Discendente di un’antica nobile famiglia, la cui origine risaliva all’XI secolo e che poteva vantare tra i suoi esponenti anche il primo Grande Maestro di quello che sarebbe diventato l’Ordine dei Cavalieri di Malta, Auguste de Villiers de l’Isle-Adam nacque a Saint Brieuc, in Bretagna, nel 1838. A seguito delle speculazioni improvvide del padre, per tal ragione abbandonato dalla madre, il già ristretto patrimonio di famiglia venne definitivamente dilapidato. Dopo un’irregolare formazione di impronta rigorosamente cattolica, si trasferì con la madre a Parigi, grazie al sostegno di una prozia. Ben presto prese a frequentare i ritrovi dei letterati parigini, proponendosi come poeta e assumendo inevitabilmente atteggiamenti da bohemien. Dopo aver pubblicato una raccolta di poesie e aver conosciuto Baudelaire, decise di dedicarsi alla prosa e al teatro e cercò di sbarcare il lunario collaborando con alcune riviste letterarie parigine. Le sue prime opere (il romanzo filosofico Isis, 1862; i drammi Elen del 1865, Morgane del 1866 e La revolte del 1870) non ottennero alcun successo. Ciò nonostante, Villiers si inserì nell’ambiente più culturalmente innovativo della Parigi che si apprestava a vivere l’onta della disfatta contro la Prussia e i rivolgimenti della Comune. Conobbe e frequentò Gautier (fidanzandosi con la figlia, ma dovendo rinunciare a sposarla per l’opposizione della sua famiglia), Leconte de Lisle, Verlaine, i Goncourt e soprattutto Mallarmé. Si entusiasmò alla musica di Wagner ed ebbe modo di conoscere personalmente il maestro tedesco.
Intanto, la sua carriera letteraria procedeva precaria e l’attività pubblicistica non sempre riusciva a garantirgli il sostentamento, tanto che si dovette adattare anche a lavori extra, come l’arbitro di pugilato. Visti gli insuccessi degli esordi, la sua produzione creativa si fece più ponderata e ricercata, tanto che in tutti gli anni settanta pubblicò su riviste letterarie solamente alcuni racconti e Axel, considerato uno dei primi drammi simbolisti, pubblicato in una prima versione nel 1872, successivamente revisionato e ripubblicato nel 1885 e, postumo, nel 1890. Dopo aver rappresentato con scarso successo il dramma Il nuovo mondo nel 1880, tre anni dopo Villiers pubblicò la sua opera più celebre, I racconti crudeli, raccolta folgorante di storie minimali, paradossalmente esemplari, venate da un’ironia distaccata e impietosa verso la deriva nullificante della società borghese e della modernità. Celebrato nel 1884 da Huysmans tra le letture del raffinato decadente Des Esseintes in A Rebours; inserito, nello stesso anno, da Verlaine nell’antologia epocale I poeti maledetti, Villiers pareva finalmente aver raggiunto la tanto agognata consacrazione letteraria. Lo scrittore bretone serrò i tempi fino allora dilatati della sua produzione e scrisse in pochi anni alcune delle sue migliori opere, come il romanzo filosofico Eva futura, in cui sono presenti profetiche suggestioni sulla degenerazione del rapporto dell’uomo con la scienza e la tecnologia. Proprio in questo romanzo, Villiers utilizzò il termine androide in un’accezione moderna, per nominare un essere umano artificiale. Altri lavori di questi ultimi anni furono le raccolte di racconti Tribulat Bonhomet, Nuovi racconti crudeli e Storie insolite e il dramma L’evasione. Assalito da un tumore all’intestino, si spense nel 1889, dopo aver sposato in extremis la sua cameriera ed aver reso legittimo il figlio da lei avuto. Aristocratico e anticonformista, dotato di uno stile raffinato e limpido, sempre teso all’invenzione e al rovesciamento dei canoni narrativi, Villiers fu sostanzialmente ignorato dall’opinione pubblica, nonostante le attestazioni di stima di grandi della letteratura come Mallarmè, Anatole France e Maeterlinck, oltre ai già citati Verlaine e Huysmans. In Italia, l’attenzione dedicatagli da Mario Luzi non è stata sufficiente per far uscire dall’ombra la sua letteratura scarna, non monumentale, ma ricca di spunti stilistici e tematici originali e innovativi.