Cinque anni fa, esatti esatti meno un giorno (l’anniversario sarebbe domani, domenica 5), la ‘povna saliva su un aereo, lassù a Stansted, e abbandonava Cambridge in direzione della piccola città. Potrebbe fingere che non fosse una definitiva partenza, ma la verità è che, mentre lasciava le chiavi della sua casa in Perowne Street nella buchetta delle lettere, la ‘povna sapeva che si trattava di una decisione storica, che l’avrebbe portata per lungo tempo (e definitivamente) altrove. La verità è anche che, in Italia, la aspettava (insieme a giorni bui, tremendi – e dopo una campagna elettorale viscerale e folle) la fine di una delle sue tante borse di ricerca e la ‘povna, dopo molte incertezze e patimenti, aveva deciso di abbandonare la prospettiva di carriera (all’inizio precaria, ma probabilmente costante) in una delle tante università della sua amata Inghilterra, per riprendere, tornando dal congedo con l’inizio di settembre, il posto fisso a scuola.
Va detto anche, per correttezza, che non abbandonò del tutto l’altro mondo, con il quale continuò a intrattenere (così come ancora adesso) rapporti lavorativi, nella forma di un corso di insegnamento (120 ore all’anno e spiccioli, inclusi esami e tesi) che, da quasi dieci anni, tiene in una delle (antiche) università della sua regione. Questo significa che – a parte le ovvie soddisfazioni (e la consapevolezza di avere scelto un modo di vita buffo) – la ‘povna ha modo di toccare con mano, praticamente tutti i giorni, le differenze che ci sono tra posto fisso e contratto di lavoro (assai) precario.
Proprio per questo, la coincidenza temporale le sembra la migliore per rispondere al senatore Monti. Vorrebbe premettere che a lei sembra che il problema della battuta (?) sia innanzi tutto una questione di talento, perché il senatore Monti è dotato di un senso tutto suo dell’umorismo, che qualche volta (complice un grande ufficio stampa) può fare bene centro; e ogni tanto invece fa proprio flop in pieno.
Vorrebbe anche dire, in maniera più specifica, che lei ricorda bene (e quanto!) i tempi in cui viveva così, solo “all’ultimo respiro”, tutti i giorni; che sono stati inebrianti, seduttivi, travolgenti, pieni. E che la tranquillità della sua vita oggi si snoda, secondo le parole di Aschenbach, come una forma di “nonostante”, della quale percepisce anche i limiti, e gli steccati, un giorno sì e quell’altro pure. Ma nello stesso tempo, e pur consapevole di tutto quello che ha comportato in termini di guinzaglio e di rinuncia, la ‘povna questa vita monotona la risceglierebbe, ancora e ancora sempre, perché non è quantificabile, per quel che restituisce in impegno e consapevolezza civica, una tranquillità economica e sociale.
Però, al senatore Monti, vorrebbe poi significare, infine, qualcosa di diverso. Perché è vero che certe forme di inamovibilità di posto (del resto: lei lo ammette chiaramente, e lo vede tutti i giorni) sono deleterie e alimentano circoli di mal costume che definire perversi è ancora essere blandi; è vero (e a lei non fa nessuna specie dirlo) che non si possono totemizzare regole passate, e fuori tempo, per un mondo nuovo; è vero che non si può costruire un paese che sia solo per vecchi (e basta ascoltare solo per due minuti questa segretaria CGIL per desiderare, non solo di gettare via la tessera, ma anche e soprattutto di sottoscrivere una delega in bianco al mago Zurlì fino al 2020, purché abbia idee anticonvenzionali); è vero, in una parola, che quando c’è bisogno di riconsiderare un sistema, tutto quanto, non si possono mettere pregiudiziali di difesa su niente. Ma nello stesso tempo è vero anche – e la ‘povna vorrebbe ricordarlo al senatore Monti (secondo l’antica lezione, che lui ha ascoltato molte volte, di suo nonno) – che senza il contributo naturale, chiaro, prevedibile e costante di quei noiosoni degli impiegati con un contratto senza termine, i soldi delle tasse per ripienare i debiti, e poter pensare a tutti questi tipi innovativi (e doverosi) di riforme con un po’ meno di ansia, sarebbero ancora tutti da trovare.
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