachment Parenting è di formare e coltivare forti legami tra genitori e figli. L'attachment parenting ci spinge, come genitori, a prenderci cura dei nostri figli con gentilezza, rispetto e dignità, un modello di interazione che ci piacerebbe fosse anche il loro modo di interagire con gli altri.
L'Attachment Parenting non è nuovo. Per molti aspetti, è un ritorno ai comportamenti istintuali dei nostri antenati. Negli ultimi 60 anni, i comportamenti di attaccamento sono stati studiati in modo esteso dalla psicologia e dalla ricerca che tratta dello sviluppo del bambino, e più recentemente, da ricercatori che studiano il cervello. Questo insieme di conoscenze offre un forte sostegno per gli aspetti che sono fondamentali per lo sviluppo ottimale dei bambini. (continua) Fonti: corriereitaliano, api, artymom Traduzioni: paternamente.it
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