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Attilio Manca, la cupola e l’ombra dello Stato

Creato il 30 novembre 2014 da Casarrubea
Attilio-Manca

Attilio-Manca

Attilio Manca era nato il 20 febbraio 1969 a San Donà di Piave, in provincia di Venezia e aveva un fratello più piccolo, Gianluca, che, oggi, è vice-presidente dell’ANAAM (Associazione Nazionale Amici di Attilio Manca), fondata il 27 settembre 2012.
Quando il promettente urologo, dopo essere stato contattato dalla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, è morto, aveva la mia età; per la precisione, due anni meno, perché la vita di Attilio è stata interrotta a 34 anni. L’11 febbraio 2004, il suo cadavere è stato rinvenuto nell’appartamento dove risiedeva a Viterbo. Chi lo ha ucciso o, meglio, chi “lo ha suicidato”, perché di omicidio si tratta, come regalo di compleanno (mancavano solo nove giorni), lo ha prima torturato.
Mi fa una certa impressione pensare che sarei potuta essere morta già da due anni. Faccio questa osservazione perché quello che è successo ad Attilio Manca sarebbe potuto accadere a chiunque. Questo ragazzo assassinato è il figlio, il fratello e l’amico di tutti. Come è capitato ad Attilio, a chiunque poteva capitare di incontrare le persone sbagliate; di essere avvicinati dai propri assassini; di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Credo che questa riflessione sia da tenere ben presente per capire il coraggio e la forza della famiglia Manca, che, da quasi 11 anni, chiede di conoscere i nomi dei mandanti e degli esecutori dell’omicidio del loro primogenito e per noi, impotenti spettatori di questa ennesima tragedia, per non cadere nell’oblio dell’indifferenza che ci rende incapaci di mettere in ordine i tasselli che compongono il grande puzzle delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Stragi, ricordiamo, che sono alla base della trattativa Stato-mafia: dal processo Giuliano, avvenuto, come quello sulla morte del dottor Manca, al tribunale di Viterbo, sino alle “stragi del tritolo” e a quelle della Uno Bianca.

Documentandomi su Attilio, ciò che mi ha colpito maggiormente è che il giovane medico è considerato “una presunta vittima di mafia” perché, dopo tanti anni, è certo solo che è morto; le cause e il perché sono ancora tutte da chiarire. Per la magistratura e per lo Stato è più semplice parlare di suicidio e affermare (come in altri casi noti alle cronache, dove i diretti interessati non si possono più difendere perché deceduti), che il decesso è stato causato da un cocktail letale di alcool, droga, sonniferi ecc.. Ogni altra ipotesi è accettabile ma fino ad un certo punto, ossia, finché non si parla del binomio criminalità organizzata e organismi deviati dello Stato.
Il collegamento tra Binnu u tratturi (“nome di battaglia” del super boss corleonese per la violenza con cui uccideva i suoi nemici) e il dottor Attilio Manca bisogna provarlo e, sempre secondo gli inquirenti, non bastano le prove raccolte dalla famiglia del giovane urologo, comprese le foto dove sono evidenti i chiari segni di una colluttazione sfociata in massacro.

Ci si chiede, allora, come è possibile provare che la morte di Attilio Manca sia legata al super boss corleonese se anche lo stesso Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia e, oggi, seconda carica dello Stato, afferma che “Bernardo Provenzano è del tutto estraneo alla vicenda”?
A questo punto, c’è un altro dato certo: se il super boss non è mai stato ascoltato dagli inquirenti in merito alla morte del giovane urologo, come potrà il processo di Viterbo, per accertare le cause del decesso di Attilio, inserirsi finalmente nel giusto binario?

Non è detto che Provenzano, dopo essersi fatto operare o visitare dal dottor Manca, sappia chi materialmente abbia partecipato al pestaggio e all’omicidio del giovane urologo, se, come è stato ipotizzato dagli avvocati dell’accusa, non parteciparono “uomini d’onore” bensì le così dette “barbe finte”, agenti dell’ex SISMI, che entrano sempre in azione quando c’è da fare “un lavoro pulito”; come per l’omicidio dell’on. Aldo Moro, il 9 maggio 1978, o per “il candeggio” del covo di Totò Riina in via Bernini, nel maggio del 1993, che, secondo la testimonianza dell’Anonimo, fu “clinicamente ripulito e imbiancato”, prima dell’arrivo del capitano Ultimo e della sua squadra.
E’ da ribadire ancora una volta che, dopo il ritrovamento di Attilio Manca, la magistratura voleva archiviare il decesso come suicidio o morte da overdose senza tenere conto, tra le altre prove raccolte dalla famiglia, che sul braccio sinistro del cadavere furono trovati dei buchi che hanno insospettito ulteriormente la famiglia della vittima.
“Mio figlio”, testimoniò la signora Angela Manca, “non ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti, di alcool e di barbiturici. Inoltre, era mancino, quindi, qualora si fosse somministrato una dose di eroina, i segni sul braccio sarebbero dovuti essere a destra e non a sinistra come, invece, risulta dall’autopsia”.
E’ da ribadire ancora una volta che il cadavere di Attilio Manca presentava, cosa completamente tralasciata dagli inquirenti, evidenti ematomi ed ecchimosi, indici di un violento pestaggio. In particolare, il viso di Attilio, completamente sfigurato, aveva il naso contuso, probabilmente, da un calcio di pistola. Nonostante tali evidenti segni, repertati nell’immediatezza del fatto dagli inquirenti, la Procura di Viterbo, il 15 settembre 2012, per la quarta volta, ha chiesto l’archiviazione sulla morte del giovane urologo. La famiglia si è opposta alla decisione dei giudici sottolineando, in sede dibattimentale, le carenze investigative all’epoca del fatto e ribadendo ciò che ha sempre sostenuto, ossia, che “Attilio è stato eliminato perché considerato un testimone scomodo della permanenza a Marsiglia, per motivi di salute, del super boss corleonese, Bernardo Provenzano”.
Ciò che è stato detto dalla famiglia è stato provato in due occasioni, nel 2005, quando il mafioso siciliano, Francesco Pistoia, prima di essere ritrovato cadavere con un lenzuolo intorno al collo dalle guardie penitenziarie, ha dichiarato che Provenzano fu visitato da un medico originario di Barcellona Pozzo di Gotto perché era l’unico in Italia ad operare di prostata attraverso la tecnica della laparoscopia che, a quei tempi, era ancora in fase sperimentale. Nel 2007, quanto detto dal Pistoia, è ribadito dalla moglie del capo mandamento di Barcellona Pozzo di Gotto, Vincenza Bisognano, la quale, in una intercettazione ambientale, ad una domanda di un suo conoscente, ha risposto che Attilio Manca è stato eliminato perché aveva riconosciuto il super boss corleonese durante il controllo urologico.

La latitanza di Provenzano è durata 43 anni; dal 10 settembre 1963 fino all’11 aprile 2006, due anni e due mesi dopo la morte del giovane medico. Quando è stato arrestato dai ROS in una masseria di Corleone, dopo essersi complimentato con le forze dell’ordine, “il ragioniere di Cosa Nostra”, altro appellativo con cui veniva chiamato Provenzano, ha chiesto le iniezioni che gli dovevano essere somministrate in seguito all’operazione alla prostata. La morte di Attilio Manca, quindi, si intreccia con gli ultimi due anni della latitanza di Binnu u tratturi. Alla fine del 2003, infatti, Nino Giuffrè, detto Manuzza (per via di una malformazione alla mano), capo mandamento di Caccamo, fa il nome dell’imprenditore Michele Aiello, accusandolo di essere il prestanome di fiducia di Provenzano, il quale aveva riciclato soldi sporchi della mafia nell’appalto della clinica Villa Santa Teresa, centro oncologico all’avanguardia di Bagheria. Michele Aiello, nel 2011, è stato condannato a 15 anni e mezzo di carcere per associazione di stampo mafioso, corruzione ed accesso abusivo alla rete informatica della Procura di Palermo. Come Aiello abbia fatto ad accedere a questi database non è emerso né in sede dibattimentale né nella sentenza.

Dopo la morte di Attilio, nel 2005, la DDA di Palermo, con l’operazione “grande mandamento”, coordinata dai Ros, ha portato all’arresto di 46 persone nella provincia del capoluogo siciliano, accusate di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano. Tali indagini hanno fatto indirettamente emergere una delle piste sull’omicidio Manca. Nel 2003, infatti, alcuni “uomini d’onore” di Villabate, in provincia di Palermo, tra i quali Mario Cusimano, avevano fornito documenti falsi a Bernardo Provenzano per farsi ricoverare in una clinica a Marsiglia, dove operavano i professori Barnaud, Breton e Bonin. Come Aiello, Cusimano è un imprenditore colluso con i corleonesi, che, dopo l’arresto, per avere uno sconto di pena, ha collaborato con gli inquirenti, rivelando che la falsa carta d’identità per “la trasferta” del super boss a Marsiglia era stata rilasciata dal presidente del consiglio comunale di Villabate, Francesco Campanella. Quest’ultimo, arrestato nel settembre 2005, ha scelto di collaborare con la giustizia, confermando le dichiarazioni di Cusimano.
Ancora oggi Provenzano non ha mai rivelato di sua spontanea volontà la verità sulla tragica morte di Attilio Manca né è stato sentito in merito dalla Procura di Viterbo che, nonostante ciò, ha accettato la tesi dei familiari del giovane urologo, riaprendo il caso alla fine del 2008.
Perché questa improvvisa “trasferta” di Provenzano a Marsiglia? Forse perché, dopo l’arresto di Aiello, era sfumata la possibilità che il super latitante di Cosa Nostra potesse farsi operare a Bagheria, essendo Villa Santa Teresa messa sotto sequestro dalla Procura Antimafia di Palermo?
Cosa c’entra Attilio Manca con la mafia corleonese?

Perché tra tanti medici professionisti proprio lui? E’ molto probabile, quindi, che il giovane urologo operò Bernardo Provenzano oppure che, dopo l’operazione subita a Marsiglia, abbia visitato il boss corleonese per dei controlli di routine, che dovevano essere affidati ad un bravo medico, il quale non nutrisse sospetti sulla identità del paziente e che fosse avvicinato da “un uomo di fiducia dell’organizzazione”. Cosa Nostra scelse Attilio Manca, cugino di Ugo, legato alla mafia barcellonese, il quale non aveva rapporti con il giovane urologo e la sua famiglia ma era pur sempre un parente diretto. E’ possibile che Attilio abbia riconosciuto Bernardo Provenzano, rimproverando di questo fatto il cugino?
E’ possibile, inoltre, che Attilio sia stato testimone di qualcosa o abbia visto o riconosciuto altre persone che non doveva vedere?

Altro fatto inquietante sono le dichiarazioni rilasciate dal mar.llo dei CC, Saverio Masi, il quale, era a conoscenza del covo di Bernardo Provenzano dal 2001. Ciò significa quattro anni prima della morte di Attilio Manca. A tale proposito, Saverio Masi, in un incontro con la sig.ra Angela Manca, madre di Attilio, ha espresso il suo rammarico “per non aver potuto salvare la vita al giovane medico”, accollandosi rimorsi che i suoi superiori hanno dimostrato di non avere. Nel 2001, infatti, Saverio Masi prestava servizio presso il Nucleo Operativo di Palermo; dopo l’arresto di Benedetto Spera, boss della famiglia di Belmonte Mezzagno e fedelissimo di Bernardo Provenzano, individua, grazie ad un contatore della luce, la villa dove, a Palermo, si nascondeva il super latitante corleonese. La risposta dei superiori del mar. llo è stata negativa: Masi doveva fermarsi perché non c’era l’intenzione da parte dei ROS di prendere Provenzano. Gli fu chiesto che cosa volesse per farsi i fatti suoi e che l’avrebbe ottenuto in breve termine … . Il mar. llo Masi rispose ai suoi superiori con un esposto al PM Teresa Principato e deponendo al maxi processo contro il gen. divisionista, Mario Mori. Il coraggio del mar.llo Masi è stato ripagato con una condanna in appello per “falso materiale e tentata truffa”, perché, secondo l’accusa, il mar.llo, per non pagare una misera multa di 106 euro, avrebbe falsificato un atto del proprio ufficio. Se questa condanna fosse confermata in Cassazione, il mar.llo Masi, attualmente caposcorta del giudice Nino Di Matteo, rischierebbe il congedo immediato con disonore.
Inoltre, il mar.llo Masi è stato denunciato per calunnia e diffamazione “ai danni” degli ufficiali che gli hanno impedito, nel 2001, la cattura di Bernardo Provenzano. Questi ufficiali, a loro volta, rischiano un procedimento penale per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
Come tutte le storie che si intrecciano alla trattativa Stato-Mafia, è da notare come sia paradossale che l’incolumità del giudice Di Matteo sia affidata ad un mar.llo dei CC “altamente pericoloso”, che, se la Cassazione lo confermerà, per lo Stato e per l’Arma dei Carabinieri, non è degno di portare “l’onorata divisa”. Come può, dunque, “un accusato” essere caposcorta dell’erede di Falcone e di Borsellino?
Un mistero, che si aggiunge ad altri misteri, come quello dell’omicidio di Attilio Manca che,
alla luce delle nuove indagini e dalle rivelazioni del mar.llo Masi, è da collocare senza ombra di dubbio nella trattativa Stato-mafia, che favorì, e continua ancora a favorire, la latitanza degli alti vertici di Cosa Nostra.
Ciò è dimostrato anche dal fatto che sul caso di Attilio Manca sono stati attuati molti depistaggi da parte di organi istituzionali che hanno cancellato telefonate dai tabulati telefonici del giovane dottore ed esibiti documenti in sede dibattimentale di esami da lui mai effettuati per dimostrare la sua tossicodipendenza.
Alla luce delle nuove indagini, invece, è più certo che da medico e perché costretto, Attilio Manca abbia visitato e forse operato il boss siciliano sia perché non poteva rifiutarsi di curare un paziente sia perché fu probabilmente minacciato. Forse Attilio era convinto che, non negando il suo aiuto in quel momento, lo avrebbero lasciato andare; non pensava sicuramente, forse perché rassicurato dal cugino, che l’avrebbero torturato e ucciso perché considerato un testimone scomodo di una latitanza favorita dallo Stato.
Le torture mostrate dalla famiglia Manca, durante la puntata di Servizio Pubblico del 5 febbraio 2014 dimostrano due cose, che Attilio cercò di scampare alla morte e che la presenza di “altre persone” fu occultata. Ciò sarebbe provato dall’alta temperatura, circa 40 gradi, all’interno della stanza dove è stato trovato Attilio, dal fatto che, eccetto una canottiera, il giovane urologo non avesse altro addosso e che sia stata effettuata una vera e propria “operazione di pulizia” sugli effetti personali della vittima. Un semplice killer di Cosa Nostra non avrebbe utilizzato questa “accortezza” per cancellare ogni traccia biologica diversa da quella di Attilio.
In Italia, quando si parla del coinvolgimento degli 007 o di strutture analoghe al “Noto Servizio” si passa per complottisti o per pazzi. Ma è evidente che, solo lo Sato, avrebbe potuto garantire e permettere la “mobilità” di un super latitante in età avanzata e rendere asettico l’appartamento di Attilio Manca. Questa riflessione fa pensare anche alla latitanza più che ventennale dell’attuale capo dei capi, Matteo Messina Denaro, che rappresenta la nuova mafia dei colletti bianchi e della nuova imprenditoria della P3 che parte dalla provincia di Trapani e si allarga a macchia d’olio superando i confini italiani. Avviene, allora, come nel caso del mar.llo Masi, che le forze dell’ordine si trovino a combattere contro se stesse, come se fossero davanti ad uno specchio. Un pensiero per alcuni fantascientifico, per altri scontato ma che apre tante e tante scatole cinesi, le quali raccontano fatti di anni e anni addietro che rievocano quei suoni di colpi di fucile e di granata, scagliati scontro i lavoratori riuniti sul pianoro di Portella della Ginestra, il 1 maggio 1947.

Erminia Borzì


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