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Attualità e valore civile nel tv movie "L'Assalto" con Diego Abatantuono, stasera in prima visione su Rai 1
Creato il 03 febbraio 2014 da Nicoladki @NicolaRaianoProdotto da Rai Fiction e realizzato da Iter Film, “L’assalto” racconta la storia di Giancarlo Ferraris (Diego Abatantuono), imprenditore della provincia milanese, uomo onesto e gran lavoratore. Ha fatto sacrifici per trent’anni, partendo dal nulla, e vinto molti appalti, anche nella contingenza attuale della crisi economica. Ora però, come molti altri, rischia di fallire: nessuno paga più. E’ in questa strettoia che diventa vittima della ‘ndrangheta.
Domenico Crea (Luigi Maria Burruano), calabrese insediato da vent’anni al Nord, e il suo giovane rampante nipote (Paolo Mazzarelli) sono esponenti dell’espansione della ‘ndrangheta nel tessuto industriale più ricco d’Italia. Insieme mettono in atto il loro subdolo avvicinamento offrendo a Ferraris un aiuto “amichevole”, mirando alla sua azienda e al suo sfruttamento per il riciclaggio dei rifiuti tossici.
All’inizio Ferraris dice di no: è un uomo tutto d’un pezzo, vuole farcela con le sue forze, come sempre. Ma lo stato dei conti sempre più rovinoso e una serie di strani incidenti che avvengono in azienda lo spingono ad accettare. Lo fa sperando di riuscire a gestire in maniera imprenditoriale il rapporto con Crea, ma è un’illusione: Ferraris conosce molto presto la pericolosità del clan che ha messo le mani su tutto ciò che lui ha costruito e che arriva a minacciare Federica (Camilla Semino Favro), la figlia appena laureata che è entrata a far parte dell’impresa di famiglia.
E’ la presenza di Federica, il suo approccio coraggioso e “puro”, a dare una svolta alla situazione. La ragazza, dopo essersi ingenuamente innamorata del giovane ‘ndranghetista, nota le anomalie in cantiere e inizia a sospettare qualcosa, a indagare. E rimane profondamente ferita quando scopre che suo padre è in affari con la ‘ndrangheta, il padre che fino ad allora è stato per lei un esempio da seguire. Federica gli chiede di uscirne, di denunciare i Crea, di pagare il suo conto con la giustizia e tornare a essere pulito. Ferraris sa che quella è l’unica strada da percorrere, ma sa anche che ribellarsi vuol dire mettere in pericolo di vita sua figlia.
Ma accanto a lui, oltre a Federica, c’è Franco (Ninni Bruschetta), capocantiere e amico con cui ha condiviso tutto. E c’è la Polizia (Thomas Trabacchi è il commissario Pironti), impegnata a difendere il territorio e a sostenere gli imprenditori che trovano il coraggio di denunciare le intimidazioni e il taglieggiamento della ‘ndrangheta.
COSA DICE IL REGISTA RICKY TOGNAZZIDa sempre ho tentato di dare al mio cinema una forte impronta realistica, raccontando storie che coniugano la drammaturgia con i temi sociali. Quelle che mi attraggono sono le piccole storie ordinarie, che diventano specchio delle grandi vicende d’attualità.Penso a La Scorta, Ultrà, Vite Strozzate…quest’ultimo film raccontava, vent’anni fa, la storia di un imprenditore e dalla sua famiglia stritolati dalla morsa dell’usura.Un tema, purtroppo, ancora oggi attuale…forse più di allora.Quando Laurentina Guidotti, una delle produttrici più attente e sensibili della cinematografia attuale, mi ha offerto di raccontare la storia ideata da Monica Zapelli e scritta con Claudio Fava e Francesco Ranieri Martinotti, che trattava il doloroso tema della ‘ndrangheta insediatasi al nord, ne sono rimasto profondamente colpito.Ho capito da subito che mi si offriva l’occasione di raccontare un aspetto inedito di un male antico che affligge il nostro paese da tempi immemorabili e che oggi sembra più forte che mai. La ‘ndrangheta ha allargato i suoi confini, non solo al nord ma in tutto il mondo, diventando una delle organizzazioni criminali più potenti e pericolose di sempre.L’Assalto racconta la vicenda di un uomo, Giancarlo Ferraris, vittima della crisi, che pur di salvare la propria azienda e se stesso, finisce nella trappola ordita da un sistema criminale che lentamente e inesorabilmente si sta impadronendo del territorio.La scelta di Diego Abatantuono come protagonista è stata immediata, non è la prima volta che Diego si cimenta in un ruolo così drammatico, ma credo che questo sia il carattere più tragico e doloroso che abbia mai interpretato nella sua luminosa carriera.Diego, forte della sua autorità fisica e di un carisma naturale, è capace anche di suscitare un senso di pietas quando, ormai stremato, decide di confessare alla figlia la sua colpa. Un grande interprete quindi, che utilizza la sua vis brillante e l’ironia per nascondere alla famiglia, ai suoi operai e anche a se stesso la reale portata dell’abisso nel quale sta sprofondando la sua azienda.Vicino a lui Ninni Bruschetta, uno straordinario e versatile attore di cinema e teatro che ha creato con Diego un’inedita e irresistibile coppia attoriale. Franco e Giancarlo, questi i nomi dei rispettivi personaggi, ci raccontano l’amicizia tra un infaticabile capomastro del sud e un tenace imprenditore del nord, che spero lascerà un segno nell’immaginario degli spettatori.Dopo molti provini ho affidato a dei giovani attori due ruoli fondamentali del film.Camilla Semino Favro, poco più che ventenne, formatasi alla scuola del Piccolo di Milano, interpreta Federica, la figlia di Giancarlo Ferraris, una ragazza orfana di madre che ha una visione ingenua del mondo e una profonda stima per il padre, tanto da sognare di percorrerne le orme.Camilla mi ha colpito profondamente oltre che per sua tecnica attoriale, per la naturale capacità di rapportarsi con la macchina da presa. Il suo primo piano è uno dei più intensi che abbia mai incontrato. Il giovane Paolo Mazzarelli, invece, interpreta il grande antagonista di questa storia: Giovanni, che si presenta come un rampante imprenditore milanese, è in realtà il nipote di uno dei più temibili boss della ‘ndrangheta, infiltratosi, come un cancro, nel tessuto produttivo milanese.Paolo, un viso che sembra scolpito, uno sguardo che trafigge, una voce che ti seduce, forte di una grande esperienza teatrale dà corpo a un personaggio inquietante e camaleontico che riuscirà a sedurre la povera Federica usandola per insediarsi nell’azienda del padre.La straordinaria maschera di Luigi Burruano, uomo del sud, superbo interprete di una meridionalità arcaica, tragica e a tratti maledetta, nel ruolo del consumato capo della ‘ndrina, esprime con forza l’ineluttabile minaccia di chi sembra poterti salvare dal baratro, al quale invece ti condanna. Il personaggio di Diego stringerà con lui un patto Faustiano nell’illusoria speranza di salvare la sua azienda e la sua vita, salvo poi scontrarsi con la realtà che prevede che ogni debito di questa natura può essere saldato solo con la cessione della propria anima. Solo l’intervento appassionato della figlia, pronta a sacrificare tutto, risveglierà la coscienza del nostro protagonista, spingendolo ad autodenunciarsi e a combattere in prima persona per gli ideali che aveva tradito.Mai come in questo film la potenza degli attori mi ha aiutato a imprimere pathos alla storia.Le luci aspre di Gianni Aldi, che con questo film ha debuttato alla fotografia, seguono la narrazione, illustrando un hinterland milanese livido e nebbioso che con il precipitare del dramma si fa sempre più minaccioso facendosi specchio del lato oscuro non solo dei luoghi ma anche dei nostri protagonisti. Il tutto assecondato dal ritmo nervoso e sincopato del montaggio di Lorenzo Peluso.Ancora una volta con me, alle musiche, il maestro Carlo Siliotto, che attraverso sonorità etniche e melodie struggenti, anima una storia che sconfina nell’immaginario noir dove passione, dolore, morte e tentativo di rinascita si rincorrono in un vortice ossessivo.La scenografia è opera di Mariangela Capuano, una mia storica collaboratrice, che ha immaginato e realizzato atmosfere scabre, dal sapore post industriale, restituendo la sensazione di un luogo che nel tempo si è trasformato, perdendo parte della sua identità, spazzata via dalla frenesia e dal sogno capitalistico di una terra che si credeva al sicuro da ogni male. Perfino la terra, stuprata dall’accumulo dei rifiuti tossici, non può che generare morte e dolore. Laddove una volta c’era vita e sostentamento, non solo per il territorio lombardo ma per tutto il paese.Colgo l’occasione per ringraziare la RAI nelle persone del direttore Tinni Andreatta e di Francesco Nardella per aver colto l’urgenza di raccontare una storia, così attuale e necessaria…e per avermi dato l’opportunità di presentarla al grande pubblico di Rai 1.
NOTE DI SCENEGGIATURALa ‘ndrangheta, silenziosamente, negli ultimi vent’anni è andata alla conquista dell’Italia del Nord. È entrata nei suoi tessuti vitali, imprenditoriali ed economici. Ha fatto affari, costruito case, amministrato ospedali, corrotto uomini politici, e si è inserita, anno dopo anno, nelle pieghe dell’economia pulita. Per chi conosce queste regioni, viene da chiedersi come sia potuto cominciare questo abbraccio mortale tra una delle imprenditorie più sane e dinamiche del paese e una criminalità organizzata che per cultura, radici, codici di linguaggio e di comportamento è quanto di più lontano si possa immaginare dalla mentalità del piccolo imprenditore del Nord. In realtà il collante è semplice e banale: i soldi.Per paradosso, proprio la lontananza culturale è stata un elemento di debolezza anziché di difesa. Di fronte a chi non aveva mai conosciuto minacce è bastato poco alla ‘ndrangheta per intimidire, terrorizzare, rendere complici. E la certezza che la criminalità organizzata fosse un fenomeno lontano dalla tradizione dei luoghi, ha fatto abbassare le difese alle istituzioni come ai cittadini, ha lasciato l’illusione che tutto si potesse usare e controllare. E così, anno dopo anno, le principali regioni del Nord sono diventate terra di conquista. Questo film vuole raccontare una storia, come tante ne sono accadute. L’incontro tra un imprenditore della provincia di Milano e la ‘ndrangheta. E la trasformazione del loro rapporto. Vittima e carnefici all’inizio, con l’imprenditore taglieggiato e minacciato. Vittime e carnefici, ma non per sempre. Perché la ‘ndrangheta è forte, ma chi ha un’impresa sa fare il proprio mestiere. E così il nostro protagonista lentamente prova a spostare l’asse del rapporto. A trasformare il ricatto e la vessazione in un’alleanza in grado di portare vantaggio a entrambi. Per poi scoprire che era un guadagno solo apparente, perché se un frutto è avvelenato, prima o poi chi lo assaggia si ritrova un amaro conto da pagare.Intorno, la Lombardia. Le paure degli altri imprenditori, il ricatto di una congiuntura economica che rende tutti più fragili. E i figli. Perché questo film è anche un racconto sui padri e sui figli. Anzi, sulle figlie. Che ci guardano e ci ricordano che i valori ai quali li abbiamo educati devono valere tutti i giorni. Ed è un film sulla dignità ritrovata, perché se abbraccio c’è stato, tra l’economia sana di questo paese e quella criminale, ci sono anche vittime che hanno avuto il coraggio di dire basta e di ritrovare la via della legalità. Perché è meglio fallire come imprenditori che come uomini. Questo film, è dedicato a loro.
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