Stanotte la quiete è tornata nelle strade di Londra e delle altre città, le quli sono state teatro degli scontri che, da quattro giorni a questa parte, hanno riempito le prime pagine dei giornali assieme ai titoli sui continui crolli delle borse internazionali. Nonostante il tentativo, operato dalla stampa e dalla politica conservatrice inglese, di separare le violenze di queste notti dalla gravità della situazione economica e sociale in cui l’Europa si sta trovando in questo periodo, appare evidente come le due cose non possano essere assolutamente trattate separatamente. Troppo facile affermare, come ha fatto Cameron, che le violenze di questi giorni non siano altro che “pura e semplice criminalità”.
La situazione è in effetti molto più complessa, perchè se è vero che le persone che sono scese in piazza in questi giorni (principalmente, ma non solo, ragazzi inglesi appartenenti alla cosiddetta “seconda generazione”, ovvero figli di immigrati nati sul suolo britannico) non hanno protestato in nome di una causa politica ma si sono limitati ad attacare le forze di polizia e a saccheggiare e bruciare banche ed esercizi commerciali, non si può in alcun modo ritenere una coincidenza il fatto che simili disordini si verifichino nel corso di quella che rischia di diventare la seconda recessione di fila dell’economia mondiale. L’omocidio di Mark Duggan da parte della polizia assume a tutti gli effetti i tratti di un casus belli: esso ha effttivamente risvegliato la rabbia della comunità nera di Londra, che da decenni convive con una integrazione a dir poco problematica. Ma quella che poteva diventare una lotta per i diritti e l’uguaglianza si è trasformata in una terra di nessuno, occupata immediatamente da vandali e gang di ragazzini che hanno trasformato le città inglesi in una zona di guerra.
Non è la prima volta che una simile dinamica si presenta nelle proteste inglesi, le quali cominciano per motivi condivisibili per poi sfociare irrimediabilmente in violenze gratuite, che hanno il solo risultato di rendere più facile il gioco delle voci che da più invocano la necessità della reazione e del controllo. Mi riferisco in particolare alle proteste studentesche del Novembre 2010, sfociate in una devastazione della sede del partito conservatore che ha permesso a quest’ultimo di far passare la riforma dell’istruzione senza alcun problema. Se le proteste, che in questi tempi non possono che essere condivisibili, non riescono a separarsi dall’idea di caos ed anarchia che le accompagna, le persone che vogliono fare sentire la propria voce non potranno che essere soffocate dall’azionismo estremo dei violenti, che in definitiva creano un danno molto più grave di quello economico causato ai commercianti (e quindi ai contribuenti).
Causare un clima da guerra civile infonde nuova linfa nelle forze della reazione, le quali in effetti non aspettano altro che una simile possibilità: in senso politico per diffondere le proprie idee di intolleranti e xenofobe, in senso pratico per schierare le proprie falangi militariste ad apparente difesa degli “onesti cittadini”. Non a caso, durante queste notti di scontri, il BNP (British Nationa Party) e l’EDL (English Defensive League) si sono fatti un’ottima pubblicità schierando i propri uomini a difesa dei quartieri che le forze di polizia non erano in grado di proteggere. Se i cittadini inizieranno a pensare che il potere politico non solo non riesce ad evitare un’altra crisi globale dell’economia mondiale, ma è anche inefficace nel mantenere l’ordine, è tutt’altro che improbabile che si rivolgano, in segono di protesta o per effettiva convinzion,e all’ultradestra: una cura che, pur essendo ben peggiore del male, si presenta sempre come appetibile.