La storia di Augusta Taurinorum, l’antica Torino, avvolta dalle nebbie del tempo
Augusta Taurinorum è il nome latino del capoluogo sabaudo del Piemonte. Una città antica di poco più di duemila anni, che ancora porta con sé i segni dei fondatori, infaticabili coloni di Roma caput mundi. Eppure, nonostante la Storia, quella evenemenziale, dei grandi momenti dell’Europa sia passata più volte per Piazza Castello, al giorno d’oggi sappiamo veramente poco delle origini del moderno capoluogo. Non che siano avvolte nel mistero di una leggenda fratricida o rintracciabili in qualche verso di un poeta scomparso da millenni, semplicemente non si hanno ancora le idee chiare.
Le origini della città
Non si hanno le idee chiare nemmeno sulla data di fondazione, che non c’è scritta da nessuna parte. L’unica data certa è il 49 a.C.., quando alcuni decreti del Senato promuovono lo sviluppo urbano dell’odierno Piemonte. Roma, ad ogni modo, in quegli anni era impegnata in dispute decisamente più importanti che badare allo sviluppo di una regione periferica come questa. Fu Augusto, sconfitti i suoi avversari, a occuparsi di riorganizzare la Gallia Cisalpina dopo le guerre alpine (25-14 a.C.) e la definitiva conquista delle Alpi Cozie. Comunque, come scrive G. Cresci Marrone:
Ignoto rimane il numero dei coloni, ignota la loro provenienza, composizione ed estrazione sociale, ignota l’estensione dei lotti di terreno assegnati, ignoto il nome dei commissari che presiedettero all’edificazione e financo il nome del primo patrono urbico. Fu Augusta Taurinorum, come la vicina Augusta Praetoria, uno stanziamento di veterani ivi allocati al momento del congedo, ovvero una colonia di popolamento ove trovò sbocco e residenza il proletariato dell’Urbe demograficamente esuberante, ovvero ancora la meta ove s’insediarono immigrati rurali dell’Italia centro-meridionale?
Quindi come possiamo ricavare informazioni? Come possiamo conoscere qualcosa dell’aspetto della nostra città e immaginarci i nostri lontanissimi antenati? L’archeologia, l’epigrafia e l’attento studio delle fonti storiche possono aiutarci a svelare qualche mistero.
Quando fu fondata? Perché?
Anzitutto, quando. La fondazione, come già detto, è avvolta nelle nebbie dei tempi. Qualche decreto del Senato, incrociato con le date (queste certe) della guerra alpina che assicurò ad Augusto il controllo dei valichi permettono di ipotizzare un periodo non molto ampio, intorno alla metà del I sec. a.C. come arco cronologico assoluto. Ma a questa data possiamo ricollegare la volontà di costruire un centro di potere, alla confluenza dei fiumi Dora Riparia, Dora Baltea, Stura e Po, strategicamente perfetto per controllare l’arco alpino occidentale. Quando per davvero la città cominciò a prendere forma, è più difficile a dirsi. Le mura, come testimoniato dai resti archeologici , furono completate non prima della metà del secolo successivo, quando a Roma il potere era gestito dai discendenti di Ottaviano. Le domus più antiche ritrovate dagli scavi sono databili più o meno per quest’ultimo periodo, in concomitanza con un boom economico che coinvolse la maggioranza delle regioni sotto il controllo dell’imperium. Possiamo però per Augusta Taurinorum soltanto immaginare le persone che la abitavano: una comunità vivace, quieta e dedita al commercio, all’artigianato e alla cura dei campi, come una qualsiasi città di provincia in quel momento storico.
Chi allora erano gli abitanti di Augusta Taurinorum? Impossibile saperlo. Anche in questo caso, dobbiamo usare l’immaginazione. Anzitutto, bisogna capire che non è assolutamente certo che chi abitasse dentro quelle mura fosse conscio di essere un “taurinense”, anzi, i municipia come l’antica Torino erano per lo più popolati da coloni romani, nel senso “della città di Roma”. Per dirlo con categorie più moderne, sarebbe come prendere una buona fetta della popolazione di una città troppo affollata e fondare per loro un nuovo quartiere all’interno del territorio della metropoli di provenienza. Solo che il territorio dell’Urbe era il mondo intero: erano dunque cittadini di Roma, con la facoltà di votare (nonostante lo scarso valore, rispetto ai secoli precedenti, che questo diritto aveva assunto in età imperiale) e di incidere sulla politica dell’imperium, anche partecipando al cursus honorum e divenire, dunque, senatori. E questo ci permette di capire quanto diversa fosse la rappresentazione del mondo a quei tempi, quanto diverso il concetto di cittadinanza e di appartenenza a una comunità, idee che, se opportunamente studiate, possono essere utili a comprendere le trasformazioni del mondo moderno.
Le Porte Palatine sono uno dei resti meglio conservati dell’antica Augusta Taurinorum – Photo credit: andre / Wikimedia Commons / CC BY-SA 2.5
Qual era il paesaggio della città?
Sui luoghi che gli abitanti frequentavano, purtroppo, gli studiosi brancolano nel buio. I cittadini romani avevano abitudini precise che noi al giorno d’oggi conosciamo per molti motivi: certe le abbiamo custodite gelosamente, ripetendole perché consci del loro valore fondante per la nostra società, altre invece le conosciamo perché tramandate dai poeti e dagli storici. Uno dei luoghi di ritrovo più comuni, il teatro, è situato nel settore Nord Est, a ridosso della cinta muraria (con ogni probabilità per agevolare l’accesso alle folle) ed è ancora visibile al giorno d’oggi, o meglio, lo sono i suoi ruderi. Spogliato già in tempi antichi per costruire strutture nuove, fra cui la prima cattedrale di Torino, situata proprio di fronte, è l’unica traccia certa assieme alle Porte Palatine dei grandi edifici pubblici che certamente dovettero caratterizzare il paesaggio urbano della Torino in età romana. Un teatro semplice, in marmo chiaro, costruito fin da subito perché essenziale ad acquisire lo status di “città” e rimodernato due volte, fino all’abbandono nel IV secolo. Commedie, tragedie, mimi, frequenti devono essere state le rappresentazioni in quel teatro, unico per tutta l’insediamento.
Una domanda ancora senza risposta: l’anfiteatro di Torino
Dove si trovava l’anfiteatro di Augusta Taurniorum? Studiare la conformazione urbanistica di Torino potrebbe aiutarci a scoprirlo – Photo credit: Dominio Pubblico
Sarebbe difficile immaginare una città romana senza anfiteatro. Dove si collocava il “Colosseo” taurinense? Dove avevano luogo i giochi con le fiere, le esecuzioni? Rispondere a questa domanda pare, per ora, impossibile. Alcune mappe di età moderna, in coppia con testimonianze di studiosi scomparsi, hanno fatto pensare per molti anni alla zona dove oggi è piazza S. Carlo. Gli scavi recenti degli archeologi della Soprintendenza torinese hanno, però, infranto le teorie degli storici e i sogni degli appassionati e ad oggi la questione su dove siano da cercare i resti dell’anfiteatro è ancora discussa e aperta. L’ipotesi certamente più appassionante è quella avanzata dagli archeologi volontari del G.A.T., che hanno ipotizzato per l’isolato tondeggiante di via Borgo Dora una discendenza interessata, dall’altra parte delle mura rispetto a piazza S. Carlo, in una zona di mercato a ridosso della cinta difensiva e vicina al teatro. Sulla forma tondeggiante di piazze sorte dalla trasformazione in isolati di anfiteatri l’esempio più eclatante è quello di Lucca, la cui piazza centrale ricalca fedelmente i limiti dell’antico circo. Non si hanno, però, notizie certe e questa è comunque solo un’ipotesi.
Il centro di aggregazione più importante era il foro. Piazza centrale, posta solitamente all’incrocio fra le due vie maggiori del centro urbano, cardo e decumano, cuore pulsante della vita politica e economica di ogni insediamento, dove venivano prese decisioni, dove spesso si riuniva il senato cittadino e dove erano collocate le basiliche e i templi urbani. Nelle basiliche era amministrata la giustizia, nei templi venivano perfezionati i rituali sacri indispensabili per la vita quotidiana. Nello spiazzo centrale, la folla in costante brusio era formata dalle clientele attorno ai ricchi patrizi, da mercanti, da viaggiatori in attesa di ripartire verso la Gallie al di là delle Alpi, o verso Roma. Curioso come dove un tempo si riunivano i politici della città, oggi ci sia il municipio. Una continuità d’uso durata quasi duemila anni, con qualche interruzione. L’incrocio fra il cardo e il decumano, infatti, era proprio all’altezza della moderna via Garibaldi, che ricalca quasi perfettamente l’antico corso della strada. Purtroppo, non conosciamo veramente quali edifici ne costituissero l’aspetto.
Un porto?
Forse però, l’idea più interessante e bizzarra, in particolare alle orecchie dei torinesi, è l’idea che Augusta Taurinorum potesse avere un porto. Plinio il Vecchio, parlando del fiume Po e della pianura Padana, specifica che
Dal nome del Po si chiama Transpadana la regione undicesima; essa è situata tutta nell’entroterra, ma il fiume le trasporta ogni prodotto dal mare grazie al suo comodo letto. Le città sono Forum Vibi e Segusione; le colonie, Augusta dei Taurini, alle pendici delle Alpi - da lì il Po è navigabile –
E, in effetti, la scelta di questo luogo come sito per far sorgere un insediamento in grado di controllare l’odierno Piemonte occidentale e in particolare l’arco alpino sembra sia stato facilitato anche per via delle strade d’acqua, la Dora e il Po. Il primo dei due potrebbe essere stato utile per collegare Augusta Taurinorum alle valli, mentre l’Eridano certamente era una strada facile per collegare l’insediamento direttamente all’Adriatico e, dunque, alle rotte commerciali più importanti del mondo antico. Un porto dunque, forse due, in corrispondenza delle porte Palatine, a Nord, e della porta Decumana, a Est, in direzione del Po. Ma, anche per questo caso, non esistono prove dirette, se tralasciamo la vocazione commerciale almeno dell’area presso la Dora (testimoniata dagli scavi archeologici) e il suggerimento illustre di Plinio il Vecchio.
Basta un rapido sguardo alla storia passata per porsi domande, per alimentare la voglia di scoprire quale sia stato il paesaggio urbano ora scomparso. Ma se non fosse la curiosità, dovrebbe il senso civico di ciascuno e la voglia di capire chi siamo, anche -e soprattutto- attraverso chi siamo stati, sollevare dubbi e questioni sul passato comune. Nella speranza che si possa riscoprire una cittadinanza più consapevole, in grado di elaborare tematiche di convivenza civile antiche di millenni, nel contesto sociale locale, della città, ormai divenuta “metropolitana”, della provincia e della regione, quali i trasporti, la vicinanza ai servizi e l’accesso a questi, o ancora la cura del territorio non solo come bieca fonte di reddito, ma anche come sorgente di pacifica convivenza, di multiculturalismo e di benessere. In tutto questo lo studio dei misteri che ancora cela il sottosuolo torinese (si spera) può offrire meraviglia e opportunità di crescita culturale.
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