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Atto IV - La libra

Creato il 02 agosto 2010 da Mikdarko
Libro I "Genesi" - Capitolo 1 "Preludio" - 1 giugno 1994 Ogni giorno che passa la tachicardia diventa sempre più frequente e a volte mi assale in diversi momenti della giornata.
Atto IV - La libra
Momenti in cui, naturalmente, sono alle prese con situazioni poco rilassanti… come ad esempio in classe. Quindi chiudo gli occhi, espiro ed inspiro liberando la mente. Pian piano il cuore rallenta… fino alla normalità. Però c’è qualcos’altro che non va.
Casualmente, in palestra, alcuni miei compagni di scuola provano per gioco una bilancia. Fin qui nulla di strano. Aspetto che tutti si allontanino e salgo su. Sconcertante! Il display indica 50 chili, mentre circa una settimana fa ne pesavo 60. Salgo e scendo ripetutamente per escludere eventuali errori di misura, ma il risultato è sempre uguale.
Guardo il mio riflesso nello specchio della palestra. Un ragazzo magro, esile, ossuto ma più alto dei suoi coetanei. Viso sottile ma armonioso, di un candido pallore simbolo di una malinconia e di una tristezza intrinseca. Capelli biondo cenere ed occhi simili al colore della terra.
Mi avvicino a lui come per toccarlo. Il mio riflesso. A volte non mi riconosco. Un strana estraneità a questo corpo. I due visi si sfiorano tanto che il respiro crea un lieve condensa sul vetro.
Guardo dentro gli occhi, cerco di scrutare nel profondo della pupilla, alla ricerca di un qualcosa nascosto dentro me. Ecco. Eccola, la vedo.
Un ombra celata nell’oscurità dei miei occhi. Con delle ali. Che sia l’Angelo Nero dei miei incubi?
Poi la figura scompare ed ho come l’impressione che la pupilla cominci a pulsare, fino divenire piccolissima, un piccolo puntino che lentamente si allunga in verticale fino a percorrere tutto l’iride.
Sembro essere intento nell’osservare l’occhio di un'altra persona senza preoccupazione, senza stupore, ma solo curiosità. All’improvviso la pupilla si dilata di scatto e la strana linea diventa un cerchio tanto grande da coprire l’iride dell’occhio.
Sono completamente impietrito. All’interno della pupilla ora vedo un teschio.
Mi sento mancare.
Mi allontano dallo specchio e da quel funesto sogno fatto ad occhi aperti. Sorrido in modo isterico. Sto impazzendo? Poi ritorno con lo sguardo sulla bilancia.
Esco dalla palestra di nascosto senza destare sospetti. In pantaloncini e maglietta da ginnastica fuggo verso casa. Nella mia mente un unico pensiero: c’è sempre la possibilità che la bilancia, anche se nuova, sia rotta.
Sicuramente sto facendo dei viaggi assurdi, la fantasia e la soggezione mi stanno tirando davvero un brutto scherzo. Ma il presentimento non è un concetto astratto, ed io so che qualcosa non va.
Sono a casa. Non c’è nessuno. Almeno evito le paranoie dei miei per essere fuggito da scuola.
Entro in bagno. Eccola lì al solito posto: la bilancia. Nella mia mente la associo alla bilancia a bracci, uno dei più tradizionali simboli di giustizia, sorretta spesso da una donna, personificazione della dea Giustizia, metafora che esprime il concetto di "uguali pesi e uguali misure". Un equilibrio che nella mia breve vita non ho mai visto.
Con passo incerto mi avvicino e vi salgo su. Sono sopra. Chino il capo sperando di essermi sbagliato in precedenza ma, ahimè, anche qui lo stesso risultato. In pochissimi giorni, senza accorgermene, avevo perso 10 chili della mia carne.
Mi guardo attorno.Sopra una maledetta bilancia al centro della stanza. Un piccolissimo bagno con appena lo spazio per il lavabo, la doccia ed il water, in cui l’arredamento si ispira alla praticità del posto. Una finestra di lato ben illumina le piastrelle di ceramica color avorio e lo sguardo segue la greca fino al classico difetto dove per errore due mattonelle non sono allineate. Sto fissando quel punto, e ad un tratto ho la chiara certezza che le altre pareti si allontanano da me. La greca si allunga, la stanza diventa un salone e percepisco l’eco del vuoto.
Poi la fortissima sensazione di essere osservato. Sul lavabo vi è lo specchio, ed al suo interno il nefasto riflesso della mia immagine che mi osserva impietosito. Quel volto diventa sempre più scarno, rinsecchito e scheletrico. La pelle ed i muscoli evaporano lasciando solo lo spettro di un teschio, come quello visto nel riflesso dei miei occhi, memoria di una vita passata, prescienza di un futuro tragico, sinonimo di una vita dimenticata dalla famigerata dea Giustizia.
Nuovamente la corsa in ospedale. I miei genitori discutono animatamente tra loro supponendo l’assurda ipotesi che tutto quello che mi sta accadendo altro non è che semplici conseguenze del periodo di pubertà che stavo attraversando.
Nulla di più stupido.
Speriamo che almeno il solito dottore non se ne esca con argomenti che riguardano stress ed ansia.
Invece, per mia magra consolazione, stavolta posso gustare sul volto del primario un’espressione mista a stupore e sbigottimento.
Dopo alcuni controlli, sia sul mio corpo che sulla bilancia, il medico si pronuncia confermando che fisicamente non sembro aver perso tutti quei chili, ma avendomi pesato lui stesso al momento del mio precedente ricovero, pochi giorni prima, il dottore azzarda l’unica ipotesi plausibile: “diminuzione della densità ossea”.
Ho già sentito parlare di questa malattia, conosciuta col nome di osteoporosi, che rende le ossa poco dense e quindi fragili, ma per confermare ciò il dottore preleva un campione del mio sangue per effettuare tutti gli accertamenti possibili.
Con mio sommo dispiacere dovrò rimanere qui. Affinché i medici possano monitorare e tener sotto controllo le mie condizioni fisiche.
Dove sei dea Giustizia?
Perché la mia vita non è al pari di quelle dei ragazzi della mia età?
Pensieri rabbiosi mentre uno dei due piatti della bilancia con lentezza scende in basso a causa del carico di un teschio che si contrappone alla chiara forma del muscolo cardiaco ancora palpitante, posto sull’altro piano della stadera.

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