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Aurelio Gotti, Firenze – Saliamo in cima alla Torre

Da Paolorossi

Firenze - PanoramaFirenze – Panorama

Saliamo; su, su andiamo fino al leone della mia Firenze, fino alla bandiera della nostra Italia. Che splendidezza di cielo! che bellezza di terra! Lassù, in alto una cosa sola, il sole; giù, a’ nostri piedi, la bella Firenze, e attorno come la cintura di Venere, la sua ricca ghirlanda di vaghe colline, tutta cosparsa di ville, di case, di paeselli che ora si mostrano e ora si nascondono tra le viti e gli olivi, quasi tempestata di belle gemme tra fiori; e da lontano monti più alti ancora che, non meno vagamente,  la ricingono una seconda volta; e finalmente l’Arno che quasi fusciacca d’argento la taglia, e va a perdersi per lungo sentiero al mare.

Quanta storia e quanta poesia in sì bella vista!

Fra i tetti delle case sottostanti vediamo sorgere più o meno sporgenti i merli e i cornicioni degli antichi palazzi; prossimo, alla parte di levate, il Palazzo merlato del Potestà, con la sua grande torre, più in là quello così detto Non finito, e poi il Palazzo die Medici in via Larga, oggi Riccardi, quello degli Strozzi, l’altro del Buondelmonti, e accanto quello degli Spini; passando l’Arno, più alto di tutti gli altri, quasi appoggiato ad una collina verdeggiante, come un grande solitario, il Palazzo dei Pitti; poi dappertutto sorgere i tetti, e le cuspidi, e i campanili e le cupole delle nostre maggiori chiese.

Santa Croce, la Badìa, San Lorenzo, Or San Michele, Santa Maria Novella, Santa Trinità, Santo Spirito e il Carmine; e fra questa che pare tutt’ insieme una folla di monumenti, elevarsi sublime la cupola di Santa Maria del Fiore, come tra i più grandi pensieri del rinascimento, il pensiero di Dante. E lì innanzi al Duomo, « il mio bel San Giovanni », dove tutti, uno ad uno, noi Fiorentini abbiamo presa l’acqua battesimale, legandoci ad una medesima fede, facendoci fratelli in Cristo: era esso, dicesi, il tempio di Marte, quando Firenze era ancora « dedicata sotto il segno di Marte ».

Nel mezzo della città fra l’Or San Michele e il palazzo Strozzi vedesi un tratto dove le case sono già senza tetti, e già smantellate e cadenti le torri che erano degli Amieri, de’ Caponsacchi, de’ Tosinghi, dei Davanzati ; sparita la colonna che era detta della Dovizia, e la vaga loggetta che era in sulla piazza; dappertutto uomini che s’affaticano e affrettano a buttar giù, e altri intenti a edificare di nuovo; è il cuore di Firenze che si disfà; o voglia Dio che sia invece il cuore che si rifà, rinnovandosi.

( Aurelio Gotti, brano tratto da “Storia del palazzo Vecchio in Firenze”, 1889 )


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