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Augusto Blotto - A piene mani, con una nota di Daniele Poletti

Da Ellisse

augusto blottoPubblico qui una nota di Daniele Poletti come introduzione a pochi testi di Augusto Blotto, poeta magmatico, tellurico, anzi diluviale, fin troppo sconosciuto nel nostro paese. Con la prospettiva, spero, di poterci occupare quanto prima in maniera più diffusa di questo "radicale [capovolgitore] del conosciuto, dell'atteso, del normale", secondo le parole di uno dei suoi estimatori. Un poeta che mette alla frusta non solo il linguaggio e la sua capacità eidetica, ma anche il nostro comfort di lettori. (g.c.)
Per Augusto Blotto (Torino, 1933), sono stati usati ormai innumerevoli e pertinenti epiteti e aggettivazioni, da critici come Stefano Agosti, Giorgio Barberi Squarotti, Sergio Solmi, Giovanni Tesio, Sandro Montalto, etc.
E, se conoscendo la persona e l'opera, la definizione più immediata e calzante è quella di "uomo di sfide e dismisure" (Giovanni Tesio), vogliamo qui introdurre, in una visione diacronica, la figura di Blotto come uno dei grandi "esclusi" della letteratura italiana.
Si badi bene, nessun tono commiseratorio in questa affermazione: Blotto, a un certo punto del suo itinerario poetico, si è autoescluso dall'ufficialità della cultura; ma il resto è stato fatto dai grandi poli di aggregazione intellettuale (neoavanguardia inclusa e su tutti), che hanno proceduto su sentieri ben definiti, rispondendo a un'idea quasi preordinata di ricerca, e non rimanendo in ascolto (o avendo timore di farlo) di una certa eterodossia letteraria di cui Blotto fa parte. (Per inciso si può ricordare anche il caso di Alberto Faietti o per aspetti diversi di Lucio Saffaro e Emilio Villa).
Senza timore di esagerare si potrebbe affermare che Augusto Blotto sta alla poesia come John Cage sta alla musica: c'è un prima e un dopo di loro. Senza sottrarre importanza a ciò che ci hanno lasciato Zanzotto, Cacciatore, Ruffato, Guido Ballo anche (da tornarci su), per citarne solo alcuni, ma tentando di darne un pò di più, di importanza, al Blotto innovatore e "trovatore" della lingua poetica italiana.
Sì perché come ama ricordare l'autore "nella mia poesia non cerco/ricerco, trovo". La poesia di Blotto è un canto molto articolato di ciò che viene trovato sulle strade percorse in metri e chilometri. Una topografia del reale forgiata nel crogiolo di soluzioni linguistiche inusitate, inaspettate, nella gamma quasi sterminata dell'invenzione espressiva. Per forza d'urto, di fronte ai versi blottiani, saltano le convenzioni e le convinzioni, perché ci si trova di fronte a qualcosa di inaudito.
La spericolatezza sintattica si lega a forme idiolettiche -sempre però riconducibili al dizionario, mai autoreferenziali- che cercano strenuamente di individuare in modo più preciso il senso del percepito; verbalizzazioni, sostantivazioni di parti recondite della lingua, ma anche dell'inconscio, creano un'amalgama musicale dodecafonica, più spesso atonale, che fa dell'opera di Blotto una delle espressioni più avanzate della ricerca (in questo caso va detto) poetica. Il contributo decisivo a questo stato della poesia è dato dalla struttura instancabilmente simultaneista, il montaggio intersecato di percezioni attraversate, che porta alle estreme conseguenze la tecnica del cut-up e della visualità della scrittura, proprio perché attuata secondo un'architettura rigorosa e post-endecasillabica.
Il risultato non risente di alcun intellettualismo, l'uso frequente del registro basso e comico e di scelte lessicali "impoetiche", contribuiscono alla determinazione dei versi di Blotto come  una registrazione quasi pedissequa del reale. Raymond Queneau insegna che esistono 99 modi diversi per raccontare la stessa cosa, probabilmente Blotto è il n°100: modo del non dire, suggerimento, evocazione, traslazione.
Tutto questo concentrato in 60 anni di scrittura e quasi 20.000 pagine di poesia, tra editi ed inediti. "Uomo di sfide e dismisure", appunto.
daniele poletti - novembre 2012
da "Ragioni, a piene mani, per l' "enfin!"
Che mai i paesi si siano immaginati
visti così bene, azzurri in lor cruna
e armatura, come dall'entusiasmo
fiordaliso in lunghezza di chi vi parla
- radiocronaca contemporanea, intimissima
di contenta certezza di bassezza -
custode, in quantità pascolatoria,
di numeri, pendori e aguglie attesi
tosto dal lacuale, eh'è spazzato
in tosoni e vialetti, grigio glomero
dopo tosto la pioggia che nutre i verdi
a gran matassa (sporchi appena in cenci
di virgole, il diaspro sommesso, lo
stravento, dell'arruffo temporale)
Quell'io che vi ho veduti, quasi imperio,
non ho imbarazzo a abbandonarvi (ceci
di rii; ombra circolare sotto:
un olmo? quercia? non abbado a tali
inferimenti non so quanto legittimi,
assurement pàtula (schienale) per quanto le membra
ricordino (essudato); sormonto
di colli dichiarati scarsamente
visibili per lor intensità
amianto (il massimo della sfusa
soddisfazione è in tale pronome);
velocità che scarta perché greche-
-tte di margini sommin questi medi
colli concomitanti a fruir acrocoro
se si dovesse misurare coi millenni
il poveraccio sincero, contritosi
su sé, come un grembo sa ben fascina
(onice che scorre sul riposo
castagno, prato ripido pulito,
accomunanza di tempo nel chiamarlo
che sia qui, formicolo celestino
del presente marron, borsine tutte
allineatamente scompaginate, effetto
del rugghio di una potenza poco presa
sul serio ma che non per questo
non russa chiotto chiotto i suoi barbierumi
di non dimentico e chissà un giorno intervengo)
Abbandono che, se figgesse il costato,
presto l'incuranza della visione (prateria?
atleticità? angolo con ritagli
ferrosi?) successiva sventante
bòcca a un porto d'atterrissage - stelluzze
di lamiera -; perché stupirsi? vorrei
semplicemente -che vi avvicinaste. Ve ne
accorgereste (tèndine? piede
azzoppato? acqua lurida in feltro?
ma no, oggi o poi, solo una manata che vi sorpassi
o tutti cari !)
   Bah, troppo bello,
terra formata
da cose, per lasciarti
   cose che adagiano
lunghezza, o esperar di cilestrino,
pensatrici cose di terra, o addirittura
di terreno, sgombre come in limpido
disposte ad accolare aria aguzza
Son qui
a testimoniar il vacillìo dei buon suoli?
Posso affermare che in realtà il lor solido
non ci pensa neanche a schienottare?
gli basta la sicurezza, come...
a lui?
   Questa capacità di essere
mi pare strano non averla tutta
svoltata in esperir composto, quell'
attaccamento al corretto che il nuvolo
ci materna, guancia di ponticello
tipo Giverny se inventassi posarsi
peluzzi di nebbia ferrea sulla gioia
che un soppiattar di lontra ci riporta in comune
a quella cambusa a tentoni eh'è il nostro cervello
di cui non saprei né dir male se non spalancando le braccia
in TGV dopo il Morvan
giugno 2009
***
da "Basta, buon continuare"
Questa faccia terminerà, è noto,
di guardarmi bonaria, effervescente,
o impalmata di barba-fiacco a sera d'albergo.
E allora
tutto sarà finito anche per voi
Come non sarebbero avvenuti
neanche tanti lutti, a miei cari, se fossi stato con loro
Verde surpluato d'api, immergimi nel ditone
da manicotto delle tanto carpate valli!
   Non vi è nulla in comune
fra il sepolcro quarantennale del mio inizio, commosso,
e questa recisità d'erba, materna
come la torta vaccaie, iridio di fiori cribretti
nel sottile acciaiare della vaniglia o lumacone
tra vetri, cupo essendo il cespo
   E le vòltole
morbide, del reale sottoposto a scadenza
dolce, di temporali pomeridiani, marron
come un granetto, un glomerare; scrosciato
dal nudo nitido, esse, matrone,
maioliche, madonne, fienano
o falciano pianissimamente, rotolando
quasi non si avverta quasi, in un rosolo
di romaneità smeraldo, gonfia e per tituboni
trascinante di rastrello nel vis del vivo di liberazioni
persuase
Una schiena modello
assunse la forma del me materna studiosa
in quei verecondi tempi, zelanti e vispi: l'arrivo
al paese della fantesca in prunelle d'occhi
seri smagrì il fianco, laterizio il lavoro,
lingotti celesti di assiedersi in paradiso nocchiero
e grèmbico stabilirono la lontananza dalla città
di studi, di successi, il ritornc intontito a palla di dito,
assiduamente sempre pensato in lacuale
atmosfera di briglia e ammiraglie, affezionatissima ai silenzi di sera:
ai proponimenti, da masures
(il vetro rotto fra lumaconi e ortiche)
Chambéry, Val Romey
poi Prazzo
giugno 1989
***
da «Veramente quando»
CON PENSIERO AI NUOVI, PER FINE oppure NON FACCIO LA GUERRA, FACCIO
L'AMORE oppure anche I GIOVINCELLI SE AFFRONTANO HENRY MILLER o anche
PENSANDO A BELLOCCHIO (UNA SUA INTERVISTA) oppure PRIMA IO, POI...
Concentra la rettilineità
dei voleri a lungo, topografici, la persione
felice come di stagni, di noi or or prossimi
all'indomani in pianura: così pelurie arancio,
strisciate, sulle auto mastice, una penombra.
Un passo inclaverà soldelli, proseguendo,
batterà i leggeri vetri dell'essere
sospeso, come una lingua grossa
di felice: forse un riunire e soldato
tenueran dei voleri.
   Natale o giallastrerie
di pianure di latte, in questo angolo poco incline
a [com]portarsi non schivo, forman il dormire
appuntito di tempia, penso, e indirizzato di mento
comunque, a perplessare l'impaziente;
un turchese d'odore che cade, un riccio di carbone
sulle vie prospettantisi il notturno, fumate
di quella aerovoltura di "invio!" da trecciar
portici o zuccheri, una silentìa apprensiva,
e zingaresco il suo viola di saltoni, nudità
da cavoli del pompelmino di bistro
   Feud'occhio
bello, d'anitra e non stupire! Olmi a neve
donanti il gratto d'apprezzo alla torre; a me
capiterà, scoppiettìo d'infan'festa, di andare verso,
bruciori chiusi a ombrello d'un nullo zucchero
alle strade fangate daran quel po' di toro
che sempre è ammesso nel bilioso azzurro
d'un progetto, ritondino e il suo verde gradua  
sopra asfalti, come far un sogno boario,
avvicinarsi alle corti e aver notte,
oppure aver percorso di latte.
   Qua la
- cioè dir tutte le cose, grossolane appuntino -
mano, traduco questo dirmi; ondate
di credere al rovinato un futuro cibo
grassamente medagliatore, con lo scopo lucente
del messia focaccia su pianure spronano
a apprivoiser, ed i gomiti grettini
come l'argilla fa una scimmia, o battìo
d'occhi alla piana distanza,tutta cune
nere, odorini pastellati, oche
e rotaie molli: un farsi sempre più cattivi,
come è la sincerità e il lucente, negli uomini
che sono scampati e pensano al minestrone
di lor lagrime e gloroso prossimo, suicidio
ad esempio, o vagabondaggio, giovani
come uno [che] dimentichi la giacca, sempre freddi:
la luna meravigliosa di cibaccio e liquo
rappresenta l'intensità malvagia
e facente per finta paraggi alacri con le mani
e allegri, tutta la storia dell'indipendenza,
erettìna e credula giustamente al sé
per metro, che si diffonde in futuro, problemi
suscitando, come giudicare un conflitto.
Problemi misteriosi perché un poco stupidi
alla prima apparenza, come miglia lontane
questo conflitto comporti, una radentìa grigia
che si dà il caso (per noi) di osservare con cruccio
attentivo, per i suoi mestoli di ben pochetto,
e appunto per il semplice lagrimone o cibo fatto
a forma di foglia che involva palla di cazzo
con cui vociano un arancione di andar vicini quasi senza menti
- il mento dell'interrogativo o dell'annuso -
e retri, il troppo intelligente, per i nostri gusti,
d'una rivoluzione esigente discutere, uccellona candida
Retriva e scurrile ribellionuccia mia,
guarda i paesaggi, più o men ci valiamo,
(farsi nascere oppure condannarsi-dispero, tutti e due i sensi)
eh già, questo è lo sgrondo di parola
che noto nella lagrimona della rivoluzion accentrata,
minestrosa, appoggiata sulla franchezza.
Solerette, Savigliano
dicembre 1966
testi tratti dalla pubblicazione "A. Blotto - 5 poesie inedite" - Altroche, le Edizioni di [dia.foria, che ringrazio.
Il carattere courier new è lo stesso utilizzato da Blotto nei suoi dattiloscritti

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