Magazine Diario personale
Dal Sito Ufficiale dell'Università degli Studi di Roma "Sapienza" (www.uniroma1.it) :
Nel 2006 il nuovo logo della Sapienza, rivisitazione del Cherubino, marchio storico dell’ateneo, recepisce la consuetudine di chiamare l’Università semplicemente “Sapienza”, creando il naming “Sapienza – Università di Roma” per ottimizzare la composizione grafica del logo.. Il nuovo Statuto, entrato in vigore nel 2010, chiarisce che il nome ufficiale “Università degli Studi di Roma” coincide con “Sapienza Università di Roma” e con la denominazione breve “Sapienza”. - See more at: http://www.uniroma1.it/ateneo/chi-siamo/il-nome-sapienza#sthash.rFHkTumR.dpuf
Posso aggiungere che già molti anni fa, Reggente l'Ateneo il Prof. Giorgio Tecce, il Rettore fece pubblicare in G.U. tale rettifica.
Ma torniamo alla trasmissione "Visionari" e alla puntata dedicata al sommo Poeta Giacomo Leopardi: Augias poneva le domande alla brava Professoressa interrompendola là dove lei non dava le risposte che egli avrebbe voluto, e già questo non va bene... Dovrebbe prendere esempio dall'ottimo Piero Angela che, con garbo ed intelligenza, pone le domande a chi è esperto, e dunque fonte di cultura ed informazioni, poi ascolta senza cercare di orientare le risposte a quello che di precostituito potrebbe avere nella mente. E questa differenza non è da poco, per me è il discrimine fra la grande informazione culturale e quella minore asservita ad idee precostituite. Quello che è venuto fuori su Leopardi nel corso della trasmissione era a tratti risibile e la Professoressa Bellucci ha provato a dire con garbo "che non era d'accordo" su alcuni assunti. Uno di questi era una presunta omosessualità di Giacomo Leopardi basata sulle lettere che egli scriveva al suo caro amico Antonio Ranieri:
Da: http://arjelle.altervista.org/Tesine/Chiara/leopardi.htm CHIARA TOSO Un'amicizia così accesa non passò inosservata, come emerge da un'altra lettera che accenna allederisioniche scatenava: "Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia. Oh Ranieri mio! Quando ti ricupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio, anima mia, con tutte le forze del mio spirito. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi" (Giacomo Leopardi, Lettere, Salani, Firenze 1958; lettera 486, 11/12/1832) Quando infine Ranieri parte alla volta di Firenze per andare a prendere l'amico, al quale ha proposto di vivere a Napoli insieme, Leopardi gli scrive: "Ranieri mio. Ti troverà questa ancora a Napoli? Ti avviso ch'io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un'impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio" (Giacomo Leopardi, Lettere, Salani, Firenze 1958; lettera 498, 11/12/1832). Ranieri stesso si affannò a rivelarci da cosa nascessero "scandalo" e derisione: dall'eccessiva intimità fra i due. Appena arrivati a Napoli assieme, nel 1833: "io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui" (Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Garzanti, Milano 1979, p. 55). Tanta premura suscitò i sospetti della padrona di casa, che "Mi dichiarò: ch'io le aveva introdotto un tisico in casa; che, amandolo tanto da fargli le nottate, non altra poteva essere la cagione onde non gliele facessi in casa mia [non c'era ragione per non fargliele a casa mia]; ch'essa voleva, ad ogni costo, essere sciolta dall'affitto" (ibidem, pag. 56). Del resto un incidente simile era già accaduto durante il già citato soggiorno comune a Roma nel 1831/32: un maligno parrucchiere compaesano di Leopardi, stupito della convivenza fra i due, s'era premurato di riferire certi pettegolezzi a Ranieri. Ranieri nel suo libro riconferma la sua amicizia, però aggiunge velenoso: "Ma, io confesso, che non avrei mai inteso concedergli quella che mi si riferisce leggersi in alcune delle sue lettere. E dico: mi si riferisce; perché, insino da una prima pubblicazione di questa specie, io, tre volte tentai di farne lettura, e tre fui preso dalla febbre" (ibidem, pag. 39). Quali che fossero le convenzioni dell'amicizia dell'Ottocento, è Ranieri stesso a dirci che le lettere di Leopardi andavano oltre l'accettabile, al punto che la sola lettura gli procurava la febbre decenni dopo; anche se naturalmente è una puerile scusa quella con cui Ranieri pretende di non aver mai letto le lettere. Giovanni Dall'Orto conclude: "le memorie scritte da Ranieri sono inattendibili. Esse furono scritte non per tramandare, ma per occultare "qualcosa". Forse una relazione omosessuale? Ahimè, purtroppo no: si tratta più banalmente di una relazione parassitica. Ciò che Ranieri non solo tace nelle memorie, ma anzi occulta descrivendo Leopardi come suo ospite spesato di tutto, è che la sua famiglia era alla bancarotta. Negli anni in cui i due convissero, fu Leopardi a pagare i conti. Anzi: a un certo punto si trovò in casa pure la sorella di Ranieri, Paolina. Questa "scoperta" cambia l'ottica in cui leggere la relazione. Che Leopardi fosse cotto di Ranieri, ce lo dicono a sufficienza le lettere. Che Ranieri, perso nei suoi amori con donne, reciprocasse tale amore, lo nega la sua biografia. Se dunque amore ci fu, esso fu a senso unico". Certo questo colpo di scena cambia completamente le cose! Fu davvero così? Non lo sapremo mai. Generalmente l'ottica in cui viene letto questo rapporto è radicalmente diversa, per non dire opposta; e Ranieri, con tutti i suoi difetti, ne esce molto meglio. Il tono appassionato delle lettere di Giacomo può anche essere interpretato come il grido di esultanza che una persona che sta annegando sta rivolgendo al suo salvatore. Si fa notare poi che in quel periodo un tale modo di relazionarsi con un amico era abbastanza frequente (?). Renato Minore sottolinea come "la tremenda paura della solitudine portò Giacomo ad alzare il tono delle sue richieste che erano vere e proprie invocazioni: 'ti sospiro sempre come il Messia'…". Quanto al sospetto che il rapporto con Ranieri potesse essere di tipo omosessuale, Renato Minore dice semplicemente che "non ci sono prove" ed il Montanelli parla semplicemente di "voci malevole". Fatto sta che quando Ranieri nell'autunno del '30 incontra a Firenze un Leopardi disperato, malato e sofferente, dice all'amico che pensava di andare a morire a Recanati: "Leopardi, tu non andrai a Recanati! Quel poco onde so di poter disporre, basta a due come ad uno; e, come dono che tu fai a me, e non io a te, non ci separeremo più mai" (A. Ranieri - Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi - Se, pag. 28). Quando Ranieri pronuncia queste parole probabilmente è solo un napoletano che con teatralità partenopea rassicura un povero cristo promettendogli la cosa di cui aveva sommo bisogno: un po' d'affetto. Nel suo libro il Ranieri descriverà spesso un Leopardi sporco, testardo, irriconoscente, ghiotto di dolci e gelati, e pieno di difetti. Probabilmente c'è un fondo di verità anche in questo. Ma alla fine, quel che conta è il semplice fatto che Ranieri si prese cura di un infermo per sette lunghi anni.
Ma il clou della trasmissione è stato il parere su Leopardi dello psichiatra Andreoli! Quello che definì i due fratellini di Gravina di Puglia, disgraziatamente finiti in una profonda buca di una casa fatiscente giocando, "come dei VUOTI A PERDERE per causa di genitori separati", ignorando, nella sua "dotta" analisi psicanalitica, che nella medesima buca c'era caduto successivamente un ragazzino di una famiglia unita, sempre giocando, ma che ebbe più fortuna, perché compagni di giochi avvisarono gli adulti ed il ragazzino fu recuperato e salvato, svelando con la sua caduta che in quel luogo giacevano i cadaveri dei due sfortunati fratellini tanto cercati dal padre disperato. Una analisi risibile quanto idiota, come molte che siamo costretti a sentire da "esperti di fama televisiva".
Nulla ha aggiunto questa trasmissione a quanto già sapevo su Leopardi, a parte queste sciocchezze sopra riportate. Durante un soggiorno nella bella Macerata, ospiti di un Preside Salesiano, mio marito ed io abbiamo visitato Recanati, non più il "natio borgo selvaggio" ma una cittadina curata e gradevole, anche grazie al fatto che da tutto il mondo visitatori vi si recano proprio per lui: Giacomo Leopardi. Abbiamo visitato il Palazzo avito dove, in parte, vivono ancora i discendenti della Famiglia dei Conti Leopardi. E' stata una splendida visita, con un giovane uomo che ha fatto da guida con una passione ed un amore per l'Opera Leopardiana commoventi, dimostrando una profonda cultura generale che si avvertiva dai suoi commenti e considerazioni di carattere filosofico che ci hanno fatto pensare che avrebbe meritato una cattedra da qualche parte, piuttosto che svolgere il lavoro di guida, sia pure culturale, in quel luogo. Leopardi sul letto di morte, 1837, ritratto a matita di Tito Angelini, anch'esso simile alla maschera mortuaria e quindi molto realistico e verosimile
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