Da tre anni i magistrati di Caltanissetta Sergio Lari e Domenico Gozzo lavorano per ricostruire con esattezza gli eventi del 21 giugno 1989 quando andò a vuoto un attentato al tritolo contro Giovanni Falcone.
Una svolta nel caso si è avuta con la collaborazione di Angelo Fontana, che faceva parte del commando mafioso che piazzò l’esplosivo sugli scogli al largo della tenuta. Una prima conferma della veridicità del testimone era arrivata dalla scoperta della presenza di DNA del boss Angelo Galatolo, già condannato per la vicenda, su una maglietta raccolta nella zona.
Fontana racconta che quel giorno lui aveva il compito di sorvegliare la zona, Galatolo, da dietro uno scoglio, aveva in mano il telecomando e il boss Nino Madonia controllava dall’alto. Galatolo ha però perso il telecomando dopo che, notando una pattuglia della Polizia, si era gettato in mare.
L’attentato è però ambiguo per altri motivi. Quel giorno il giudice ospitava nella sua casa al mare i giudici svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann, giunti a Palermo per una rogatoria. Al Palazzo di Giustizia, il giorno prima, si era discusso della gita, poi saltata. Possibile che una talpa abbia girato la soffiata agli ambienti malavitosi, visti i bersagli molto appetitosi.
Fu Falcone per primo a parlare di “menti raffinatissime” dietro all’attentato. Dubbio insinuato anche dal pentito Vito Lo Forte che ha sottolineato l’arrivo di uomini dei servizi segreti via mare, non si sa bene a quale scopo.
Un sospetto per ora destinato a rimanere tale. Il campione di DNA trovato sulla muta da sub rinvenuta sullo scoglio è stato contaminato in laboratorio. Colpa di una pinzetta non sterilizzata, utilizzata qualche ora prima per analizzare un feto, che ha sovrapposto i due materiali genetici. Con la speranza che si tratti di un errore non voluto…
Fonte: Repubblica