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Aurora

Creato il 17 febbraio 2012 da Illcox @illcox

-Penso di sapere!

-Cosa?

-Il motivo per cui siamo qui!

-Ah, e qual è?

-Siamo qui… per essere qui!

È così che comincia la mia storia. Non sarà molto originale, ma alla fine cosa lo è davvero? Forse la nostra vita? Quello che ci viene detto? Oddio, forse questo si! Nella mia vita mi sono state dette molte cose, molte bugie: alcune erano davvero molto originali, lo ammetto. La più originale me la raccontò una ragazza durante i giorni più belli della mia vita. No, non sto esagerando, perché lo furono davvero…

Era autunno, forse ottobre inoltrato. Le foglie cadevano ed io me ne stavo tranquilla, in una panchina isolata ai limiti del campus. Fumavo la mia sigaretta del dopo caffè: una piccola pausa in quei giorni di studio frenetico o, per dirlo come il mio “carissimo” Leopardi, di studio matto e disperatissimo. Pensavo a quell’esame imminente che per troppo tempo avevo rimandato, cominciato e poi messo da parte, tentato e fallito. Adesso, o meglio, allora, era giunto il momento di affrontare il mio “mostro”. Era finalmente arrivato il momento in cui mi sarei presa la mia doppia rivincita: sul professore e su me stessa. Sì, perché, più che altro, odiavo quell’esame perché, in fondo, odiavo solo me stessa. Detestavo quella ragazza che aveva fallito o rinunciato senza tentare così tante volte. A quel punto era diventata una sfida come me stessa. Come quando, da bambina, cominciavo a fare i primi giochi di logica che, ovviamente, non mi riuscivano subito. M’imponevo di continuare fino ad arrivare alla soluzione. Mi dimenticavo del gioco per vincere una partita contro me stessa: e di solito vincevo. Poche volte, in altre situazioni, mi sono trovata a dovermi arrendere, ma erano sempre contesti controllati anche da fattori esterni: la morte di mia madre e l’abbandono dell’amore. Solo in questi due casi, fino allora, mi avevano fatto gettare la spugna: mi avevano lasciata in uno stato d’ibernazione mentale, non volevo accettarlo, punto e basta. L’accettazione arrivò, in entrambi i casi, troppo velocemente e, da lì, comincio il dolore. Era qualcosa di atroce! Era come avere il sangue bollente che t’infuoca i tessuti e che immediatamente si assopisce. Si trasforma lentamente si qualcosa di peggio: un piccolo e insulso tarlo che ti divora lentamente dall’interno. Si nutre di piccoli pezzi della tua anima e cresce, lentamente. All’inizio lavora di continuo, poi, con l’andare del tempo, si sopisce: non muore, si addormenta. Si sveglia solamente quando la fame gli morde lo stomaco. Il tarlo ce l’avevo allora e me lo porto dietro ancora oggi. Per un qualcosa di effimero come un esame, quindi, non volevo arrendermi. Il fattaccio, in altre parole il mio primo incontro con la ragazza, avvenne proprio quel giorno, mentre fumavo la mia meritata sigaretta.

L’avevo vista con la coda dell’occhio, correre a rotta di collo per la strada deserta. Mi ero voltata appena in tempo per vederla scavalcare il muretto, come se fosse un gradino e venire verso di me. In un attimo, fu alla panchina e mi si buttò vicino con un sospiro. Teneva la testa bassa poggiava i gomiti sulle cosce: ancora non riuscivo a vedere il suo viso. Aveva il respiro affannoso e muoveva il torace in maniera convulsa. Io continuavo a fissarla dimenticandomi completamente del mio esame, di pensieri di prima e della sigaretta. I capelli biondi e corti, sembravano un caschetto uscito male. Indossava un maglione, di almeno due taglie più grandi, a righe. I jeans aderenti e gli anfibi tendevano aumentare ancora di più la sua magrezza. Dopo pochi secondi smise ti respirare e alzò la schiena. Si girò verso di me e fece un enorme sorriso. Fui immediatamente colpita dai suoi tratti: gli occhi grandi, verdi e contornati da leggerissime occhiaie, il naso piccolo, la mascella spigolosa e le labbra fine. Non aveva un filo di trucco ed era comunque bellissima! Mi tese la mano, ma io esitai a stringerla. Così lei addolcì lo sguardo, fino a poco prima quasi allucinato, e allargò il sorriso. Feci un ghigno anch’io e le strinsi la mano, ma non ebbi il tempo di aprire bocca.

–Penso di sapere!

Disse senza perdere il sorriso. Io continuai a guardarla sempre più perplessa. Ero comunque affascinata da quell’esile ragazza, ma ciò non toglieva che mi sembrasse mezza pazza! Superando lo sgomento, riuscii a dirle:

-Cosa?

Fu lei, questa volta a guardarmi male. Perse il sorriso e mi guardò imbronciata, quasi offesa. Ma certo, la sua affermazione era così ovvia; come potevo non aver capito di cosa stesse parlando? Ricordo di aver pensato chi diamine fosse quella tizia e cosa volesse. Quel broncio non durò più di pochi secondi. Subito riprese a sorridere, e parlandomi come quando si parla a un bambino per fargli capire qualcosa, mi disse:

-Il motivo per cui siamo qui!

Ma si certo, che idiota che ero! Era una cosa così ovvia! Quasi per sfidarla, volli continuare il discorso.

–Ah, e qual è?

Lei mi guardò con più intensità e avvicinò il suo viso al mio.

–Siamo qui…

Fece una breva pausa.

–Per essere qui!

Aurora


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