Australian Open: Nole fa 5, Serena 6 e l’Italia esulta

Creato il 01 febbraio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Un altro Slam è finito e ha lasciato agli archivi i suoi verdetti. Gli Australian Open 2015 incoronano come campioni dei tornei di singolare coloro che risiedono ai vertici delle classifiche mondiali e che avevano lasciato la scorsa stagione da vincitori dei Master di fine anno: Novak Djokovic e Serena Williams. Ma se Maria Sharapova non ha potuto opporre granché per interrompere la maledizione, Andy Murray può dire di avere sprecato molte opportunità per mettere veramente alle strette il serbo nella loro terza finale a Melbourne Park, salvo poi fare spazio al fantasma di se stesso, che ha quindi consegnato la quinta Norman Brookes Challenge Cup nelle mani di Nole. Ma allo stesso tempo due ragazzi italiani voltano una lunghissima pagina di insuccessi e riscrivono la storia. E sarà cosa buona e giusta partire da questo.

Il digiuno è interrotto! Trentanove anni dopo il miracolo a Parigi di Adriano Panatta. Cinquantasei anni dopo l’ultimo (e unico) trionfo in doppio al maschile, sempre nello Slam francese, da parte di Pietrangeli/Sirola. Simone Chicco Bolelli e Fabio Fogna Fognini riportano l’Italia dei maschietti agli onori della vittoria, conquistando la finale di questi Australian Open con un duplice 6-4 ai danni dei transalpini Herbert/Mahut e regalando al nostro tennis l’ottava affermazione in un Major dal vicino 2010. Come se l’indimenticabile impresa di Francesca Schiavone al Roland Garros di quell’anno avesse acceso la miccia, e da lì il nostro movimento non si è più arrestato. Flavia Pennetta, in coppia con l’argentina Dulko, raggiunge il vertice della classifica WTA di doppio e solleva al cielo il trofeo degli Australian Open 2011. Poi l’uragano Errani/Vinci: Sara e Roberta si impongono come coppia più dominante del XXI secolo, appena alle spalle delle sorelle Williams, e in tre stagioni raggiungono otto finali Slam, vincendone cinque (Australian Open 2013 e 2014, Roland Garros 2012, Wimbledon 2014 e US Open 2012). Ed ora la strana coppia, già forgiata in Coppa Davis nella scorsa annata, che stupisce Melbourne Park e si aggiudica il primo grande alloro di una collaborazione che potrebbe rivelarsi molto proficua per entrambi. Per le Cichis che occasionalmente steccano, i “Chicchis“, come il burlone Fognini ha soprannominato il duo in un’intervista post-vittoria a livello di quarti di finale, concedono soli tre set in sei partite e non tentennano al momento decisivo. A dir la verità sono proprio gli azzurri ad andare per primi in svantaggio di un break, ma un ispirato Bolelli al servizio e qualche errore di troppo del giovane Herbert consentono il recupero ed il sorpasso, con la chiusura del primo parziale al decimo game. Il livello di gioco, però, risente per lunghi tratti della tensione e dell’importanza della sfida, come dimostrano parecchi errori nei pressi della rete da parte di tutti e quattro i protagonisti in campo. Nel secondo set sia Fognini che Herbert devono fronteggiare situazioni complicate al servizio, ma ne escono positivamente e sul 4-4 la partita si infiamma: gli italiani, appena annullati due break-point, sparano una serie di risposte fulminanti e tolgono la battuta a Mahut. Il braccio di Bolelli nuovamente non trema e sul match-point ci pensa il compagno a chiudere i giochi.
Speriamo che questo successo spinga Fognini verso una nuova dimensione anche dal punto di vista del singolare, mentre per quanto riguarda Simone Bolelli, questo non può che essere un meritato premio ad un vero talento, dalla carriera tortuosa e tormentata come quella del bolognese.

La sfida che fa calare il sipario definitivo sugli Australian Open porta con sé due sentenze: questo Djokovic non è la migliore versione di sempre, ma Melbourne è casa sua e tanto basta per farlo salire a otto successi Slam (gli stessi di giganti quali Lendl, Connors, Agassi, Rosewall e Perry); Murray, d’altra parte, si lascia scappare la prova del nove e apre la seconda fase della sua carriera con una bruciante delusione, specialmente per come erano andate le prime tre ore della partita.
Il numero 1 del mondo parte forte dai blocchi e vola 4-1 dopo aver salvato tre palle break nel terzo game, con un Murray già in vena di regali. Ma si nota da subito che i servizi non costituiscono un fattore e lo scozzese ne approfitta, strappando la battuta del serbo ai vantaggi. E via un altro regalo: Murray non aggancia l’avversario e lo manda a servire per il set, nonostante potesse utilizzare le palle nuove. Djokovic è gentile e ricambia il favore e dopo quattro break complessivi si giunge al game decisivo. E qui, col senno di poi, il britannico perde la finale: va avanti 2-0, poi sul 4-2 commette un sanguinoso doppio fallo e per mettere la ciliegina si divora una facile volée sul 5-5. Djokovic ringrazia e chiude alla prima chance senza farsi pregare.

Murray non pare abbattersi e toglie immediatamente la battuta a Nole, che però risponde colpo su colpo e piazza un parziale di quattro game consecutivi, che dovrebbe risultare decisivo per il secondo set. Macché! Dopo un’interruzione per invasione di campo e la rimozione di uno striscione di protesta, Djokovic si distrae e

Andy lo riacchiappa sul 4-4, per poi avere un set point nel decimo gioco, in cui il serbo si era fatto ancora sorprendere da 40-0. Ma il quattro volte campione a Melbourne lo annulla, tiene duro e avrebbe addirittura tre possibilità per andare a servire sul 6-5. Murray in qualche modo si salva ed è ancora tie-break. Questa volta lo scozzese allunga senza guardarsi alle spalle e chiude 7-6 al quarto set point globale. Dopo due ore e mezza siamo un parziale a testa e la maratona notturna sembra ormai un avvenimento scontato.

Il terzo set vede lo stesso copione iniziale del secondo, con la sesta testa di serie al break immediato, e la prima all’immediato recupero. Chi crede alla terza battaglia infinita deve tuttavia ricredersi: sul 3-3 Murray avrebbe un’altra palla break per portare dalla sua parte il terzo parziale, ma proprio allo scoccare delle tre ore giunge la stop-volley di Nole che la cancella. E lì si apre il baratro. Che si traduce in nove giochi consecutivi a favore del serbo, il quale cambia marcia e lascia sul posto il disorientato rivale. Così Andy capitola in nemmeno quaranta minuti, incredulo ripensando alle tre ore di equilibrio totale che paiono distantissime da quel black-out. 7-6 6-7 6-3 6-0 per Djokovic, che diventa il secondo uomo a vincere cinque Australian Open (Roy Emerson dista un solo trionfo) e si ripropone al ruolo di dominatore assoluto del circuito. Tra qualche mese si tornerà sulla terra del Roland Garros e l’ossessione Career Grand Slam non è mai sembrata così vicina dal trasformarsi in sogno realizzato. Sempre che il padrone di casa Nadal non si metta di traverso.

Serena è sempre Serena e per Maria non c’è nulla da fare. Questa è, invece, la cruda sintesi della finale femminile degli Australian Open 2015. La Williams doma la siberiana per la sedicesima sfida di fila e con il suo ingiocabile power tennis (ingiocabile perché ricolmo di qualità tecniche, oltre alla nota e inusitata potenza) conquista lo Slam numero 19 in singolare, in una carriera che non pare mai essere vicina alla fase calante. Con questo sesto sigillo sulla Rod Laver Arena, Serena distanzia i diciotto titoli individuali di Chris Evert e Martina Navratilova e aggancia la dominatrice degli anni ’20 e ’30 Helen Wills, a tre lunghezze dalla tedesca Steffi Graf, la più vincente dell’era Open, e a cinque dalla leggendaria Margaret Court. Serena rimane così imbattuta nelle finali a Melbourne, raggiungendo l’imbarazzante somma di trentaquattro Major in bacheca, dato ancora più impressionante visto che è stato ottenuto disputando quaranta finali, con l’85% di successo. L’atto conclusivo contro Maria Sharapova è apparso come un déjà vu annunciato. La russa combatte con tutte le forze e tutti i colpi a sua disposizione, mai scoraggiata o rassegnata. Tuttavia Serena scappa subito via allo start ed il primo set è già compromesso: 6-3 in favore della statunitense e non sembra esserci margine di miglioramento nelle potenzialità della numero 2 al fine di riaprire la contesa. Anche perché la Williams serve ancora per prima, grazie al break nel finale del precedente parziale, e la Sharapova è costantemente sull’orlo del precipizio. Sul 4-5 annulla un match point e tenta un ultimo ruggito quando nel tie-break vince il primo punto alla risposta. Ma Serena non ci sta e le sbatte la porta in faccia con un rabbioso 4-0. Masha non crolla e si riporta sotto, tenendo i due punti al servizio e recuperando il mini-break. I due quindici dal 4-5 sarebbero da conquistare ad ogni costo per la siberiana, ma il primo le sfugge e ci sono altri due match point da affrontare. Il secondo non va, il terzo è quello buono, ovviamente sparando l’ennesimo ace. Quasi l’americana non se ne accorge, ma dopo i saluti all’avversaria e al giudice di sedia, partono i classici saltelli di gioia di Serena, ormai sempre più donna solitaria al comando del mondo del tennis. Che è tutto ai suoi piedi.

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