Ma io non credo che la totalità sia contenibile nel linguaggio; il mio problema è ciò che resta fuori, il non scritto, il non scrivibile. Il mondo esterno è sempre là e non dipende dalle parole, anzi è in qualche modo irriducibile alle parole,
e non c'è linguaggio, non c'é scrittura che possa esaurirlo.
(Italo Calvino)
A metà degli anni Settanta ero il manager di una cooperativa industriale e nei giorni liberi frequentavo l'Università di Bologna. Partecipavo con interesse ai fermenti creativi e talvolta confusi che sorgevano dopo la grande ventata di libertà. Pochi anni ancora e la mia esperienza lavorativa all'interno della cooperativa terminò. Avevo bisogno di più creatività e libertà, così avviai ad Imola un' agenzia di comunicazione ed organizzazione di eventi culturali, attività che svolgo tutt'ora con una maggiore attenzione alla comunicazione sociale.
Contemporaneamente approfondivo - con mia moglie Roberta - letture filosofiche e pratiche orientali. C'era un esigenza di andare "oltre le parole" verso una fase di ascolto per scoprire il silenzio, il silenzio abitato. Ci si avvicinò così progressivamente ai viaggi e ai testi, alle riflessioni sui libri di Krishnamurti, alle poesie di Tagore, ai saggi di Gurdjieff e Raimon Panikkar. Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979.
Partimmo da Imola e fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi classici dell'India: Bombay, Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche tanti minuscoli villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei documentari di Pasolini e nelle foto di Raghu Rai: colori forti, odori indimenticabili, contrasti sociali, suoni melodiosi e talvolta noiosi, un insieme di percezioni che molti viaggiatori definiscono come "mal d'India".
Era previsto che le ultime due settimane di viaggio di consumassero a Pondicherry, dove ci attendevano una decina di amici imolesi partiti assieme a noi dall'Italia un mese prima. Pondy era una cittadina - oggi conta oltre 600.000 abitanti - affacciata sul Golfo del Bengala a 200 chilometri da Chennai, già protettorato francese e sede dell'ashram di Sri Aurobindo, dove egli visse gli ultimi quarant'anni prima di abbandonare il corpo nell'agosto del 1950.
Nato a Calcutta nel 1872, figlio di un medico educato all'occidentale, all'età di sette anni Sri Aurobindo fu inviato in Inghilterra per studiare. Ventenne tornò in India, terra di cui fino a quel momento aveva ignorato quasi tutto. In patria svolse un'intensa attività politica a favore dell'indipendenza e contemporaneamente si dedicà ad uno studio approfondito dello yoga e delle principali tradizioni spirituali indiane. Nel 1908 fu arrestato e trascorse due anni in prigione ad Alipore. Liberato nel 1910, si stabilì a Pondicherry, dove rimase per il resto della sua vita e incontrò quella donna straordinaria che è nota come la Madre ( la Mère): Mirra Alfassa, parigina vissuta in India fino alla sua morte nel 1973.
Avevamo con noi una copia del libro, per certi versi profetico, di Satprem " L'avventura della coscienza " sul pensiero evoluzionista di Sri Aurobindo. Curiosamente anche la prefazione del libro era redatta da un imolese, il professor Mario Montanari, europeista ante litteram che si era recato a Pondicherry nel 1974 per un convegno mondiale ed era rimasto profondamente colpito dal fervore culturale e spirituale presente nella cittadina indiana.
Da allora ci siamo recati quasi annualmente ad Auroville. Ogni volta ritroviamo un nutrito gruppo di amici di varie nazioni coi quali condividiamo questo progetto di costruzione di una città universale, destinata a ospitare 50.000 persone, e fortemente voluta dalla Mère per rendere concreto e quotidiano il lavoro dello yoga integrale, base degli insegnamenti di Sri Aurobindo.
Sin dal 1964 la Madre "sognò" il progetto di Auroville e vi lavorò assiduamente. Così affermava: "Auroville vuole essere una città universale in cui donne e uomini di tutti i paesi siano in grado di vivere in pace ed in crescente armonia, al di là di tutte le credenze religiose, di tutte le idee politiche e di tutte le nazionalità: lo scopo di Auroville è quello di realizzare l'unità umana."
Auroville fu inaugurata ufficialmente nel 1968 alla presenza di 124 delegazioni di altrettante nazioni. Oggi ospita 2256 residenti provenienti da circa 46 Paesi, circa 10.000 cittadini indiani - in prevalenza Tamil - nell'area del piano regolatore e circa 45.000 nell'area circostante. Sui 2000 ettari di terra rossa, desertica, furono piantati oltre 2.000.000 di alberi e arbusti. Ad Auroville i terreni e le costruzioni non appartengono agli auroviliani, ma fanno parte del patrimonio dell' Auroville Foundation.
Si tratta di una realtà sostenuta dall'UNESCO, dalla Commissione Europea, dal governo indiano e da altri organismi internazionali. Auroville intrattiene scambi culturali con molte città indiane, asiatiche ed europee. È in relazione permanente con altre città ideali quali Findhorn in Scozia e Arcosanti nel Nuovo Messico, ed è ben distante - per concezione di vita - dai tanti luoghi di migrazione e ritualità mistica presenti in altre parti dell'India.
Ad Auroville si respira una tensione evolutiva che presuppone nei residenti, ma anche nei " tourist guests" più attenti, una sincera aspirazione all'unità umana. Un lavoro di trasformazione sull'evoluzione della coscienza, dapprima necessariamente individuale e poi collettiva.
Aspiration, Surrender, Unity, Transformation sono alcune della 70 comunità abitative e produttive - tutte basate sull'autogestione consapevole - dove poter condividere questo progetto di convivenza sociale e spirituale. La recente storia di Auroville come città modello e comunità universale rappresenta anche una sfida per la convivenza tra ricerca spirituale e pragmatismo sociale. "Anarchia divina come forma di governo" la chiamava la Mère.
La convivenza e l'evoluzione delle coscienze presuppone anche la gestione e lo sviluppo sociale-urbanistico-economico, e quindi Auroville si è dotata di alcuni organismi partecipativi per amministrare la comunità: Residents Assembly, Governing Board, International Advisory Council, il Working Commitee e anche una discreta presenza del governo indiano. L'attuale presidente del consiglio di amministrazione è il dottor Karan Singh, membro del Consiglio Esecutivo dell'UNESCO.
Auroville è un ponte fra Oriente e Occidente, anticipatrice di tante fasi evolutive dei nostri tempi, ma è anche una scommessa sociale e urbanistica in cui si affrontano, non senza alcune contraddizioni, le nuove sfide nel campo della ecosostenibilità, della gestione urbana, dell'educazione e dell'applicazione di un nuovo modello di sviluppo economico e relazionale che miri a un'evoluzione equilibrata del nostro pianeta.
Auroville, esperimento comunitario permanente, un po' "città del sole" alla Tommaso Campanella, un po' grande kibbutz internazionale, è una realtà concreta dove poter affrontare con serenità e condividere con altri quel processo evolutivo interiore che rappresenta la nostra vera indole. Un' esperienza unica che lascia in molti quelle "tracce di comunità" che si sviluppano e diventano testimonianza, utopia contagiosa, concreta, attorno all'affascinante geografia fra le ombre della mente e quelle dell'anima.
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